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venerdì 7 marzo 2014

SICILIANDO













"La paura del domani e l'insicurezza qui da noi sono tali, che si ignora la forma futura dei verbi.
Non si dice mai 'dumani, vaju in campagna'. 
Si parla del futuro solo al presente.
Così, quando mi si interroga sull'originario pessimismo dei siciliani, mi vien voglia di rispondere:
'Come volete non essere pessimista in un paese dove il verbo al futuro non esiste?'
Le sole volte che il siciliano ha deciso da solo e si è rassegnato a far da solo la storia, disgraziatamente si è sbagliato".
Leonardo Sciascia

sabato 1 marzo 2014

IL TURISMO SICILIANO PRIMA DELLA GUERRA

Luoghi e volti dell'isola nelle fotografie che nel 1938 illustrarono la guida in lingua francese "Sicile", edita dall'Enit e dalle Ferrovie dello Stato


Una giovane donna in vestito estivo
ed in posa sullo sfondo del porto di Palermo
e di monte Pellegrino.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono tratte dalla guida turistica
"Sicile" edita nel 1938 dall'Enit e dalle Ferrovie dello Stato


Le fotografie riproposte nel post da ReportageSicilia sono tratte dalla pubblicazione "Sicile", edita dall'Ente Nazionale Industrie Turistiche e dalle Ferrovie dello Stato.
Si tratta di una guida turistica dell'isola in lingua francese, stampata nel 1938 dall'Istituto Romano di Arti Grafiche Tumminelli di Roma e che all'epoca venne pubblicata anche in lingua italiana ed inglese.
L'interesse e la curiosità di questa guida risiedono in primo luogo nella rappresentazione di alcune località della Sicilia negli anni che avrebbero preceduto il secondo conflitto mondiale.
La scelta delle località ricalca il cliché del tradizionale tour turistico dell'isola: da Palermo a Siracusa, da Erice ( allora Monte San Giuliano ) a Segesta, da Agrigento a Taormina, da Cefalù a Selinunte.


Sopra e sotto,
due fotografie inusuali
dei teatri antichi di Siracusa e Taormina.
In entrambe le immagini
il protagonista è il pubblico:
quello siracusano indossa panama,
borsalino e pagliette.
A Taormina, gli spettatori occupano
il semicerchio della cavea



Accanto a immagini di maniera della Sicilia - l'Etna fumante sullo sfondo di un mandorlo in fiore, il chiostro di Monreale o la fontana d'Aretusa con i suoi papiri - i curatori della guida inserirono fotografie meno convenzionali.
La più curiosa - e che potrebbe essere il frutto di un fotomontaggio - è forse quella che ritrae una ragazza che non nasconde gambe e braccia sullo sfondo del porto e del monte Pellegrino, a Palermo.


Uno scatto rubato coglie l'immagine
non convenzionale di un gruppo folclorico

Un altro singolare scatto sorprende invece i componenti di un gruppo folcloristico mentre osservano divertiti una scena fuori dalla ripresa del fotografo.  
Nell'introduzione dell'opuscolo "Sicile" si legge:
"C'est l'ile de la Méditerranée la plus grande ( sic ), la plus belle et la plus pittoresque...".


Il prospetto di castello Utveggio,
in cima al Pellegrino, a Palermo.
All'epoca della fotografia,
l'edificio ospitava un albergo di lusso
che durante la guerra sarebbe stato
utilizzato come base militare

La pubblicazione di questa guida coincise con uno dei periodi più oscuri per l'economia turistica della Sicilia, regione al centro del Mediterraneo penalizzata da quelle tensioni ideologico-politiche internazionali che due anni più tardi sarebbero sfociate nella seconda guerra mondiale.
A pesare sui flussi di visitatori stranieri verso l'isola fu anche la politica finanziaria promossa da Mussolini, che rivalutò la lira italiana nei confronti della sterlina ( 90 lire per una sterlina ); la misura ebbe effetti negativi in primo luogo sulle esportazioni dell'industria verso l'estero e sul turismo internazionale in Italia.


Sciatori di fondo sulla neve dell'Etna

Una preziosa ricostruzione della situazione di quegli anni ci viene da un reportage pubblicato nel giugno 1955 dalla rivista mensile del TCI "Le Vie d'Italia", intitolato "La Sicilia e il turismo".

"Tutti i dati di cui possiamo disporre - scriveva Flavio Colutta - ci dimostrano che fino al 1928 il turismo nell'isola era assai fiorente. 
Decadde rapidamente subito dopo che il governo emise quel provvedimento finanziario chiamato 'quota 90', che provocò la messa in crisi del movimento turistico in tutto il Paese.
A questo punto vennero avanti le nubi e la Sicilia fu la prima a subirne le pesanti conseguenze, a causa della sua posizione nel punto più lontano dalle frontiere continentali.


Bagnanti sulla spiaggia di Mazzarò

Così l'isola, che del turismo aveva sempre fatto gran conto, piombò in uno stato di depressione economica che contribuì per la sua parte a sospingere nel basso l'industria del forestiero.
Nelle popolazioni si venne formando una psicologia di inerzia, di incapacità di progettare e di ardire; poche erano le amministrazioni comunali che avevano a cuore il turismo; ovunque vi era un contrasto evidente tra l'importanza delle città e l'attrezzatura degli alberghi; né le cose andavano meglio per ciò che riguarda i ristoranti e i ritrovi.
L'ultima guerra lasciò l'isola povera di tutto.


Una classica vista di Cefalù.
L'immagine rivela l'originario ambiente naturale
della sua periferia, lungo il tracciato
dell'attuale strada statale 113

Alla vigilia del conflitto, nel 1939, il patrimonio alberghiero era rappresentato in cifra assoluta da 6.711 posti letto, pari al 2,70 per cento del patrimonio nazionale. Nella graduatoria la Sicilia veniva undicesima.
I risultati conclusivi della guerra furono disastrosi; il bilancio delle perdite per requisizioni, bombardamenti, occupazioni, desolante.
Nel 1944 l'isola poteva contare su 2352 posti letto; in altre parole la Sicilia aveva perduto 4.359 posti letto ( in particolare Taormina registrò una perdita di circa 1.000 posti letto ), e cioè il 60 per cento della disponibilità d'anteguerra.
Il prezzo di tanta rovina? Oltre un miliardo di lire...".




Ai nostri giorni, il turismo è una delle poche risorse economiche dell'isola. 
I dati dell'Osservatorio Turistico della Regione indicano in 4.332.589 gli arrivi e in 14.218.445 le presenze nel 2012; in 201.772 invece i posti letti, suddivisi fra le varie categorie di alberghi, i campeggi, gli agriturismo, i BB e gli alloggi in affitto.
Nel corso del 2013, località come Cefalù, Taormina e le isole Eolie hanno visto diminuire il numero di visitatori, complice a volte la carenza di servizi essenziali di accoglienza ( la recente denuncia sul precario stato di quelli igienici del teatro antico di Taormina ne è solo un esempio ).
Così, fra musei spesso chiusi e difficoltà di gestione economica di monumenti ed aree archeologiche sul turismo isolano - ormai lontani i tempi delle penalizzanti politiche fasciste - pesano ancora le parole raccolte da Flavio Colutta nel 1955:

"Ci diceva uno studioso, parlando amaramente dei monumenti antichi di Catania:
'Può la Sicilia tenere una parte delle sue inestimabili meraviglie in stato di abbandono?
Sono queste le cose che i turisti si attendono dalla Sicilia, che vengono a vedere in Sicilia: una manifestazione sportiva in più o in meno, non ci se ne accorge neppure...'". 


  
  



venerdì 28 febbraio 2014

DISEGNI DI SICILIA


GREGORIO PRIETRO, Porta Catania a Taormina

sabato 22 febbraio 2014

COCCHIERI E CAVALLI, LA VECCHIA EREDITA' DI PALERMO

Nelle fotografie di Scheler, Minnella, Piazza, Ciganovic e Molinard le immagini della passata diffusione delle carrozze in città 

La sornione posa di un cocchiere palermitano
dinanzi una delle statue di piazza Pretoria.
Il ritratto è del fotografo tedesco Max Scheler
ed è tratto dal volume "Libro di Palermo"
edito nel 1977 da S.F.Flaccovio 


Oggi a Palermo sopravvivono una sessantina di cocchieri, neppure un decimo rispetto ai 667 in servizio nel 1964.
Gli "gnuri" - così i cocchieri vengono ancora etichettati dai vecchi palermitani - sono tradizionalmente in conflitto con l'amministrazione comunale ed i vigili urbani.
In passato, la contesa ha riguardato il numero delle licenze o il criterio di applicazione delle tariffe.


Cocchieri a Palermo in una fotografia
di Melo Minnella pubblicata dalla rivista "Sicilia"
edita dalla "Fondazione Ignazio Mormino"
del Banco di Sicilia nel settembre del 1964.
L'immagine, al pari delle altre tre seguenti del post,
illustrarono un reportage di Donatello D'Orazio
intitolato "Incontro con Palermo"

Negli ultimi anni, invece, i cocchieri hanno lamentato una discriminazione verso la loro attività e la mancata concessione da parte del Comune di stalle ed aree di sosta autorizzate nel centro storico della città.
Palermo, insomma, si conferma città dove è spesso complicato gestire anche i più semplici aspetti della vita urbana, in un macerante conflitto fra chi gestisce la cosa pubblica e le diverse categorie di cittadini.



Ai cocchieri palermitani - figure che, nel bene e nel male, rappresentano uno degli storici volti di Palermo - sono state dedicate molte fotografie di illustri fotoreporter che hanno visitato la città.
ReportageSicilia ripropone alcuni di quegli scatti, ricostruendo l'immagine della loro presenza negli anni della loro massiccia presenza in città grazie anche ad un reportage pubblicato il 23 giugno del 1963 dal quotidiano "La Stampa".



Nell'articolo, attraverso la descrizione delle carrozze palermitane, Francesco Rosso coglie alcuni caratteri del costume locale, a cominciare dai legami con vecchie e lontane consuetudini; anche questo è il segno dei ritardi di Palermo rispetto agli standard di efficienza di altre grandi città italiane:  
  
"L'odore più autentico di Palermo esala dai 667 cavalli puro sangue giubilati dopo gli osannanti clamori degli ippodromo e declassati a trainare altrettanti mortificanti carrozzelle attraverso le vie della città vicereale.
Ridotti a scheletri, i ronzini non hanno però alterato le loro funzioni e l'aria di Palermo si impasta di fermentanti odori di scuderia.



Non esiste città al mondo più legata al passato più lontano come Palermo; ovunque, i taxi hanno travolto le carrozze da qualche decennio, per sveltire il traffico ed adeguarsi al ritmo dell'esistenza attuale, l'automobile appare più conveniente.
Ciò non accade a Palermo per cause complesse.
Con che vivrebbero le famiglie dei 667 cocchieri e quali mezzi di trasporto, che non siano gli autobus, userebbero i palermitani?


La sosta di un cocchiere
in piazza Bologni.
La fotografia è di Giuseppe Piazza
e venne pubblicata nel saggio "Sicilia al sole",
edito nel 1886 da Brotto

La carrozzella svolge anche una funzione sociale insostituibile con le basse tariffe; il taxi è mezzo di trasporto troppo costoso, inaccessibile per molta gente.
Così, contro le 667 carrozze, a Palermo vi sono soltanto 138 taxi, un numero alquanto basso per una città che si avvia ai settecentomila abitanti ed è investita in ogni stagione da eserciti di turisti.


L'ombra estiva di una carrozza
nei pressi della chiesa di San Cataldo.
Lo scatto è del fotografo francese Patrice Molinard
e illustrò l'opera "La Sicile" edita nel 1957
da Del Duca Paris per la collana
"Couleurs du Monde" 

Alla cause, diciamo economiche, si aggiungono quelle di costume.
Ai palermitani piace la carrozza; il rotolar delle ruote sul selciato, lo schioccar delle fruste, il nitrire dei cavalli zoccolanti sulla pietra, l'odore dei finimenti intrisi di sudore, gli genera un'ebbrezza sottile.


Uno scatto del fotografo serbo Josip Ciganovic
dinanzi Palazzo dei Normanni.
L'immagine è tratta dal I volume
dell'opera "Sicilia" edita nel 1962 da Sansoni
e dall'Istituto Geografico De Agostini

I palermitani sono dei conversatori indomabili ( altri dicono chiacchieroni ) e la carrozza si trasforma in salotto per discussioni senza fine.
Il piacere di conversare è così forte in loro che non solo in carrozza, ma sulle porte dei bar, dei negozi, dei cinema formano barriere di corpi immobili e mani gesticolanti.


Cocchieri all'interno del porto.
La fotografia non ha attribuzione
e venne pubblicata nel giugno del 1955
dalla rivista mensile del TCI "le Vie d'Italia"

Non intendo affermare con queste osservazioni che Palermo sia una città decrepita, è anche modernissima, però con spiccata inclinazione a trasformare in vecchio il nuovo..."


   

lunedì 17 febbraio 2014

IL GOTICO RIFLESSO DELLO SPINAZZOLA

Le guglie laviche dello scoglio di Panarea in due fotografie degli anni Cinquanta

Lo scoglio Spinazzola fa parte
dell'arcipelago di rocce vulcaniche ed isolotti
che si stagliano sul mare eoliano di Panarea.
Lo splendido riflesso dello Spinazzola
venne fissato dal fotografo Ezio Quiresi.
L'immagine è stata pubblicata nel II volume dell'opera
"Sicilia", edita nel 1962 da Sansoni e
dall'Istituto Geografico De Agostini 


"Proprio dinanzi a Panarea v'è la piramide gialla e disperata e gialla di Dattilo; poco più lontano gli scogli neri e torturati dei Panarelli lacerano la superficie del mare e le piatte lastre di Bottaro e Lisca Bianca si distendono pigramente al sole; infine v'è il bastione giallo-oro di Basiluzzo.
Questo ha un gotico compagno minore, che i locali chiamano Spinazzola, ma che in molti chiamano il 'Duomo di Milano'; è uno scoglio altissimo sgretolato dalle tempeste, tutto guglie, pinnacoli, torri e pilastri di roccia.
Fra Basiluzzo e il 'Duomo di Milano' si apre uno stretto passaggio marino ( ma ci si può avventurare senza pericolo, anche con un piccolo peschereccio ) che offre una delle vedute più belle d'Italia ( ... ). 
Tutt'intorno precipizi sconvolti, viscere di vulcano, tormente pietrificate di pietra e pressione, contorcimenti e furie fossili; là, fra le due quinte, lontano, con la sua gran penna di fumo e di vapori, triangolo d'azzurro intenso, lo Stromboli...".
Così nel 1951 il libro "Volto delle Eolie" di Vitaliano Brancati, Fosco Maraini e Massimo Simili ( S.F.Flaccovio Palermo ), descriveva lo scoglio Spinazzola, collocandolo al centro di uno dei paesaggi più emozionanti delle isole Eolie: una visione ritratta nella seconda delle due fotografie che illustrano questo post.


Lo Spinazzola e l'isolotto di Basiluzzo.
Sullo sfondo, si intravede la cima fumante di Stromboli.
La fotografia è tratta dall'opera "Volto delle Eolie",
edita nel 1951 da S.F.Flaccovio

Lo scatto d'apertura che ritrae il 'Duomo di Milano' - formato da strati di ossidiana, di pomice e di riolite - porta invece la firma di Ezio Quiresi e venne pubblicato nel II volume dell'opera "Sicilia" edita nel 1962 da Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini.
Oggi lo Spinazzola continua ad ergersi imponente, conservando quel nome scelto dagli eoliani e specchiando le sue magnifiche guglie sulla superficie del mare; nel 1997 cadde infatti nel vuoto la proposta di alcuni residenti di Panarea di intitolare lo scoglio a Diana Spencer, frequentatrice di quest'angolo di Eolie.



     

SICILIANDO














"La storia della Sicilia è una storia di una civiltà, che è, nello stesso tempo, la storia di civiltà multiformi; è storia di un'isola, che è storia di un mondo: il mondo mediterraneo"
Antonino De Stefano

sabato 15 febbraio 2014

WALTER BONATTI ESPLORATORE A PANTALICA

Nella primavera del 1973 l'alpinista bergamasco usò corde e funi per scoprire i luoghi nascosti della necropoli preellenica. 
ReportageSicilia ripropone il suo racconto pubblicato allora dal settimanale "Epoca"

Walter Bonatti a Pantalica.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
illustrarono il servizio pubblicato
dal settimanale "Epoca" nell'agosto del 1973 

Walter Bonatti è stato uno dei più personaggi più noti e discussi dell'alpinismo italiano, lasciando testimonianza delle proprie imprese grazie anche all'intensa attività di scrittore e giornalista.
Scalatore di vette alpine, himalayane e andine, esploratore di foreste amazzoniche e deserti australiani, nella primavera del 1973 Bonatti - a pochi mesi dal ritorno da un viaggio in Zaire e Congo - ebbe modo di esplorare in Sicilia l'impervia vallata di Pantalica.


"Con due compagni di viaggio
rimango alcuni giorni accampato in queste valli,
pervaso da una specie di febbre di scoperta.

"Con una difficile scalata esploro il
'grande tempio'..."


Fu un impegno tecnico sicuramente non difficile per uno dei padri del moderno alpinismo estremo, affrontato in blue jeans e scarpe da montagna; tuttavia, la suggestione di quest'angolo di territorio isolano, punteggiato dalle centinaia di cavità della necropoli d'età del bronzo, fu tale da fargli scrivere:
"Con due compagni di viaggio rimango alcuni giorni accampato in queste valli, pervaso da una specie di febbre di scoperta. Esploriamo tombe, cavità e anfratti servendoci di corde per scalare le rocce o per calarci dall'alto lungo di esse...".


"Migliaia di grotticelle scavate nelle rocce
che si innalzano dai canyons
fanno di Pantalica un luogo selvaggio e suggestivo"

"L'erosione del tempo
e i movimenti tellurici hanno sconvolto
gran parte delle aree della necropoli;
non è raro, infatti, scoprire tragiche incrinature
che preannunciano un franamento"


L'alpinista bergamasco inserì il racconto di quell'esperienza tra i reportage pubblicati dal settimanale "Epoca", con il titolo "Pantalica. La misteriosa valle dei sepolcri".
ReportageSicilia ripropone quell'articolo - pubblicato nel numero 1195 del 13 agosto 1973 - e gran parte delle fotografie che lo illustrarono. 
Per fedeltà di documentazione, sono state riproposte anche le didascalie che accompagnarono gli scatti del reportage di Walter Bonatti.


"Esploriamo tombe, cavità e anfratti
servendoci di corde per scalare le rocce
o per calarci dall'alto lungo di esse.
Emergono veri gioielli di costruzione
come questa tomba a tre cavità"

"A volte il cedimento è già avvenuto
all'interno distruggendo gli alveoli sepolcrali
dalle sottili pareti.
Di queste tombe non rimangono allora
che le facciate esterne
drammaticamente sospese"


"Risalgo la valle dell'Anapo, nell'entroterra di Siracusa, per circa venticinque chilometri di carrozzabile.
Ora il fiume gira a sinistra e, sinuoso, rimonta tra complicate pareti di roccia fino a fondersi con esse scomparendo alla vista.
Là dentro c'è Pantalica: il più importante fra i centri della Sicilia preellenica, il complesso di necropoli più affascinante di quell'età.
Una stradina, ricavata dalla sede di una piccola ferrovia in disuso, è l'unico accesso al canyon serpeggiante, grazie ai ponti e alle gallerie ancora transitabili tra le rocce a picco; le sensazioni che via via si provano penetrando in quelle gole, sono degne di un'avventura vissuta in un mondo lontano.


"Marcello Paltrinieri mostra alcune ossa
rinvenute in un loculo"

"Un mortaio scavato nella pietra"


Lo straordinario viaggio comincia giusto al termine di una lunga galleria quando al di là del buio, con ancora negli occhi le cose e i colori del quieto paesaggio agreste, ci si trova di colpo come sospesi sulle rocce calcaree che sfuggono nel cielo dalle calme acque del fiume, verde e profondo.
Qui la luce è cupa, filtrata da una boscaglia opulenta; l'aria è ferma, muta, i profili creano a volte forme mostruose.
Dopo la galleria c'è un ponte, dall'aspetto alquanto insicuro, poi un terrapieno che il tempo sta corrodendo, un'altra buia galleria, dissestata, ancora un ponte, e poi così via per almeno un chilometro, fino a che il fiume, dopo tanti meandri, si distende.

"A occidente di Pantalica
notiamo un'enorme e profonda cavità
che incide una selvaggia parete calcarea
per circa 50 metri.
D'acchitto, sembra naturale,
ma innalzadoci verso di essa
vi scopriamo profili stranamente regolari
e rozze forme geometriche.
In noi nasce il sospetto che essa sia stata scavata dall'uomo,
almeno parzialmente dall'alto verso il basso.
Forse era adibita a grande tempio,
dedicato a una misteriosa divinità pagana,
e capace di ospitare qualche centinaio di fedeli"

Dal cielo, ora più aperto, degradano le balze calcaree. Nei rari ripiani presso il fiume riappare qualche esiguo agrumeto, ma la valle ha assunto ormai un aspetto selvaggio, quasi estraneo al tipico paesaggio isolano.
Euforbiacee, ulivi selvatici, pistacee, thapsie, rovi, rutacee, leguminose, liliacee e tante altre piante mediterranee creano un agglomerato di toni verdi che dal fondovalle sbiadisce progressivamente verso gli altipiani battuti dai venti.
Qualche rapace volteggia nel cielo; sotto, nel pesante silenzio, a qualche grido di uccello risponde ( sembra dall'aldilà ) il gracidare delle rane.


"Fa la sua comparsa la rivoluzionaria ruota.
Così le prime strade rudimentali
vengono scavate sui fianchi rocciosi di Pantalica,
che conservano tuttora le tracce indelebili
dei carri e degli animali che li trainavano"

"In epoca storica,
anche questo antico regno di morti accoglierà
le impronte dei colonizzatori:
i Fenici, i Greci, i Romani, i Bizantini, gli Arabi,
i Normanni, i Francesi, gli Spagnoli" 


Ma aggirato uno sperone, ecco apparire sulle rupi le prime tombe preistoriche. Così nette e regolari nei loro profili, sembra impossibile che risalgano alla tarda età del bronzo. 
Presto se ne scoprono tante altre e, continuando il cammino, in breve si vede tutta la montagna, attorno, traforata, punteggiata da innumerevoli grotticelle che incidono anche i massi più piccoli e nascosti. 
Lo spettacolo suscita diverse impressioni: pare di trovarsi al centro di un'enorme e incredibile schacchiera, o di aver addosso mille occhi misteriosi della montagna...
La fantasia galoppa dipanando e mescolando le poche nozioni di storia e di letteratura rimaste nella mante dagli anni svogliati della scuola.

"Le nuove e ultime necropoli
mutano di stile, spesso vi si scavano accanto
ampie cavità usate come abitazioni,
e aeree scalinate per accedervi"

Da ricercatori improvvisati, si sbagliano date, si confondono popoli, si fruga malamente nei millenni, infine ci si consola pensando che certi aspetti di questo angolo di casa nostra rimangono tuttora ignorati anche dagli specialisti.
Alla fine ci si accontenta di ammirare semplicemente quelle cose; che non finiscono mai di stupirci.
La forma di una tomba, l'arditezza di un'altra, un dente umano rinvenuto in una grotta nascosta, un tappeto di fiori gialli, una curiosa prospettiva, un'eco, un tramonto, una grossa bomba lavica scagliata fin qui anticamente dall'ormai estinto cratere del monte Lauro, e mille altre sorprese offerte da una natura splendida ed affascinante, passata attraverso l'epopea dell'uomo preistorico e la rovina dei millenni.


"L'Asphodelus Ramosus Macrocarpus,
detto 'il fiore dei morti'"

"Lo scorpione delle tombe"


Quando i Corinzi, guidati da Archia, sbarcarono verso l'VIII secolo a.C. là dove fonderanno Siracusa, la costa era ancora pressocché deserta. 
I Siculi ( abitanti dell'entroterra, che vivevano accentrati in massima parte nella fortezza naturale di Pantalica ) si erano uniti ai Cartaginesi, che già presidiavano quelle terre, per scacciare i nuovi invasori; ma, sopraffatti, ripiegarono disperdendosi sulle montagne. 
Era iniziata per l'antica Sicania l'opera di colonizzazione greca che si succedeva a quella dei Fenici.
In quel periodo, dunque, i Greci occuparono Pantalica e vi innalzarono un ponderoso sbarramento, forse la più antica fortificazione di cui rimanga traccia in Sicilia.
Perciò deve pure essere accaduto che un giorno i legionari di Archia si siano inerpicati su per il dedalo roccioso dell'Anapo scoprendovi gli impressionanti alveari delle città dei morti.
Immagino quale spavento dev'essere stato per quella gente che - nelle tenebre dell'inconoscibile - s'era creata certe immagini mitiche sui destini dell'uomo.
Dovettero proprio credere, quei rozzi soldati, di essere giunti nell'Ade, nel regno delle ombre. 
Erano passati per orridi precipizi, fenditure della terra, massi lavici, e là dentro avevano incrociato tenebrosi fiumi - gli affluenti dell'Anapo - che per una comprensibile suggestione devono avere assunto ai loro occhi le caratteristiche del Cocito ( fiume del pianto ), del Piriffegetone ( torrente di fuoco ), dell'Acheronte ( corrente di dolore ) e dello Stige ( fiume dell'odio ).




Chissà se qualcuno non abbia scorto persino il nocchiere Caronte; ma certamente deve avere visto il suo terribile Cerbero. V'è una grotta, infatti, all'inizio di quelle gole da cui pende un'enorme stalattite dal perfetto profilo di un grosso cane.
Tutto, per quegli antichi Greci, dovette sembrare spaventosamente verosimile; anche perché una loro massima trovata ebbe un certo riscontro in quei luoghi: 
"All'Occidente, è l'origine e la fine delle cose".