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lunedì 13 ottobre 2025

LA CONTA DEL "RAIS" DELLE OMBRE DEI TONNI A FAVIGNANA

Il "rais"della tonnara di Favignana
guida la mattanza nel maggio del 1965.
Fotografia tratta dall'opera citata nel post


Nel maggio del 1965 il mensile "Atlante" edito dall'Istituto Geografico De Agostini di Novara pubblicò un reportage di R.Crocella dedicato alla mattanza dei tonni appena compiuta a Favignana. Una delle undici fotografie che illustrarono quel racconto mostra il "rais" intento a dare indicazioni ai tonnaroti che di lì a poco dovranno dare inizio alla mattanza dei tonni, momenti così descritti dal cronista:

"I pescatori, che scrutano continuamente l'acqua attraverso una finestrella vetrata sul fondo della barca, vedono entrare il gruppo e chiudono rapidamente la porta, tirando per mezzo di funi la rete adagiata sul fondo. Aprendo e chiudendo le successive porte, i tonni vengono ammassati nell'anticamera della morte, e si riapre l'ingresso in modo da poter accogliere altri gruppi. 



Un'operazione estremamente affascinante è il conto approssimativo che fa il "rais", dal vetro del fondo della barca, delle ombre affusolate che si muovono circolarmente sul fondo: il suo totale corrisponde sempre, per una specie di propiziatoria superstizione, a circa due terzi del totale dei tonni..."

I TETTI DI MARSALA DI ENZO ZERILLI

 




LA RESISTENZA DI SALINA E DEGLI EOLIANI AI TERREMOTI

Casa a Salina.
Fotografia di Josip Ciganovic,
tratta dall'opera di Aldo Pecora "Sicilia"
( UTET, Torino, 1971 )


Tra il 23 ed il 29 dicembre del 1954, in coincidenza con un'eruzione dello Stromboli, l'isola di Salina fu colpita da un violento sciame sismico di 80 scosse che lesionarono numerose abitazioni e la chiesa parrocchiale nella frazione di LinguaAltri danni consistenti si registrarono nel centro abitato di Pollara, zona epicentro di quel sisma e di molti altri che hanno colpito Salina nel tempo. Il terremoto di quel dicembre del 1954, pur non provocando vittime, lesionò molti edifici di vecchia costruzione che vennero in seguito abbattuti. 

Lo sciame sismico di 71 anni fa non colse di sorpresa i salinesi, abituati come gli altri eoliani sin da bambini a convivere con le scosse di terremoto: fenomeni che non li hanno mai indotti ad abbandonare le loro isole. 

"Le isole Eolie - ha scritto a questo proposito Jakob Job nel saggio "Sicilia" ( Edizioni Silva Zurigo, 1971 ) -  hanno sempre condiviso le sorti dell'Italia meridionale e della Sicilia. Nonostante la continua minaccia dei vulcani, dei quali oggi solo Stromboli è ancora attivo, esse furono sempre ripopolate: alle popolazioni autoctone seguirono, come nell'intera Sicilia, i Greci, i Romani, i Saraceni, i Normanni. Terremoti ed eruzioni vulcaniche costrinsero abbastanza spesso gli abitanti ad abbandonare le loro residenze. 

Così, nell'anno 126 avanti Cristo, l'intera popolazione di Lipari fu trapiantata a Napoli. Ma sempre gli uomini misero piede sull'isola: la volontà di di ricostruire la vita fu più forte della minaccia degli elementi..."

domenica 12 ottobre 2025

L'AGRICOLTURA PANTESCA A RISCHIO DI ABBANDONO

Raccolta dello zibibbo a Mueggen,
a Pantelleria.
Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


La raccolta dell'uva zibibbo è una delle attività agricole che fino ad oggi hanno costituito un segno distintivo della storia di Pantelleria. La coltivazione di questo frutto rappresenta anche la tutela di un secolare patrimonio di conoscenze che hanno permesso ai panteschi di impiantare le viti ad alberello in un ambiente modellato da centinaia di terrazzamenti e muretti a secco. La vite, posizionata in conche scavate nella terra per difenderla dal vento e dal caldo, cresce così bassa e resistente.

Da qualche anno, la diminuzione della manodopera necessaria a questa pratica, scoraggiata anche dai bassi salari, sta spingendo numerosi proprietari terrieri ad abbandonare questa coltura. La stessa tendenza riguarda altre due produzioni pantesche, quelle del cappero e delle olive. Di recente, il Parco Nazionale Isola di Pantelleria ed il Comune hanno prospettato l'ipotesi di alimentare l'occupazione nel comparto agricolo favorendo la stabile accoglienza di una ventina di famiglie straniere. 



Il progetto prevede la possibilità di favorire il loro inserimento nel tessuto sociale di Pantelleria e l'impiego lavorativo nei terreni coltivati. Nell'attesa di una applicazione di questo piano - la cui efficacia non appare comunque scontata - molti degli storici terrazzamenti panteschi destinati ad uso agricolo versano in stato di abbandono. 

martedì 23 settembre 2025

LA NOTTE DEL ROGO DOLOSO CHE DEVASTO' IL VILLINO FLORIO

L'incendio che ha semidistrutto
il Villino Florio, a Palermo.
Fotografia tratta dal quotidiano
"L'Ora" del 24 novembre del 1962


Alle 3.30 di una notte di pioggia, due persone salirono una scala a pioli poggiata su muro di cinta che a Palermo divide la via Pasculli dal giardino e dall'edificio del Villino Florio, disabitato da almeno 6 mesi e privo di energia elettrica per la morosità accumulata del proprietario. Con loro, gli intrusi trascinavano una latta di lamiera riempita di benzina ed un sacchetto pieno di stracci. Né il custode né la moglie, che dormivano in un alloggio esterno al Villino, ebbero ad accorgersi di nulla. A svegliarli, furono i rumori di vetri infranti e il crepitio delle fiamme che avvolgevano ormai irreparabilmente gli infissi, le intelaiature, i soffitti di quercia e mogano, gli scaloni, i pavimenti ed i preziosi arredi presenti sui tre piani edificati a partire dal 1899 da Ernesto Basile su commissione di Vincenzo Florio.

Il Villino Florio, oggi.
Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia
©

 

Tre anni dopo lo smantellamento di Villa Deliella, quella notte fra il 23 ed il 24 novembre del 1962, Palermo subì uno dei più gravi sfregi al patrimonio architettonico del "Liberty". Le operazioni di spegnimento delle fiamme che avevano aggredito il Villino Florio - rallentate dalla necessità dei Vigili del Fuoco di rifornirsi più volte di acqua e dall'indisponibilità di autopompe con un getto capace di raggiungere le torrette più alte - si protrassero per 6 ore. La fotografia riproposta da ReportageSicilia - tratta dalla cronaca del rogo del quotidiano "L'Ora" pubblicata il 24 novembre - ricorda oggi il peso di quella devastazione dolosa.  Quando le fiamme furono domate, il Villino Florio apparve come una larva incenerita e sventrata. Solo 28 anni dopo, l'edificio di Ernesto Basile, privato nel frattempo di un vastissimo parco, sarebbe stato oggetto di un restauro, durato 25 anni: un intervento che ha potuto solo in parte riscattare una perdita che ha segnato "la quasi definitiva scomparsa - ha scritto Gianni Pirrone in "Palermo Liberty" ( Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma, 1971 ) - di interni e arredi Liberty a Palermo".  


    

domenica 21 settembre 2025

LE MANCATE SOLUZIONI AL PROBLEMA IDRICO DAL 1937 AI NOSTRI GIORNI

Fontana a Petralia Sottana.
Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia©


"La sezione di Palermo del Servizio Idrografico Italiano, con l'aiuto finanziario del Banco di Sicilia, ha compiuto negli ultimi anni una preziosa indagine sulla disponibilità attuale sorgentizia della Sicilia. E' risultato che in quattro province, fra le nove dell'isola, la portata di acqua sorgentizia per chilometro quadrato è molto inferiore di un litro al minuto secondo, e precisamente: di 0,09 litri in provincia di Caltanissetta; di 0,09 in quella di Trapani; di 0,35 in quella di Enna; di 0,56 in quella di Agrigento.

Ma molte di queste sorgenti sono salmastre, solfuree e termali. Non si prestano alle irrigazioni agricole: tanto meno all'abbeveramento delle genti e del bestiame. Questa è la documentazione della sete cronica di un vasto territorio che si stende nel centro della Sicilia per 10.212 chilometri quadrati: i due quinti dell'intera superficie dell'isola...

Vi è anzitutto da pensare ad una più completa e razionale utilizzazione delle acque più scoperte e conosciute. E' un piano regolatore delle acque siciliane che si domanda: prima base del piano regolatore di tutta intera l'economia isolana... Sono da creare le opere di presa delle sorgenti. Molta acqua va già perduta alle origini e corrode invece, rovinandole nella sua illegittima corsa, le terre e le coltivazioni...

Sempre secondo l'indagine del Servizio Idrografico risulta che il patrimonio di acque sorgive non utilizzate in Sicilia raggiunge un volume di 6.632 litri al secondo. E' una quantità che rappresenta il 20 per cento della portata globale delle sorgenti conosciute dell'Isola che è di 32.894 litri al minuto secondo...

Mancano pure per le acque le opere di canalizzazione. Ma bisogna anche aumentare per molte regioni della Sicilia il volume, il patrimonio utile delle acque. Bisogna dunque moltiplicare i lavori di indagine, ricercare le acque profonde, mettere in valore le acque freatiche e  subalvee e creare, da per tutto dove si può, bacini di invaso, grandi e piccoli serbatoi con sbarramento di valli, cisterne di campagna per dissetare gli uomini e le terre nella stagione del fuoco e arginare intanto le devastazioni dell'acqua invernale che ruba la terra mentre precipita inutile. Bisogna infine creare e lanciare a tappe gli acquedotti.

C'è bisogno per l'acqua siciliana di coraggio, di lavoro paziente e ostinato, di capacità creative..." 



Al netto dei dati sulla disponibilità complessiva in Sicilia di acqua fornita da sorgenti per chilometro quadrato - dati che potrebbero non differire di molto da quelli indicati nel testo sopra riportato - si potrebbe pensare che questa analisi riassumi l'attuale situazione della crisi idrica sofferta dall'Isola. Il testo in questione risale invece al lontano 1937; lo scrisse Virginio Gayda, giornalista e saggista romano apertamente legato al regime fascista, al punto da essere considerato una sorta di "portavoce" di Mussolini. Le indicazioni di Gayda - inserite in un testo di ampia esaltazione propagandistica delle opere pubbliche allora promosse o solo prospettate dal fascismo - si leggono in uno dei dodici articoli dedicati alla Sicilia da lui pubblicati sul "Giornale d'Italia". Gli scritti furono in seguito raccolti nel saggio "Problemi siciliani" ( Roma, Tipografia "Il Giornale d'Italia", 1937 ), diventato così - spiegò Gayda nell'introduzione - la presentazione "di alcuni modi di essere della Sicilia e la rievocazione delle loro vicende ... in quanto sono parte essenziale del grande problema della vita e della potenza della Nazione nel suo continuo divenire...".

Ottantotto anni dopo il retorico scritto di Virginio Gayda, i temi da lui affrontati della siccità e dei limiti infrastrutturali nella gestione della risorsa acqua in Sicilia - oggi aggravati dalle conseguenze dei cambiamenti climatici - rimangono drammaticamente attuali. Non li ha risolti il fascismo, né, dopo di esso, i governi della Repubblica; né, tantomeno, li hanno affrontati in modo strutturale quelli della Regione Siciliana, che in questi mesi si trova ad affrontare il peso di guasti decennali. C'è il legittimo dubbio che, a fronte dei miliardi di vecchie lire e dei milioni di euro stanziati per potenziare le infrastrutture idriche nell'Isola, in poco meno di un secolo sia colpevolmente mancato quel lavoro "paziente ed ostinato" - noi aggiungeremmo anche l'aggettivo "onesto" - indicato da Virginio Gayda come unico metodo per risolvere la povertà idrica della Sicilia.

lunedì 15 settembre 2025

IL SUONATORE DI TROMBONE A CASTELBUONO

Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia©