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mercoledì 22 luglio 2020

IL SOLE DI SICILIA ED IL CONSIGLIO DEL GEOGRAFO MILONE

Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia

Un secolo prima che i cambiamenti climatici sconvolgessero le certezze di studiosi e meteorologi, mettendo in dubbio l'andamento delle stagioni, il catanese Filippo Eredia pubblicò in "Memorie della Società degli Spettroscopi italiani" l'opera "Sulla durata del sole in Sicilia".
Riprendendo quel vecchio studio del 1904 - secondo cui, nell'Isola, il sole brilla per oltre un quarto delle 24 ore giornaliere - nel 1960 il geografo Ferdinando Milone ( "Sicilia. La natura e l'uomo", Paolo Boringhieri )  avvertì così il viaggiatore in procinto di visitare e fotografare per la prima volta la Sicilia:

"Ricordalo bene, tu che sei fotografo, altrimenti sbaglierai tutte le tue pellicole, come è capitato a me, specie se le avrai prese molto sensibili: qui la luce è quanto mai diffusa e splendente.


Chi la gode, vedrà il paesaggio tutto in festa, sol per questa luce diffusa che tanto lo illumina..."     

lunedì 20 luglio 2020

L'INCUBO MIGRATORIO DEI "SICILIANI PREPOTENTI" DI ANTONIO RUSSELLO

Marc Chagall, "Il mercante di bestiame".
L'immagine è tratta dalla copertina del romanzo
di Antonio Russello "Siciliani prepotenti",
edito nel 2006 da Santi Quaranta a Treviso

Si deve all'editore Santi Quaranta di Treviso la riedizione, in anni recenti, delle opere di Antonio Russello, lo scrittore di Favara entrato nella lista dei non pochi narratori siciliani messi in ombra dai grandi nomi della letteratura isolana del Novecento.
L'iniziativa si deve al forte legame che Russello - scoperto nel 1960 da Elio Vittorini e da Mondadori con la pubblicazione del romanzo "La luna si mangia i morti" -  ebbe con il Veneto
Qui lo scrittore favarese insegnò letteratura italiana a Treviso e nella Marca Trevigiana, e qui morì - a Castelfranco Veneto - nel 2001.
Fra i titoli riproposti da Santi Quaranta, figura anche "Siciliani prepotenti", edito per la prima volta nel 1963 a Padova da Ronchitelli: una raccolta di 6 racconti in cui Russello, con sarcasmo ed amarezza, descrive la condizione di una Sicilia irrimediabilmente depressa, nel paesaggio e nei personaggi che la popolano.
Nella premessa ai suoi racconti, Antonio Russello immagina un'inquietante invasione dei siciliani in Italia ed in Europa, e la proclamazione di Palermo a capitale della nazione: una bizzarra ed irridente lettura di quell'emigrazione di massa che in quegli anni - Russello compreso - stava riempendo di siciliani le città industriali del "continente":    

"Ora, che i siciliani siano un esercito, nessuno se n'è accorto.
Un esercito che sbarca, prende piede piano piano nella penisola, arriva muto, silenzioso, senza colpo ferire.
Questo esercito in marcia, quest'ondata di barbari cresce: domani succederà che una grande colonia, ad una particolare ora, all'ora x, fissata di comune accordo, conquisterà l'arco alpino che va dal Colle di Cadibona fino allo Stelvio; che altra colonia, dallo Stelvio faccia un cordone di conquista fino al fiume Isonzo; che frattanto un'altra, dal monte Cimone operi in profondità, assestandosi lungo il giogo degli Appennini, fino ai monti Ernici; e che un'altra infine dal Matese si stenda per tutto l'arco appenninico meridionale. 
E che dunque Palermo sia proclamata capitale d'Italia.
Dentro questo cordone di conquista, come tori dentro un'arena, correranno allarmati: liguri, piemontesi, lombardi, veneti, toscani; e si rivolgeranno ai loro prefetti, ai loro questori: i quali ultimi, per esser tutti siciliani, cogli assalitori faranno causa comune, si rivolgeranno ai poliziotti: e questi, quasi tutti siciliani, legheranno le mani ai pochi poliziotti colleghi continentali, che lasceranno libero il campo; chiederanno aiuto oltre i confini delle Alpi; ma qui saranno tutti bloccati dai finanzieri siciliani; si rivolgeranno alle loro donne: ma queste, per essersi già in gran parte sposate con siciliani, faranno causa comune coi loro insorti mariti.
Ci sarà pericolo, come già paventa qualche bell'ingegno, che l'Italia diventi ' una colonia morale, politica, economica, della Sicilia'.
Quel giorno, i siciliani, presosi il potere in Italia, andranno alla conquista d'Europa, risalendo lo stesso corso dei Vichinghi, dei Normanni. lungo la costa francese, inglese, irlandese, con legni leggeri e veloci, per riportare intatta e depositare ai piedi di Rainulfo Drengot d'Altavilla, e dei suoi discendenti una eredità di splendore che dapprima quelli, duemila anni or sono, avevano gentilmente portata in Sicilia"



  

venerdì 17 luglio 2020

VITA E MORTE VIOLENTE DI VINCENZO STIMOLI, LA "IENA" DI ADRANO

Foto segnaletica di Vincenzo Stimoli,
il bandito di Adrano ucciso nel settembre del 1945.
L'immagine è tratta da "L'Europeo"
pubblicato il 24 novembre del 1946

Nella Sicilia del secondo dopoguerra - anni condizionati dalle ferite delle distruzioni, della miseria, del mercato nero e dell'incertezza quotidiana - uomini capaci di reagire violentemente alla precarietà della vita ed al rigore imposto dalle leggi diventarono feroci banditi.
Il più noto, fu senz'altro Salvatore Giuliano da Montelepre, carnefice e poi vittima di manovre politiche e mafiose spesso protagoniste nelle vicende dell'Isola.  
Insieme a quelle di Giuliano, si ricordano però le violenze di altri briganti, specie nella Sicilia centro-orientale: da Giuseppe Dottore ad Alfio Barbera, da Agatino Ciadamidaro a Salvatore Fuselli e Antonino Molano, sino al più sanguinario di loro.
Il suo nome fu Vincenzo Stimoli, conosciuto allora come la "iena" di Adrano; dopo mesi di ricerche, fu  ucciso nel paese etneo nel corso di un lungo conflitto a fuoco con le forze dell'ordine in una palazzina al civico 48 di via Regina Elena
Era di nove anni più anziano di Giuliano, e di maggiore spietatezza, come ricordato dai numerosi aneddoti che circolavano sulla crudeltà dei suoi delitti.
Il solo sospetto di potere essere tradito, o l'avere subito un presunto torto, spingevano infatti Vincenzo Stimoli a mettere mano al mitra, scaricando l'intero caricatore contro la vittima.
Tra le voci che alimentarono la soggezione nei suoi confronti, ci fu anche quella secondo cui conservasse in un sacchetto, sotto sale, la testa di Alfio Costa, una delle persone da lui trucidate.
Fra il luglio del 1944 ed il settembre del 1945, Stimoli - poco più che trentenne, un lavoro incerto da fruttivendolo - uccise otto persone, ferendone molte altre: guardie municipali, confidenti delle forze dell'ordine, ma anche donne da lui ritenute colpevoli di praticare fatture.
Le gesta violente di Vincenzo Stimoli, che era solito muoversi nottetempo fra le strade di Adrano con indosso vestiti femminili, finirono con il diventare un racconto popolare in una ballata scritta da Ciccio Busacca: "Lu briganti Stimoli".
Accompagnandosi con la chitarra, Busacca andava così narrando:

"Subito dopo guerra, amici cari

Stimoli era giuvini d'onuri
e pi 'n pocu di pani guadagnari
ad Adranu facìa lu vinnituri:
vinnituri di frutta e di virdura
pi scacciari la fami e la malura.
Ma lu pirsicutava la sbintura
e pi Stimoli paci non ci n'era:
li vigili urbani, pi sciagura,
Vicenzu li 'ncuntrava tutti a schiera.
Sfurnitu di licenza, Vincinzinu
'n vigili ammazza, e addivintò assassinu"

( "Subito dopo la guerra, amici cari

Stimoli era un giovane d'onore
e per guadagnarsi un pò di pane
ad Adrano faceva il commerciante:
venditore di frutta e verdura
per allontanare fame e miseria.
Ma lo perseguitava la sventura
e per Stimoli non c'era pace:
i vigili urbani, per sfortuna,
Vincenzo li incontrava tutti schierati.
Senza licenza, Vincenzino
ammazzò un vigile, e diventò assassino" )




Se a Ciccio Busacca si deve la narrazione in tono epico della tragica vita del bandito di Adrano, a Salvatore Nicolosi si deve invece la ricostruzione giornalistica delle gesta da criminale.
Capocronista del quotidiano "La Sicilia", Nicolosi raccontò ampiamente la storia di Stimoli nel saggio "Di professione: brigante. Le bande siciliane del dopoguerra", edito nel 1976 da Longanesi.
Lo stesso Nicolosi aveva in precedenza firmato il 24 novembre del 1946 un reportage dedicato ai banditi siciliani sulle pagine de "L'Europeo".
Così il cronista catanese informò allora i lettori sulla vita e sulla morte della "iena" di Adrano:
  
"Vincenzo Stimoli cominciò la sua carriera uccidendo con un fucilata a bruciapelo, nel centro di Adrano, un uomo che gli doveva duemila lire.
In brevissimo divenne un tremendo incubo per il suo paese, dove aveva completamente liquidato il corpo delle guardie ( in parte uccise, in parte fuggiasche per dichiarato terrore: una di queste, minacciata di morte, andò a finire in Emilia, dove probabilmente si trova ancora ).
Portava con sé, dentro un sacco, la testa, che aveva essiccato sotto sale, di una delle sue vittime.
Quando la polizia, l'11 settembre del 1945, seppe che egli si trovava a trascorrere la notte in casa della sua amante, giuntovi dalle campagne ( la casa era nel mezzo del paese ), gli diede l'assedio con trecento uomini, carri armati leggeri, mitragliatrici pesanti e perfino un mortaio, che però non venne usato.
Alla battuta parteciparono, oltre al dirigente della zona dei nuclei mobili, Ribizzi, tutti gli ufficiali di carabinieri e polizia.
Il combattimento durò oltre tre ore; vi trovò morte un carabiniere e vennero feriti due agenti.
Stimoli, da solo, saltando come un pazzo fra il balconcino, la porta d'ingresso e una finestra sul lato posteriore della casa ( da queste tre parti si sferrava l'attacco ), si difese fino all'ultima stilla di sangue.
Morì con 14 colpi proiettili in corpo.
Del suo cadavere - che io vidi all'obitorio del cimitero di Adrano -  avevano paura persino i becchini.
La casa fu, ed è tuttora, chiusa, né alcuno s'è curato di rattoppare  le numerose sberciature che le migliaia di proiettili vi produssero, o di asciugare le spaventose chiazza del sangue del bandito.
Aveva ucciso nove persone, una delle quali, per esempio, solo perché credeva che gli avesse gettato il malocchio.
Fece inginocchiare la vittima e gli disse:
'Sei morto, carogna!', e gli sparò la pistola addosso.
Un suo gregario, Giuseppe Spitaleri, arrestato qualche settimana fa,      mi ha detto, poco prima di essere sottoposto ad interrogatorio:

'Stimoli non parlava mai; soprattutto non minacciava mai, ma se apriva bocca per condannare a morte qualcuno, non valeva nascondersi o avvisare la polizia: ammazzava lo stesso'

Spesso Stimoli arrivava a Catania travestito da donna, con una  parrucca nera e una veste da contadina, e si recava a visitare una delle sue amanti.
Oppure andava a divertirsi con i compagni in una bettola del centro.
Ma nessuno aveva il coraggio di affrontarlo.
Molti sapevano delle sue visite, molti lo videro e lo riconobbero.
Ma poiché nessuno aveva desiderio di essere ammazzato, nessuno parlò mai.
Del resto, Stimoli sapeva sempre se qualcuno aveva in animo di denunziarlo, o se anche solo parlava male di lui.
Quando fu ucciso, i giornali pubblicarono tanti e tanto lunghi elenchi di favoreggiatori, che pareva ad Adrano non dovesse rimanere più una sola persona innocente.
Attraverso costoro Stimoli controllava ( s'intenda la parola alla lettera ) tutta la zona.
E non gli sfuggiva nulla..."




La foto segnaletica di Stimoli riproposta da ReportageSicilia illustrò l'articolo di Nicolosi pubblicato da "L'Europeo".
Fu probabilmente grazie a questa immagine che la scrittrice e giornalista ligure Milena Milani potè così descrivere il bandito di Adrano nella prefazione del saggio edito vent'anni dopo da Longanesi:

"Capelli neri, corporatura robusta, gli occhi luccicanti di bagliori, l'aria sprezzante, un contadino evoluto, che capisce l'importanza delle armi, che quando ne possiede una non sa nemmeno controllarsi, l'imbraccia, prende la mira, vuota tutto il caricatore..."   

  

venerdì 10 luglio 2020

IL REPORTAGE DEL 1963 DI "NAUTICA" A PANAREA

Uno scorcio di Panarea.
Le fotografie del post sono di Giancarlo Costa,
opera citata

Prima di essere generalmente considerata la più snob delle isole Eolie  - nel 1987 la giornalista Lina Sotis riferì che era più facile trovarvi una cassa di champagne che una di triglie - Panarea ha vissuto decenni di isolamento e di spartana vita regolata dal trascorrere delle stagioni, nell'attesa dell'arrivo di qualche forestiero dalla Sicilia o dal continente.
A fronte dell'odierna fama di isola di quel lusso che spesso assume l'aspetto del "kitsch", nei primi decenni del Novecento  l'emigrazione dei suoi abitanti verso continenti lontani - Stati Uniti ed Australia - ne impoverì l'aspetto.
La più vistosa delle conseguenze di quell'esodo fu lo spopolamento di decine di case, spesso costruite in luoghi con eccezionali viste sul mare circostante.
Fu allora che qualche nuovo ed oculato residente di Panarea, sbarcatovi per motivi di lavoro, ebbe l'intuizione di acquistare per poche lire quel patrimonio edilizio che di lì a qualche anno avrebbe assunto un ingente valore immobiliare.
Fu così che questo Eden del Tirreno attirò i primi estimatori provenienti da regioni lontane dalla Sicilia, desiderosi di ritrovare in un angolo remoto delle Eolie paesaggi ed abitudini altrove intaccate dalle trasformazioni ambientali e sociali provocate dal cosiddetto "boom economico".
Molti di loro ebbero l'occasione di scoprire l'isola grazie alle escursioni in barca organizzate da Palinuro da un "Club Méditerranée", una decina di persone alla volta.


Ancora qualche anno fa, i più anziani pescatori locali ricordavano tuttavia che il primo gruppo di scopritori di Panarea fu quello dei naufraghi dell'incrociatore "Bolzano".
Nell'agosto del 1942, la nave da guerra della nostra Marina Militare venne colpita da un siluro inglese a poca distanza dall'isola .
Uomini e donne misero prontamente mano ai remi e con le loro barche da pesca portarono a terra numerosi marinai, diventati i primi involontari scopritori di questo pezzo di patria la cui stessa esistenza era ignota a gran parte degli italiani.    
Appena una ventina di anni dopo quel drammatico episodio, la rivista "Nautica" pubblicò un reportage che raccontava l'essenza di un'isola ignara del suo prossimo destino di luogo in cui vi sarebbe stato più facile consumare un calice di champagne che un piatto di buon pesce locale.
Nel settembre del 1963, il giornalista Giancarlo Costa - autore anche delle fotografie riproposte da ReportageSicilia -  fornì il quadro di una Panarea dominata pienamente dai colori della natura, il "neroazzurro" del mare e il "verde" di una terraferma ricca di olivi, fichi d'India e capperi:
  
"Lontana dalla civiltà e dal turismo di massa sorge Panarea, piccola isola.
In questo paradiso distaccato dal resto dell'Universo e in cui si ha l'impressione che il tempo si sia fermato dal giorno della Creazione, vivono trecento persone a diretto contatto con il mare, con il cielo, azzurrissimo, e con le rocce vulcaniche dalle forme tormentate che le fanno apparire come sculture moderne.
Non si può parlare di un paese, piuttosto di tre gruppi di case collegate fra loro da una graziosa stradina che si tuffa di tanto in  tanto nell'ombra delle piante per riapparire subito dopo sotto il sole cocente.
Gli abitanti sono cortesi e non hanno assunto indifferenza o spregio verso il forestiero.
Il costo della vita non si può certo definire caro, ma bisogna anche considerare che non c'è quasi niente.



Per alloggiare ci si può rivolgere al dottor Cincotta ( pensione completa 2500 lire ) o alla pensione Rodà ( 1800 - 2000 ).
In ambedue le pensioni si mangia all'aperto sotto un fresco pergolato, ma per quanto riguarda l'alloggio, i viaggiatori sono sistemati in linde case di pescatori, dato che non esiste un vero e proprio edificio che funziona da albergo.
Queste casette sono imbiancate a calce e stanno arrampicate tra la vegetazione e qualche metro dal livello del mare.
I ristoranti sono le pensioni stesse citate.
Il noleggio giornaliero di una barca a motore costa sulle 5 o 6 mila lire, e 1500-2000 quello della barca a remi, sulla quale potrete applicare un motorino fuoribordo.
A questo proposito ricordatevi di portare con voi una buona riserva di benzina in qualche tanica di plastica; la benzina a Panarea la vende - quando ce l'ha, e sempre in quantità limitatissime - il meccanico dell'isola, il quale la vende maggiorata di 30-40 lire al litro.
Non ci sono posti di pronto soccorso, ma c'è un radiotelefono con il quale si può chiamare il soccorso aereo.
Il dottor Cincotta comunque ( quello della pensione ) era medico.
Dico 'era' perchè da molti anni ha lasciato la professione per fare l'albergatore, ma in caso di necessità, sia pure entro limiti assai stretti, può 'fare qualcosa'.
La luce elettrica non c'è, e l'acqua in quantità limitatissima è di una cisterna; essa basta ai bisogni della popolazione.
Esiste però l'ufficio telegrafico e quello radio-telefonico.
Data la scarsità del numero degli abitanti sull'isola non c'è la Pubblica Sicurezza, né i Carabinieri, soltanto qualche finanziere che per ragioni di servizio è obbligato a godersi questo paradiso che forse lo annoia..."

Giancarlo Costa non mancò di fornire indicazioni allora preziose per i naviganti e pescatori lettori di "Nautica":


"Arrivando di notte dal Nord ( da Stromboli per intenderci ), bisogna fare attenzioni agli enormi scogli.

Essi non sono segnalati da fari o fanali, e la presenza di un suggestivo relitto di un cargo affondato a Est di Lisca Bianca indica cosa può accadere a chi in mare è distratto.
Il relitto ( l'inglese "Llanishen", colato a picco il 14 maggio del 1885, ndr ) giace con la poppa a 42 metri di profondità, mentre la prua, nella parte più alta è a poco più di 20 metri.



Il relitto è stato molto saccheggiato dai sub, tuttavia, data la sua posizione eretta e la limpidezza delle acque, ha il suo fascino spettrale.
Il fasciame del ponte non esiste quasi più e lascia intravedere l'interno del ventre della nave, e le sue gru e i suoi argani rizzati sembrano ancora attendere una merce che non verrà mai più caricata.
Per il pescatore subacqueo ed il sommozzatore sportivo, i fondali di Panarea e dintorni non possono non offrire interesse e soddisfazioni, sia venatorie che archeologiche o più semplicemente estetiche.
Il piacere di questi sport sono accentuati dalla estrema limpidezza delle acque e dal loro tepore.
Per i pescatori subacquei in particolare Panarea è abbastanza pescosa, ma bisogna scendere un pò fondi: 15 o 20 metri.
Fondali più accessibili sono a Basiluzzo, alle Formiche, a Lisca Bianca ed in genere a tutte le isolette che la attorniano.
In questi luoghi potrete facilmente incontrare i grossi pesci di passo, lecce, tonni, e non è escluso l'incontro con i cetacei, con il pesce spada e con lo squalo..."
  


giovedì 2 luglio 2020

L'ALBA CEFALUDESE DI FRANCESCO BEVILACQUA






DONNE ALLA FONTANA E L'OMAGGIO ALLE VITTIME DI PORTELLA

Foto tratta da "Terra di Sicilia",
opera citata

In una giornata di sole, tre donne riempiono di acqua le loro botti in legno, poggiandole sul bordo della vasca di una piccola fontana.
Nell'attesa di concludere l'operazione, discutono in maniera rilassata alla presenza di un bambino, forse un figlio, forse un nipote.
La donna col vestito scuro poggia in modo aggraziato il piede sinistro sul basamento della fontana, quasi in posa da ballerina. 
Sul muro adiacente, campeggia un manifesto con la scritta "W i martiri di Portella della Ginestra": un omaggio alle undici vittime ed ai numerosi feriti che il 1 maggio del 1947 finirono sotto il fuoco della banda Giuliano.
La fotografia riproposta da ReportageSicilia - sconosciuto è il luogo dello scatto, sconosciuto ne è l'autore - è tratta dalla rivista "Terra di Sicilia", stampata il 10 settembre del 1953 in occasione del Festival Meridionale dell'Unità del 4 ottobre dello stesso anno.