Translate

domenica 27 maggio 2018

LE SCHIZOFRENICHE STORIE MAFIOSE DI SICILIA

Fregio architettonico della Trinacria
in piazza Indipendenza, a Palermo.
La fotografia è di ReportageSicilia
"Ora, le storie siciliane, siano esse di mafia, di para-mafia, di pseudo-mafia, di meta-mafia e adesso pure di anti-mafia - ha scritto il giornalista Filippo Ceccarelli su "il venerdì di Repubblica" del 25 maggio 2018, riferendosi all'inchiesta su Antonello Montante - - sono in genere così intricate che uno preferisce tenersene lontano; lasciando piuttosto che dei veri specialisti, naturalmente siciliani, si dedichino a dispiegare queste complicatissime vicende nel loro sublime e misterioso sviluppo, o destino che dir si voglia.
Il quale a sua volta di regola va a parare, con inconfondibile timbro pirandelliano, su una tale abbondanza di chiaroscuri, ambivalenze, doppiezze e ambiguità da far invocare l'effetto salvifico anche se niente affatto risolutivo della follia, o forse meglio della schizofrenia"

LA VOLUTTUOSA ESTATE CATANESE DI ERCOLE PATTI

Estate siciliana.
Le fotografie di Nino Teresi
vennero pubblicate nel dicembre del 1967
dalla rivista "Sicilia" edita da S.F. Flaccovio
L'estate piomba sulla Sicilia come un falco sulla sua preda: improvvisa e implacabile, consegna al vivere quotidiano lunghe giornate prostrate alla mollezza del sole ed al richiamo irrefrenabile del mare.
La voluttuosa stagione dei bagni, che può iniziare a maggio e concludersi ad ottobre, è stata descritta da Ercole Patti nel racconto "L'adolescenza", pubblicato come prologo in "Diario siciliano" ( Bompiani, 1971 ).


La sensualità dei bagni fra gli scogli di Catania, la contemplazione dei colori, degli odori e dei sapori marini, l'ozio del riposo pomeridiano, il languore gastronomico, fanno dell'estate siciliana di Patti un'esperienza sensoriale, dilagante e struggente.
Leggendo le sue pagine, torna in mente l'abusata ma appropriata espressione di Baudelaire, "sempre il mare, uomo libero, amerai":

"L'odore del mare di Catania nel 1920, quell'odore di vecchie tavole imbevute di salsedine, gli scogli ricoperti di alghe verdi o avana pallido carnose e sensibili come branche di polipo.
L'aria marina trascorreva tra i pali e le passerelle di legno dei vecchi stabilimenti balneari.
Qualche riccio bluastro si vedeva sul fondo ingrandito dall'acqua limpida sotto la verandina battuta dalla brezza marina.


Il mare salato penetrava nelle narici, attaccava le mucose, faceva lagrimare gli occhi durante i numerosi tuffi a chiodo fatti dal piccolo trampolino sporgente dalla scogliera di Guardia Ognina.
Mentre l'acqua marina scivolava sul corpo felice i pensieri confusi del meraviglioso pomeriggio da trascorrere ronzavano nella testa sommersa sott'acqua.
L'acqua scorreva sul corpo compatto e abbronzato in un desiderio struggente della pasta con le melanzane che aspettava a casa sotto un piatto capovolto ancora tiepida.
Il desiderio della pasta con le melanzane era simile come intensità a quello di vedere gli occhi della figlia dell'avvocato che si affacciava alla bassa finestra della casa di fronte.


il rombo leggero del mare che si insinuava fra gli scogli e ne tornava fuori con un movimento di risucchio scoprendo qualche patella che se ne stava leggermente sollevata sulla parete dello scoglio quasi per respirare pronta ad attaccarsi dal demente con la ventosa se qualcuno la toccava.
Durante quelle ore marine mentre l'acqua grondava e si asciugava subito sulla pelle la vita sembrava non dovesse mai aver fine ed era disseminata di ore bellissime di ore bellissime, di risvegli dopo un leggero sonno pomeridiano nella stanza in penombra mentre attraverso le stecche dello storino abbassato arrivava il vento rinfrescato del meriggio...


Il mare rotolava sulla sabbia liscia della spiaggia.
L'olio delle meduse marine vi galleggiava in piccole chiazze e causticava la pelle soltanto che la sfiorasse appena.
Il braccio tenero bruciato dall'olio della medusa; si sentiva l'eco del grido di allarme dei ragazzi che risuonava fra gli scogli:

'L'olio a mare! L'olio a mare!'

Nelle narici c'era l'odore delle erbe carnose vedine e ondulate come una frangia di stoffa.
L'estate dilagava nel cielo a grandi ondate silenziose..."


sabato 26 maggio 2018

LE SEVERE E GEOMETRICHE STRADE DI ERICE

La scalinata che conduce al Duomo di Erice.
Le fotografie sono di ReportageSicilia
"Un nobile ambiente urbano pervenuto prodigiosamente a noi dalla profondità del tempo: qualche borgo medievale della Toscana, uno o due luoghi della più appartata e sofistica Provenza hanno conservato altrettanta purezza di valori"

Così nel 1969 il giornalista triestino Silvano Villani descrisse Erice, ricordandone le lustre stradine e le millenarie e confuse vicende mitologiche, oggi evocate dai pochissimi resti del tempio di Venere.


Molti anni dopo, la giornalista americana Francine Prose ( "Odissea siciliana" , Feltrinelli, 2004 ) avrebbe sottolineato il rigore della pavimentazione lapidea delle strade  nel centro storico ericino:
  
"Erice è così severa e glaciale che sembra di essere all'interno di un diamante: la sua perfezione ha un che di aspro, di tagliente.
Perfino la pavimentazione stradale risponde a questo carattere estetico.


L'erba che cresce lungo i bordi dei ciottoli disposti secondo un preciso disegno geometrico è di un verde così perfetto che sembra uscito da una paletta di pittore.
Sembra più un plastico che una città reale.


Fatta eccezione per i televisori che trasmettono programmi sportivi nei pochi caffè aperti, e le rare auto che osano avventurarsi per le minuscole strade a consegnare i bagagli in qualche albergo locale, non c'è niente che turbi la nostra illusione di aver lasciato il nostro secolo per fare un viaggio nel tempo..."


ISOLA DELLE FEMMINE DI LORENZO VESPIGNANI


LORENZO VESPIGNANI, "Isola delle Femmine", 1953

domenica 20 maggio 2018

I COMANDAMENTI POLINESIANI TRA LE CAPANNE DI CEFALU'

Il "Club Méditerranée" di Cefalù
in una fotografia pubblicata nel giugno del 1963
dal settimanale "Tempo"
Agli inizi degli anni Cinquanta, Cefalù si guadagnò una fetta di notorietà internazionale grazie alla presenza del "Village Magique" e delle sue giovani ospiti "francisi", subito diventate motivo di democratica ossessione per notabili e pescatori del luogo.
Negli anni successivi, la proprietà del "Village Magique" passò di mano, dalla rivista femminile "Elle" al "Club Méditerranée", senza perdere i suoi motivi di attrazione e le informali regole di soggiorno.


L'attività del villaggio venne così illustrata nel giugno del 1963 dal settimanale "Tempo" in una didascalia che accompagnò la fotografia riproposta da ReportageSicilia:

"Sul capo di Santa Lucia, a due chilometri da Cefalù, è sorta una delle iniziative turistiche più originali  della Sicilia.
Il 'Club Méditerranée', un'organizzazione francese, ha costruito un villaggio polinesiano con capanne di paglia, per vacanze in libertà: anche gli abiti di tutti i giorni, o i costumi tradizionali, sono messi al bando.
Con 49.000 lire alla settimana i soci del club possono diventare polinesiani d'aspetto e d'abitudini ( nella quota è compreso il vitto ).
Il villaggio è aperto da maggio a tutto ottobre.


Al club possono iscriversi tutti: basta pagare 1.000 lire come quota d'adesione, una quota di 1500 lire l'anno e promettere di osservare i 'comandamenti' turistici che impongono, tra l'altro: di non fare mai uso del telefono durante le vacanze, di non ricordare mai nelle conversazioni la propria attività e le proprie preoccupazioni di ufficio, di dimenticare l'esistenza delle radio portatili, della luce elettrica e delle candele"
  

sabato 19 maggio 2018

I TAPPETI DI FIORI DELLA TONNARA DI TORRETTA GRANITOLA

Vegetazione spontanea
tra i rottami delle vecchie imbarcazioni
della tonnara trapanese di Torretta Granitola.
Le fotografie del post sono di ReportageSicilia
"Sembra che la vita qui si sia ritratta; sembra tutto scarnificato, pulito, sterilizzato, come un osso, come una carcassa di animale abbandonata sopra una spiaggia"

Così Vincenzo Consolo scriveva nel 1986 ( "La pesca del tonno in Sicilia", Sellerio ) riferendosi allo stato di abbandono in cui versano gran parte delle tonnare di Sicilia.
La metafora di Consolo diventa immediata realtà osservando quanto resta di un gruppo di "bastarde" - le barche un tempo utilizzate per la pesca del tonno - nell'area della ex tonnara di Torretta Granitola, sorta alla fine dell'Ottocento e chiusa nel 1972.



Lo sfasciume dei legni di quelle vecchie imbarcazioni è ormai quasi del tutto ricoperto da un tappeto di vegetazione spontanea, sulla quale primeggia la "barba di Giove" ( "Anthyllis barba-jovis" ).
In questa area del trapanese la natura è ancora rigogliosa di specie floreali endemiche, così ricordate in "Guida alla natura della Sicilia" di Fulco Pratesi e Franco Tassi ( Arnoldo Mondadori Editore, 1974 ):



"E poi la scilla di mare dagli enormi bulbi e dal fogliame lucente che sorge vicino al mare, tra la salicornia e lo statice, il bel pancrazio dai fiori bianchi profumatissimi che sbocciano in estate, le romulee, simili a crochi, dal colore violetto-ceruleo, il gladiolo bizantino, raro e presente solo nella parte centro-meridionale dell'Isola Grande, l'Ophrys apifera e la Serapis cordigera, due orchidacee dalle forme stravaganti e dai colori vistosi, i papaveri, le fumarie dai fiori porporini, vari lupini selvatici dalle grandi spighe di fiori blu-violetti, il melograno selvatico che fiorisce di rosso vivo nella macchia, la strana mandragora dalle radici che assumono forme fantastiche, la comune fedia cornucopia dai fiori rosei, e tante altre che formano, nella macchia bassa e nei coltivi delle isole, delle macchie intense di colore da marzo a giugno..."

domenica 6 maggio 2018

QUANDO LA TARGA FLORIO SFIORAVA LE ROCCE DI SCILLATO

Umberto Maglioli su Lancia in gara
alla Targa Florio del 1953.
La fotografia riproposta da ReportageSicilia
illustrò un breve articolo del pilota di Biella
sulle pagine del "Programma Ufficiale"
della Targa del 1954.
Nella didascalia si legge:
"Maglioli passa sotto le rocce di Scillato"
Si disputa in queste ore la 102a Targa Florio.
Da decenni la sopravvivenza della "gara più antica del mondo" è ormai affidata alla versione per vetture da rally.
Le "prove speciali" percorrono solo in minima parte il circuito stradale tracciato da Vincenzo Florio nell'epoca d'oro della Targa, circostanza determinata pure dall'impraticabilità dell'originario anello d'asfalto.
Le frane - favorite da anni di scarsa manutenzione delle strade - rendono improponibile il riutilizzo dei 72 chilometri del "piccolo Circuito": un dissesto che pesa anche sulla ordinaria viabilità tra molti comuni delle Madonie.
Di quel tracciato della Targa Florio rimangono allora i ricordi dei piloti più anziani, o di quelli nel frattempo scomparsi da tempo, come Umberto Maglioli.
Nel "Programma Ufficiale" della 38a edizione della gara, disputata il 30 maggio del 1954, il pilota biellese - vincitore su Lancia dell'edizione dell'anno precedente - così celebrò il circuito delle Madonie:

"Ritornare alla Targa Florio che mi ha visto vincitore lo scorso anno è per me motivo di somma gioia e di particolare orgoglio.
La Targa non può che invogliare all'ardimento e suscitare passione nei giovani e nostalgia negli anziani del volante.
E' una vera gemma incastonata nel serto delle manifestazioni internazionali: il suo percorso snodantesi in curve e controcurve con un 'misto' ineguagliabile richiede una preparazione accuratissima ed una prestazione fra le più impegnative..."

sabato 5 maggio 2018

L'ESIBIZIONISTICO BAROCCO PALERMITANO SECONDO GUIDO PIOVENE

Elementi architettonici barocchi nel palermitano.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono di Enzo Sellerio e furono pubblicate
dalla rivista "Sicilia" nel maggio del 1963

Nella recensione del saggio di Gioacchino Lanza Tomasi "Le ville di Palermo" ( edizioni "Il punto" ), nell'aprile del 1966 Guido Piovene tratteggiò con buona conoscenza storica della realtà locale i tratti distintivi del barocco palermitano.
Traendo spunto dalle considerazioni di Lanza Tomasi -  che contrapponevano questo periodo architettonico al normanno, quest'ultimo assai noto per monumenti che paiono  "distanti, riveriti, oggetti di indagine e restauro archeologico, avvolti in viluppi edilizi che più nulla hanno in comune con loro" - ville e chiese palermitane del XVI e XVII secolo sono per Piovene

"gli edifici caratteristici della nazione siciliana, specie dalla morte di Carlo V in poi, quando l'Isola si chiude in una vita propria che batte strade diverse da quelle europee"



Così, la visione artistica barocca della capitale del Regno corrisponde alla condizione sociale del tempo, nella quale

"le sue costruzioni hanno un unico scopo, quello di affermare il grado e i diritti della famiglia; recitazione di grandezza e di potenza anarchica condotta mediante i frontoni e i prospetti aulici sulle vie e sulle piazze"

Secondo Piovene, dunque, la città barocca è una realtà teatrale,

"un palcoscenico su cui ogni piccolo regno aristocratico recita la sua parte, costretto ad adeguarsi nelle sue costruzioni alla natura coreografica dell'insieme; quasi un trucco, fondato però su motivi reali, che sono appunto l'esistenza di feudi costretti ad ostentarsi di fronte al viceré.
La grandezza del palcoscenico, gli ampi rettifili, domandano un'adeguata teatralità nei cocchi, nei vestiti, nelle parrucche, nelle scorte dei servi.
Ma le ville extraurbane nascono nello stesso modo: da un rifiuto dei limiti ai diritti sovrani delle famiglie nobili che la debole corte dei viceré vorrebbe imporre.
Le famiglie si esiliano, ruminando i propri rancori, nei feudi di campagna dove la legge non arriva.
Lo stile delle costruzioni risente delle ragioni che le ispirano.
Non è infatti un barocco dinamico e strutturale; ma un coreografico-fiabesco, su un fondo manieristico che l'estro padronale e l'abilità artigiana coprono di bizzarri ornati"




L'analisi del barocco palermitano di Guido Piovene non mancò di sottolineare lo stato fatiscente di quell'edilizia negli anni in cui la città - in pieno "sacco" affaristico-mafioso - stava stravolgendo il proprio volto urbanistico.
Nel 1966, non più di una ventina di famiglie - eredi dell'aristocrazia decaduta - risiedevano ancora nei palazzi costruiti in età spagnola.



Il degrado di quell'architettura fu allora il segno del definitivo tramonto di una classe ancorata a logiche parassitarie, incapace di cogliere occasioni di rinnovamento economico e sociale in una Palermo divenuta nel frattempo la capitale burocratica - paludosa e clientelare - della Sicilia autonoma. 

"Se quasi tutte le ville del palermitano si vanno disfacendo nell'abbandono e nell'incuria - osservava a questo proposito Piovene - la Palermo barocca è stata devastata dai bombardamenti bellici; poco si è fatto dopo per recuperarla.
Nessun amore pubblico andò verso edifici che servivano a scopi diversi da quelli di oggi, difficili da utilizzare, eretti in obbedienza ad una legge puramente teatrale-estetica; perfino una gran parte dei vecchi proprietari si sentì liberata da un peso..."