Translate

mercoledì 29 novembre 2023

L'ANIMA CANGIANTE DELL'ARCHITETTURA PALERMITANA SECONDO RENE' BAZIN

Porta Felice, a Palermo.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia



Sulle orme del più famoso connazionale Guy de Maupassant e sull'esempio di molti altri viaggiatori francesi che tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento scrissero dell'Isola, nell'estate del 1891 René Bazin visitò a lungo la Sicilia. Partito da Marsiglia, il romanziere di Angers sbarcò dapprima a Tunisi, per poi trasferirsi a Malta; da qui, Bazin avrebbe raggiunto la baia di Siracusa, iniziando il suo tour isolano. "Entrato in contatto con una realtà siciliana concreta - ha scritto Pierre Thomas nell'introduzione della ristampa del reportage di viaggio di René Bazin "Sicilia. Bozzetti italiani" ( Edizioni e Ristampe Siciliane, 1979, Palermo ) - Bazin la vive con intensità e ce la restituisce con estrema semplicità e con vividezza di dettagli, forse per il mero piacere di riprodurre fedelmente una verità documentatissima". Un esempio dell'approccio descrittivo di Bazin è testimoniato dalla descrizione del patrimonio architettonico di Palermo, capace di alimentare in lui una lettura storica del carattere dei siciliani:

"I monumenti sono sparsi ovunque. Appartengono a tutte le epoche, ognuno racconta il paesaggio e l'umore sontuoso, poetico o guerriero, con l'animo così diverso delle razze che si sono succedute nell'Isola. Infatti ha sovente cambiato padroni, questa Sicilia, e forse non ne ha amato nessuno, forse ha sempre avuto in fondo al cuore, un sogno deluso di libertà..." 

lunedì 27 novembre 2023

LA MALA SICILIA DEI "PIEDISTALLI" DI MASSIMO SIMILI

La Sala d'Ercole a Palermo,
sede del Parlamento siciliano.
Foto tratta dalla rivista "Sicilia Oggi"
del luglio del 1959


"Comandare è meglio che fottere", dice un ben noto detto siciliano. Questa valutazione - la base, pare, del ragionare e dell'agire da mafiosi - potrebbe riassumere il senso dell'analisi sulla natura dei siciliani ( anche la maggior parte che mafiosi non sono ) fatta dallo scrittore e giornalista catanese Massimo Simili. Autore di uno sterminato patrimonio di romanzi satirici sui vizi della società siciliana ed italiana del secondo dopoguerra - ricordiamo a titolo di esempio "Briganti e baroni", "I pazzi di Taormina", "Capitano catanese", "Gli industriali del ficodindia", "L'anti codice della strada", tutti editi da Rizzoli - Simili spiegò così la deleteria propensione al potere dei suoi corregionali; una caratteristica attestata, oltre che dalla personalità dei mafiosi, da quella della pletora di vecchie famiglie nobiliari e di piccoli e grandi "ras" della politica isolana:

"In Sicilia - si legge nell'articolo "I cav. e i comm. della Sicilia '62", pubblicato dal "Corriere d'Informazione" nel marzo del 1962 - contano contano soltanto gli uomini sui piedistalli: ossia conta il "prestigio" individuale. Il prestigio conferisce dignità, garantisce l'ossequio e il rispetto altrui. Dal rispetto nasce la forza, spesso la potenza. Tutto viene, dunque, concepito in funzione del prestigio. La politica è prestigio. ( Si noti qui, fra l'altro, come soltanto lo statuto siciliano parli di "deputati". In Sardegna, in Val d'Aosta, nel Trentino-Alto Adige, si parla di "consiglieri". Aggiungo che, sebbene lo Statuto non accenni al titolo di "onorevole", i deputati regionali siciliani sono tutti "onorevoli" per auto investitura ). Violenze e delitti, in Sicilia, scaturiscono da menomazioni da prestigio. La mafia stessa non si spiega se non si pensa ad un certo tipo di prestigio. Amicizie, convivenze e rapporti di affari vengono regolati secondo il metro di un minore o maggiore prestigio, e così via. L'aria nuova, le industrie, il "boom" delle grandi città, i contatti sempre più frequenti con gli stranieri, non hanno ancora distrutto i "piedistalli" attorno ai quali si riuniscono le clientele devote e ossequiose. Fianco la laurea può essere ritenuta un piedistallo; in molti casi serve solo per far stampare "dott." sui biglietti di visita, ma in molti casi basta: è già, comunque, una bella soddisfazione e procura un certo credito. 



I "Cav." e i "Comm." hanno la loro importanza ( e stimolano la fantasia: ho conosciuto un "comm. Francesco Gregorio" che non era affatto "commendatore" ma commesso di negozio ). Nel 1813, come da nota inserita agli "Atti di Ferdinando III di Borbone", v'erano in Sicilia 50 principi, 18 duchi, 20 marchesi, 2 conti e 34 baroni qualificati. Oggi, una cifra simile potrà trovarsi nella sola provincia di Caltanissetta. Il prestigio si direbbe aumentato. Affinché l'isola si livelli con le altre regioni... del Nord e del Centro Italia, è necessario togliere di mezzo i piedistalli o attendere pazientemente che crollino. Non è lavoro né questione di un giorno..."



domenica 26 novembre 2023

IL GUERRIERO DI COSTANTINO LAGANA'








 

IL CANTASTORIE DI ALFREDO CAMISA A LEONFORTE

Esibizione di un cantastorie
a Leonforte, nell'ennese, nel 1957.
Fotografia di Alfredo Camisa


"Quelli della valle Padana e della Toscana appartengono alla scuola della fisarmonica, i siciliani e qualche altro del Sud restano fedeli alla chitarra... Quelli del Nord tendono di più a far spettacolo... con dodici cappellucci in testa, uno sull'altro, e un naso finto... o in giubbetto con alamari e cilindro.   I siciliani sono chiusi, tutti in nero, senza concessioni esteriori, ma quando incominciano ciascuno è un grande attore tragico. Hanno due mattatori: Ciccio Busacca e Orazio Strano... Forse la vicenda del cantastorie finirà veramente il giorno in cui non ci sarà più gente semplice, e i cartelloni moriranno, per legge di contrasto, nelle raccolte di collezionisti raffinati. Intanto i superstiti coltivano le loro glorie, e non si dimostrano affatto rassegnati, battono le piazze in motoretta, al posto dei cartelloni dipinti a mano usano sempre più quelli stampati..."

Così nel giugno del 1960 il giornalista Vincenzo Buonassisi - all'epoca non ancora diventato critico televisivo e popolarissimo cultore dell'arte gastronomica - descrisse i cantastorie siciliani che partecipavano a Grazzano Visconti, nel piacentino, ad un torneo italiano riservato a questi artisti di strada. Simili eventi erano assai diffusi soprattutto nei luoghi della provincia italiana: località che nell'architettura e nell'ambientazione locale rievocavano contesti storici del passato.  Negli anni Cinquanta e Sessanta i nomi dei cantastorie siciliani - Ciccio Busacca, Orazio e Vito Strano, Vito Santangelo, Ciccio Rinzino, Franco Trincale, Paolo Garofalo, Turiddu Bellia ed altri - erano noti fra i cultori dello spettacolo e della musica popolare; nel 1956, nella Milano del nascente "boom economico", il Piccolo Teatro arrivò ad ospitare una rassegna dedicata a "Pupi e cantastorie di Sicilia", lontano prologo alla collaborazione fra Ciccio Busacca e Dario Fo.

La fotografia riproposta da ReportageSicilia, realizzata da Alfredo Camisa nel 1957, ritrae lo spettacolo di un cantastorie a Leonforte, ai piedi della scenografica scalinata di piazza Regina Margherita: uno dei tanti palcoscenici urbani che un tempo ospitavano i racconti "per disegni, voce e chitarra" dei cantastorie siciliani.

domenica 19 novembre 2023

COMISO, L'IRRINUNCIABILE "FAR SUD" DI GESUALDO BUFALINO

Architettura a Comiso.
Nella foto che segue,
il busto di Gesualdo Bufalino
collocato all'interno del Municipio.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Leonardo Sciascia abbandonò spesso il suo rifugio di contrada Noce, a Racalmuto, per vivere a Palermo e per frequentare Parigi e Roma. La capitale francese per un profondo legame di natura letteraria, quella italiana per l'esigenza di espletare il ruolo di parlamentare. Vincenzo Consolo lasciò invece Sant'Agata di Militello per vivere e lavorare per molti anni a Milano. Gesualdo Bufalino - contemporaneo di Sciascia e Consolo, a formare una triade di scrittori eternata dalle fotografie di Giuseppe Leone - ha invece scelto di non abbandonare mai la nativa Comiso, scrivendo "pagine e pagine sugli eterni rompicapo del mio paese e sulle sue persone", in un luogo descritto come "piccolo borgo del Far Sud, fra i monti Iblei e il mare".



"La piazza - spiegò Bufalino in "Il Fiele Ibleo" ( Avagliano&Editore, Cava dei Tirreni, 1995 ) -  è il cuore, largo e pieno, del mio paese. In tutto uguale - mi lagnavo da ragazzo - al cortile dell'Ucciardone, salvo che dall'Ucciardone si scappa più facilmente. Non so come, tuttavia, ho deciso di rimanerci per sempre, senza pentimenti e rancori, anzi ogni volta più convinto di non uscirne. Non che qui si stia meglio che altrove, ma anche una talpa si abitua alla sua tana di terra, anche un malato s'affeziona al suo polmone d'acciaio. Io, questo luogo, ho cominciato ad amarlo quando era facile, e ora è troppo tardi per smettere. Del resto, un inferno vale l'altro..."

sabato 18 novembre 2023

AGRIGENTO, IL BELLO SECOLARE DEI TEMPLI E DELLE BIODIVERSITA'

Il tempio della Concordia
ed uno degli ulivi secolari della Valle dei Templi,
ad Agrigento.
Fotografia di Leonard Von Matt,
tratta dal saggio "La Sicilia antica"
edito nel 1959 da Stringa Editore Genova



In una Sicilia che affida i motivi di attrazione più alle glorie del suo passato che a quelle del presente, occorre ricordare che nel 2017 il Parco Archeologico della Valle dei Templi ha ricevuto grazie al progetto "Agri-Gentium: Landscape Regeneration" il Premio Nazionale del Paesaggio. Il riconoscimento ha fatto seguito all'avvio di un piano di valorizzazione delle biodiversità presenti nei 1300 ettari del Parco: un patrimonio agricolo non meno rimarchevole rispetto a quello monumentale e che nel Mediterraneo dell'antichità concorse alla prosperità commerciale di Akragas. Insieme ai resti dei templi, il Parco Archeologico offre al visitatore la magnifica visione di oltre 21.000 piante: oltre 10.000 mandorli, 7641 ulivi - metà dei quali, impiantati nel secolo XVII, di rilevante interesse storico-monumentale - oltre a fichi d'India, agrumi, pistacchi e viti.

"I paesaggi dell'architettura contemporanea - ha scritto Giuseppe Barbera nel saggio "Il giardino del Mediterraneo. Storie e paesaggi da Omero all'Antropocene" ( il Saggiatore, Milano, 2021 ) - sono il risultato di una visione riduzionista basata sull'applicazione di tecniche singole o settoriali, ma quelli tradizionali sono luoghi complessi ( incontro tra natura, storia e percezione, si è detto ) che non vanno valutati solo per il valore di heritage, di bene culturale da salvaguardare, né di riserva di biodiversità o per i prodotti, seppure tipici e di pregio qualitativo, che se possono ottenere. 




Un olivo vecchio quanto il tempio che accompagna, i mantelli di petali di mandorlo, le distese rosse di sulla sono tutto questo insieme. Non sono il passato, sono il futuro: forme, insiemi, quadri che rappresentano le complesse esigenze di sistemi sociali e culturali in continua evoluzione..." 

martedì 14 novembre 2023

IL RICORDO DEGLI OPERAI MORTI UN SECOLO FA NELLA COSTRUZIONE DELLA DIGA DI PIANA

La lista degli operai
morti nella costruzione della diga
di Piana degli Albanesi.
Ad eccezione della seconda,
le fotografie del post sono
di Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Nel 1920, la costruzione della diga di Piana degli Albanesi - terminata nel 1923, un secolo fa - fu una delle grandi opere edili compiute nel palermitano. La diga, eseguita dalla Società Generale Elettrica della Sicilia e destinata a sbarrare il bacino dell'alto Belice, venne realizzata con un rivestimento a monte in cemento blindato. L'altezza raggiunse i 36 metri; la lunghezza si estese a 260; alla base, l'imponente struttura ebbe uno spessore di 67 metri. Il bacino di Piana degli Albanesi, lungo circa 4 chilometri e largo uno, fu all'epoca capace di contenere una ventina di milioni di metri cubi di acqua. Un canale lungo 13 chilometri li convogliava verso una vasca di carico con una portata di circa 50.000 metri cubi dalla quale iniziava una galleria forzata lunga 800 metri, cui faceva seguito una condotta estesa altri 943 metri. 

La diga al termine dei lavori.
Fotografia tratta dall'opera
"Sicilia", edita nel 1933
dal Touring Club Milano


In anni in cui le misure di sicurezza sul lavoro erano assai relative, il cantiere della diga fu teatro di numerosi incidenti mortali per gli operai, non tutti ufficialmente dichiarati o classificati come veri e propri infortuni sul lavoro. Partendo da una relazione tecnica redatta dalla Società Elettrica della Sicilia un anno dopo la conclusione dell'opera e dalla consultazione dei giornali dell'epoca, lo storico Francesco Petrotta ha dato un nome ed un cognome a dieci dei 12 operai morti nei cantieri di Piana degli Albanesi. Le due vittime non identificate morirono probabilmente a Palermo, nella frazione di Falsomiele, durante la costruzione di una centrale elettrica e di una condotta. 



Un altro nome - quello di Nicolò Criscione, impiegato della Società, originario di Santa Cristina Gela - identifica un custode del cantiere che fu invece ucciso dalla mafia della zona, puntuale anche allora ad imporre la propria ingerenza nella costruzione della diga. La ricerca di Petrotta - promotore dell'Associazione "Portella della Ginestra", che tramanda la memoria dell'eccidio compiuto a poca distanza dalla diga il primo maggio del 1947 - ha individuato alcuni dei luoghi di origine degli operai morti nei cantieri: Piana degli Albanesi, Palermo, Casteltermini, Monza, Belluno e Chieti. Dallo scorso 7 novembre, una targa in metallo posizionata sulla cancellata d'ingresso del bacino di Piana degli Albanesi ricorda quelle vittime di un secolo fa. 






E' un tributo che rimanda all'attualità della crescente frequenza degli incidenti mortali sul lavoro in Sicilia: secondo i dati dell'Inail, 24 nei primi 5 mesi del 2023, il 20 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2022.

giovedì 9 novembre 2023

ISOLA DELLE FEMMINE E LA VOCAZIONE CALIFORNIANA PER IL SURF

Foto 
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Sarà forse perché da alcuni anni Isola delle Femmine - in omaggio alla storica emigrazione dei suoi pescatori in California - è gemellata con Pittsburg; o forse perché il grande Joe Di Maggio, campione americano del baseball, nacque a Martinez - sempre in California -  da genitori isolani trasferitisi anche loro sulle rive del Pacifico



Fatto sta che da qualche tempo la spiaggia di Isola delle Femmine, nelle giornate di vento e mare agitato, è diventata la palestra di decine di giovanissimi appassionati del surf. Li si può ammirare nel tentativo di cavalcare le onde - per verità non troppo performanti - soprattutto la domenica e nei giorni festivi: sognando, ovviamente, la California.