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giovedì 27 luglio 2023

QUANDO, PER L'"AUSTERITY", PALERMO SI RIEMPI' DI BICICLETTE E CAVALLI

Cinquant'anni fa Palermo
scoprì l'"austerity".
Foto tratta dalla rivista "Mediterraneo".
opera citata nel post


Il 2 dicembre del 1973, piazza Ruggero Settimo e le altre piazze e vie del centro di Palermo si riempirono di biciclette, carrozzini trainati da cavalli e di altri mezzi di trasporto privato non alimentati da benzina e gasolio. Fu quella la prima domenica in cui i palermitani, al pari di tutti gli altri italiani, sperimentarono le restrizioni ai consumi di carburante imposte dalla crisi petrolifera, causata dal conflitto che contrappose allora l'Egitto e la Siria ad Israele ( con i conseguenti tagli nella produzione di petrolio decisi dai Paesi dell'Opec a causa del sostegno offerto ad Israele dagli Stati Uniti ). Le domeniche di "austerity" rimasero in vigore sino al 10 marzo del 1974, allorché si decise di limitare la circolazione stradale con il criterio delle "targhe alterne". Se da un lato il blocco della circolazione dei veicoli a motori procurò modesti benefici al risparmio di carburanti, dall'altro - come sottolineato nel dicembre del 1973 dalla rivista "Mediterraneo" ( edita dalla Camera di Commercio di Palermo ) - mise in luce la scarsa vivibilità delle città, carenti di servizi pubblici e di aree pubbliche per la collettività:   

"L'era dell'austerità è cominciata ufficialmente a Palermo - come in tutta Italia - domenica 2 dicembre. Costretti a fare a meno delle automobili, i palermitani hanno reagito con spirito, inventando i più fantasiosi mezzi di locomozione. 



Un signore ha segato in due una vecchia Simca e l'ha trasformata in un carrozzino, facendosi trascinare da un cavallo. Il primo esperimento, insomma, ha funzionato benissimo, ma nelle domeniche successive si è visto che l'austerità sarà un peso duro da sopportare. Le città italiane non sono più adatte ad ospitare i cittadini: i mezzi di trasporto pubblico funzionano male, mancano i parchi, non ci sono centri sociali e scarseggiano pure i centri di divertimento, i quartieri assomigliano più a dormitori che a centri di vita. Lo si è visto le domeniche successive, quando, finita la curiosità, è subentrala la noia e la insofferenza. Un'esperienza davvero traumatizzante..."  


 

mercoledì 26 luglio 2023

SE LA SICILIA DEL PASSATO E' MIGLIORE DEL SUO PRESENTE

Statue della fontana Pretoria a Palermo.
In basso, un angolo del mercato di Ballarò.
Fotografie di Edith de Hody Dzieduszycka,
opera citata


Nata a Strasburgo, al lavoro per anni al Consiglio d'Europa, Edith de Hody Dzieduszycka dal 1968 visse fra Milano e Firenze; quindi, undici anni dopo, si stabilì a Roma, occupandosi di moda e fotografia. Quest'ultima passione è testimoniata da un libro pubblicato nel 2004 da Editori Riuniti, dal titolo "La Sicilia negli occhi", con testi di Giampiero Mughini ad Antonio Ducci. Edith de Hody Dzieduszycka scattò le sue fotografie nell'Isola nel giugno del 2003, viaggiando fra Lentini, Ragusa Ibla, Caltagirone, Camarina, Agrigento, Sambuca di Sicilia, Gibellina, Monreale e Palermo. Nella prefazione del volume riassunse le sue impressioni sulla natura della Sicilia e dei suoi abitanti, sottolineando che l'eredità del loro passato è migliore rispetto a ciò che riescano ad esprimere nel presente: 

"Abituata ormai a Roma da parecchi anni, e preda sempre di una tendenza a scegliere piuttosto il lato oscuro delle cose, mai però così forte come in quest'ultimo viaggio avevo sentito il contrasto violentissimo tra la solarità umana e geografica dell'isola e il suo contraltare cupo e direi arcano , una specie di fatalità, che pesa tanto sugli uomini quanto sulle cose, costringendoli a mostrare insieme il meglio e il peggio della loro natura. Il dubbio però mi rimane che il meglio sia ormai più facile scovarlo nel passato. 



Molte cose della Sicilia poi, le ho capite di più leggendo i racconti di Stefano Malatesta o "La bolla di componenda" di Andrea Camilleri. Infatti anche se quest'ultima vicenda si svolge nell'Ottocento, il filo conduttore non mi- sembra tanto reciso..."

domenica 23 luglio 2023

LA TORRETTA DEL CONTE PEPOLI AD ERICE

La Torretta Pepoli
in una fotografia di Carlo Brogi.
Immagine tratta da
"Da Erice a Lilibeo" di Antonino Sorrentino
( Istituto Italiano d'Arti Grafiche,
Bergamo, 1928 )


Singolare figura di appassionato d'arte, collezionista, studioso, scultore, compositore musicale e generoso mecenate nella Sicilia del tardo Ottocento, nato a Trapani nell'agosto del 1848, il conte Agostino Sieri Pepoli - compiuti gli studi a Firenze e Bologna - fondò il Museo di Trapani che porta il suo nome. A lui si devono numerosi lavori di restauro e di sistemazione urbanistica ad Erice, all'epoca denominata Monte San Giuliano. Qui - a partire dal 1872 -  fece costruire la Torretta Pepoli nell'area sottostante al Balio, preoccupandosi di arredarla con oggetti d'arte e di farla circondare da varie specie di alberi e piante.

"Su una piattaforma rocciosa - ha scritto Silvana Riccobono in "Agostino Sieri Pepoli mecenate trapanese del tardo Ottocento" ( a cura di Maria Luisa Famà, Regione Siciliana, 2004 ) - il Pepoli realizza la rocchetta, un villino detto anche torretta Pepoli, ormai divenuta simbolo di Erice. Si tratta di un manufatto da lui stesso progettato e costruito presumibilmente col suo capomastro di fiducia Simonte, nel quale sono compresenti vari stili con due piccole torri, una circolare coronata da un motivo decorativo a scacchi, sormontato da merli; l'altra quadrangolare; la decorazione a scacchi ricorda lo stemma della casata Pepoli di Bologna, adottato anche da Agostino Sieri Pepoli del ramo collaterale trapanese..."



martedì 18 luglio 2023

LA FORNAIA DI PETRALIA SOPRANA

Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia

 

LE BARCHE A PALERMO DI PIERO GAULI








 

I SEGNI SACRALI DEL TERRITORIO DELL'ISOLA

Cappelletta votiva
nel territorio trapanese
fra Custonaci e Castelluzzo.
Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Il paesaggio - ha scritto nel 1985 Matteo Collura recensendo il saggio di Antonietta Iolanda Lima "La dimensione sacrale del paesaggio" ( Flaccovio Editore Palermo ) - malgrado gli stravolgimenti della modernità, conserva ambiti e segni propri della sacralità arcaica. Tanto da rendere possibile la stesura di una mappa sacrale del territorio; possibile a condizione che si indaghi soprattutto la cultura contadina che, avendo come base la coltivazione della terra, è, e rimane, universale.Il territorio, anche così come oggi lo vediamo, è carico di segni sacrali, di "nodi sacri" non necessariamente legati alla religiosità ( il sacro può scaturire dal trascendentale e può non essere toccato dal culto )..."

"... Ogni croce al bordo di una strada ha una sua storia, una sua leggenda; e così ogni edicola, ogni cappella, tutti i calvari e i santuari. Oggi, l'edificare, l'insediarsi, l'espandersi rispondono ad esigenze puramente economiche. Non era così una volta, quando luoghi e architetture risentivano dei miti e delle leggende che in ogni roccia, in ogni monte, in ogni fiume, in ogni piega della terra nidificavano. Ed ecco la scansione del tempo secondo il calendario popolare, e i luoghi e i tempi delle feste e delle fiere, e la curiosa mappa dei tesori di cui ovunque si tramanda in Sicilia, e la cristianizzazione dei toponimi coi tanti paesi dedicati a santi e madonne..."

lunedì 17 luglio 2023

GIOVANNI DE SIMONE, IL CERAMISTA CON IL FUOCO DELLA GASTRONOMIA SICILIANA

Piatti delle cucina siciliana
nelle fotografie pubblicate nel 1974
nel libro di Giovanni De Simone
- ritratto alla fine del post -
"La Cucina di Sicilia",
opera citata nel testo


Giovanni De Simone, palermitano, è stato il più importante ceramista siciliano del Novecento nel secondo dopoguerra. Le sue opere sono da tempo oggetto di ricerca da parte di cultori e collezionisti che esibiscono le sue ceramiche nei salotti di tutto il mondo. Dopo gli studi a Faenza, De Simone fece ritorno a Palermo; qui, a metà degli anni Cinquanta, fondò le "Maioliche d'Arte De Simone", avviando un'attività che lui stesso paragonò a quella di "un grosso artigiano che conosce il suo mestiere, aiutato dai colori e dalla solarità della Sicilia". A margine della produzione di ceramiche, disegni e dipinti, Giovanni De Simone si dedicò nel tempo libero ad un'altra passione di forte matrice isolana: quella della gastronomia, attività testimoniata da un'opera letteraria oggi dimenticata e di difficile reperimento. Il libro, intitolato "La Cucina di Sicilia" e corredato da 28 tavole a colori realizzate a Pantelleria e da 28 tavole fuori testo, venne pubblicato nel 1974 da SIAI-Edizioni d'Arte Nuovo Sud; nell'aletta di copertina, si svela l'origine della passione di De Simone per la cucina siciliana:

"Giovanni De Simone cominciò a cucinare in occasione di una grande mattanza di tonni a Trabia, nel 1952, nella tonnara del Principe Lanza. Erano ospiti, quel giorno, del Principe Raimondo: Hemingway ed Onassis. Dopo una lunga giornata di mare un tonno fu tagliato ed essendo ammalato il cuoco e castellano Zizzo, il nostro autore si cimentò come cuoco e grande fu il suo successo. Molti anni sono passati; De Simone, oltre a cucinare solari ceramiche, nelle domeniche e quando ha tempo coltiva la cucina del suo Paese. Dal farla allo scriverla il passo è stato breve..."






Nella prefazione di "La Cucina di Sicilia" ( cui seguirà nel 1987 "La Cucina di Pantelleria", sempre edito da SIAI-Edizioni d'Arte Nuovo Sud ) il maestro ceramista spiegherà così il bisogno - una spinta quasi etica, nata dal riconoscimento del valore profondamente identitario della cucina siciliana - di scrivere un'opera dedicata alla gastronomia dell'Isola:

"Con amarezza ho constatato che con il benessere ed in concomitanza ad esso la dolce alchimia dei fornelli sta piano piano scomparendo. La ricercatezza delle antiche ricette viene ogni giorno derisa da frettolose improvvisazioni cuciniere avallate da articoli e belle fotografie sui grandi settimanali femminili. E' vero che adesso si mangia di più, che c'è più abbondanza, ma è anche vero che si mangia peggio di quando si mangiava poco. Il peso negativo delle tradizioni in Sicilia ha suscitato nel siciliano moderno una ribellione ad esse ed un netto rifiuto di tramandarle. Il ripudio purtroppo è stato totale sia per le buone che per le cattive. Le cattive erano e sono moltissime, le buone poche ma più facilmente sopprimibili. Tra queste, la tradizione della buona cucina...

... In questa epoca di transizione che potremo chiamare "pre-turistica" si è cercato da parte di imprenditori, di direttori di enti e di aziende di soggiorno, di fare resuscitare quel poco di tradizioni sotterrate. Quindi si è visto fiorire trattorie assurdamente folcloristiche, ristoranti esotici con menù esterofili. Nelle case borghesi gli ora frettolosi siciliani mangiano di corsa cibi fasulli, fanno e seguono diete anomale e disarmoniche. Si vive contro la nostra stessa natura di meridionali tralasciando di cibarci come costume di popolo, di tempo, di sole. Ho quindi dapprima cercato qualche ricetta. Ho chiesto ad amici, parenti. Poi sono stato aiutato e confortato nella lunga ricerca e nella interpretazione di pesi e misure dal grande maestro, oltre che di pennello anche di cucina, Gino Morici... Il labirinto delle versioni, le desinenze , le provenienze tutte di queste ricette ho cercato e vagliato. Ora, nel riordinarle le ho anche provate nelle mie domeniche in campagna. Oltre a queste antiche, alcune nuove ne ho aggiunte, le ho spiegate e tradotte apportando, in queste nuove soltanto, dei piccoli ritocchi che a mio giudizio le hanno migliorate. Forse sono meno di cento le ricette siciliane che io penso si debbano salvare dall'ibridismo o peggio dalla trascurata dimenticanza. Possa il mio libro fare valido argine a cucine a gettone, a panini imbottiti, ... ma soprattutto che avvenga tra me che scrivo ed i miei lettori una tacita alleanza contro la effimera esistenza di quei locali che si autodefiniscono tipici e ammanniscono nei loro menù tagliatelle alla bolognese, risotto alla milanese, trippa alla fiorentina e gnocchi alla romana, che, oltre a non avere troppa somiglianza coi loro ottimi fratelli, sviliscono la nobile cucina siciliana..."  






Le 200 pagine del libro comprendono un "preambolo storico" dedicato alla gastronomia regionale, un elenco di ricette che spazia da quelle degli antipasti, sino a quelle dei gelati e della frutta; ed ancora, una lista di vini, un glossario, una guida alla spesa ed un elenco di "trattorie e ristoranti raccomandabili"



Ogni copia del libro di Giovanni De Simone conteneva inoltre una cartolina che dava diritto all'acquirente - previa indicazione della ricetta preferita - di ricevere in regalo "un utensile d'arte in ceramica, fuori commercio, con sovraimpressa la ricetta, a firma del ceramista Giovanni De Simone": un omaggio che rimandava all'opera di un artista della ceramica intriso di passione per la sua Terra.