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martedì 31 maggio 2016

LUCI ED OMBRE DELL'"ISOLA DI CERERE"

Un reportage sullo stato dell'agricoltura siciliana nel 1956 sottolineava la ricchezza e la povertà del settore, in un periodo segnato dall'illusione per l'avvento dell'industria petrolifera


Immagini di contadini siciliani al lavoro
nelle campagne degli anni Cinquanta.
Le fotografie, firmate "Foto Greco", illustrarono
un reportage del giornalista Antonio Pecoraro Maiorca
pubblicato sulla rivista "Sicilia" nel marzo del 1959

"Accanto all'immagine di una Sicilia terra di profumo e di incanto, alligna un'altra immagine, resa più aspra dal neorealismo del cinema e da una propaganda non sempre ispirata a buona fede; è l'immagine di un'isola arida, punteggiata qua e là da siepi di ficodindia, deserta di case dalle lande arse dal sole, dove di tanto in tanto avanza il contadino a cavallo, mentre il fucile caricato a lupara attende insidiosamente al varco.
L'una e l'altra immagine sono come due facce, entrambe ingannevoli, di una realtà ben più diversa da quella consacrata nell'oleografia o nella stampa a colori, di una realtà attiva e operosa, quella di una Sicilia che lavora e produce, nella lotta quotidiana contro una natura geografica e meteorologica ostile e negata a rispondere ad una moderata fatica umana"
Con questa premessa, il giornalista economico Antonio Pecoraro Maiorca firmò 57 anni fa un reportage sullo stato dell'economia agricola siciliana, con dati produttivi relativi al 1956.
L'articolo venne pubblicato dalla rivista "Sicilia", edita nel marzo del 1959 dall'Assessorato Regionale al Turismo; le fotografie riproposte da ReportageSicilia ( attribuite a 'Foto Greco' ) illustrarono quel resoconto, suggestivamente intitolato "L'isola di Cerere".
Si apprende così che

"l'intera superficie produttiva della Sicilia ammonta a 2.400.000 ettari, e di questa superficie, 1.500.000 sono destinati ai seminativi semplici e alberati; 300.000 ettari ai pascoli permanenti, 500.000 alle colture legnose specializzate e alle altre coltivazioni industriali.



Il valore dei prodotti del seminativo, nel 1956, ammontò a circa 51 miliardi, ai quali va aggiunta la produzione dei foraggi per un altro miliardo; di contro al valore di tale produzione, stanno i 100 miliardi di produzione della superficie siciliana destinata alle colture arboree: il 75 per cento dell'agricoltura siciliana dà, quindi, un reddito di 51 miliardi, mentre il restante 25 per cento dà un reddito di 100 miliardi.
Perché il quadro sia completo si deve ancora tenere presente che la superficie seminativa della Sicilia rappresenta il 13 per cento dell'intera superficie nazionale, mentre il valore della produzione agricola espresso in cifre del 1956, corrisponde al 6 per cento della produzione nazionale..."

Quindi Pecoraro Maiorca così descrive il quadro delle produzioni agricole del tempo, a cominciare da quelle di arance, mandarini e limoni:

"cinquantaquattro miliardi di agrumi prodotti nel 1956 in larghissima parte destinati all'esportazione, dicono chiaramente il contributo dell'Isola all'economia del Paese e alla bilancia dei pagamenti internazionali.
Il valore della produzione dei vigneti ammontò a circa quindici miliardi, pari a circa il 18 per cento dell'intera produzione nazionale.
se relativamente trascurabile e destinata al consumo locale, è la produzione di frutta fresca - ad eccezione dell'uva e delle primizie - ha un notevolissimo peso, invece, la frutta secca, il cui valore, sempre nel 1956, ammontò a circa diciassette miliardi, pari al 33 per cento della produzione nazionale.
Il valore complessivo dei prodotti dell'ulivo ammontò a circa tre miliardi, pari al 20 per cento della produzione nazionale.



Tra i ventisei miliardi di ortaggi prodotti, tengono il primo posto i pomodori; nell'economia nazionale, gli ortaggi della sicilia si inseriscono soltanto con l'otto per cento della produzione, mentre il cotone, per un importo di circa tre miliardi, tra fibra e seme, rappresenta più che l'ottanta per cento dell'intera produzione italiana"
   
L'interesse delle pagine di Pecoraro Maiorca sta - oltre che nelle indicazioni statistiche sullo stato dell'agricoltura nell'isola di sessant'anni fa - anche in alcune considerazioni sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia del tempo.
Riferendo la situazione del comparto della frutta secca, ad esempio, l'articolo informa che il suo valore commerciale ammontò a "circa diciassette miliardi, pari al 33 per cento della produzione nazionale".
Poi Pecoraro Maiorca sottolinea:

"in tale produzione è incorporato un forte coefficiente di lavoro umano, da quello delle braccia necessarie alla coltivazione, a quello umile e quasi sempre ignorato, delle donne chiuse per mesi e mesi ad aprire i gusci delle mandorle e delle nocciuole, e colpite spesso da malattie di lavoro causate dalla polvere respirata, e non ancora riconosciute come tali, dalla legislazione sociale"

Il resoconto della rivista "Sicilia" non nasconde poi le difficoltà strutturali del settore agricolo dell'isola, penalizzato allora più di oggi dalla logistica, dall'impronta latifondistica delle proprietà e dalla scarsa presenza di consorzi produttivi:

"il contadino siciliano deve lavorare il doppio per ricavare la metà, rispetto al contadino di altre zone d'Italia più favorito dalla natura ed inserito più razionalmente nel sistema e conomico-produttivo.
Questo è l'aspetto più vistoso della sproporzione, ma altri aspetti, potrebbero essere colti leggendo nelle relazioni economiche, ed analizzando le sensibili differenze di compenso effettivo del prodotto siciliano nelle incidenze del costo reale sui prodotti lordi vendibili..."




Infine - altro significativo dato riferito in quell'articolo del 1959 - l'autore segnalava con speranza l'avvento di un'attività economica che all'epoca veniva considerata come una nuova e determinante risorsa per lo sviluppo della regione: il petrolio.
"Le trivelle - il riferimento di Pecoraro Maiorca andava al recente sfruttamento dei  giacimenti ragusani ed al nascente petrolchimico di Gela - con le loro sagome agili e slanciate hanno trasformato in molte zone il panorama della Sicilia; ancora una decina di anni fa sarebbero parse visioni utopistiche, mentre oggi sono una parte essenziale dell'economia della nostra isola"

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