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domenica 28 gennaio 2018

LA GENUINA PRIMITIVA ISPIRAZIONE DI FILIPPO BENTIVEGNA

Un ritratto fotografico di Filippo Bentivegna,
e, sotto, due delle opere di scultura
realizzate dall'artista di Sciacca.
Le fotografie illustrarono un articolo di Emilio Paladini
pubblicato nel 1960 dalla rivista
"Sicilia, quindici anni di autonomia regionale"
La personalità umana ed artistica di Filippo Bentivegna - lo scultore delle teste in pietra arenaria ed intagliatore di alberi di Sciacca - sono state oggetto di interesse di decine di giornalisti e scrittori di storie siciliane.
Uno delle analisi più complete e ricche di notazioni caratteriali sul singolare personaggio si deve a Stefano Malatesta, sensibile testimone di bizzarre storie e irripetibili personaggi di quel teatro quotidiano è la Sicilia
Nel suo "Il cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani" ( Neri Pozza, 2000 ), Malatesta ha così riassunto la singolare ed ossessiva produzione artistica di Bentivegna:

"Le opere vanno giudicate per la loro qualità artistica e andare a rintracciare le eventuali patologie dell'autore, stabilendo una connessione tra i suoi lavori, e, mettiamo, la schizofrenia, non ha alcun senso.
Nè dal punto di vista della scienza e meno che mai dal punto di vista estetico"



Molti anni prima - nel 1960 - un articolo firmato da Emilio Paladini intitolato "Filippo Bentivegna, un artista istintivo e potente" - ne aveva inquadrato il profilo di scultore ispirato da una autentica vena primitiva e simbolista, da contrapporre a quella giudicata "artificiosa" di Pablo Picasso ( altro personaggio finito nella galleria di teste di Bentivegna ):

"Da più di trent'anni - scrisse Paladini sulla rivista "La Sicilia, quindici anni di autonomia regionale" -  quest'uomo, intellettualmente e spiritualmente primitivo, senza cultura né scuola, un autentico contadino ossessionato da una immaginazione febbrile, ha popolato di teste, a migliaia, la sua campagna, scolpendole nella viva roccia del monte e disponendole tutte a gironi, come una bolgia dantesca.
Ha scarnificato gli annosi alberi d'ulivo, con sadica voluttà.
Nella sofferenza dei tronchi contorti, ha racchiuso con tragica potenza espressiva quei mostri, quegli spiriti folli che tormentano la sua anima e lo spingono ad animare la natura arida e rude che lo circonda, conferendole forma d'arte ed elevando a simbolo le forme che crea.
Arte e simbolismo sono in ogni cosa di quello strano regno che riproduce realisticamente il giardino della maga Circe, una bolgia infernale, in ogni testa che rievoca i più celebri personaggi della storia e della letteratura della fantasiosa epopea cavalleresca; nel tormento dei corpi umani intricati con corpi di mostri in continua lotta, in tragica disperazione, in tutte le figurazioni che affrescano le pareti interne ed esterne della sua casa e nello stesso suo autore, in Filippo pietrificatore di miti.
Per i sentieri che si dipartono e si allacciano su una balza di qualche ettaro di terreno si snoda la teoria lunga delle teste e sono quelle di Garibaldi, di Vittorio Emanuele III, di Mazzini, di Napoleone, di Mussolini e di tanti altri storici personaggi.
E vi è anche quella del traditore Gano di Magonza, con gli occhi fuori dalle orbite, schiacciato da una caterva di teste: sono quelle dei paladini traditi a Roncisvalle.
Altre teste di traditori sono pietrificate sulla pareti esterne della Casa del Mistero che conserva i segreti dell'arte di Filippo Bentivegna.
Sono quelle dei suoi nemici traditori perché hanno tentato di rubare i segreti della sua arte.
Fra queste v'è anche quella di Picasso!



Ci piace comparare le due figure: fra Filippo Bentivegna e Picasso vi è un'unica differenza: Picasso ci vuole apparire artificiosamente un primitivo, mentre Bentivegna lo è, naturalmente.
Nel Bentivegna la personalità dell'artista è fusa a quella dell'uomo, talchè la bizzarria dell'arte, il popolo giudica pazzo l'uomo.
Se l'arte è follia il Bentivegna è la più eloquente espressione di questa felice simbiosi.
Egli non ha cultura né scuola, ha solo fantasia e sentimento che vibrano riflessi in ogni sua composizione, or che sviluppi scultoriamente un mito, or che partorisca una opera nuova che dà vita ad un simbolo.
La sua mania è quella ricreare teste e corpi sofferenti, ma vibranti, nel modellato di febbrile ed erotica passione.
La sua filosofia si esprime in una sua frase 'da testa nasce testa', testa intesa come organo motore di ogni umana attività, forziere di passioni e di sentimenti..."




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