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venerdì 18 gennaio 2019

LE BOTTEGHE DEI BARBIERI DELLA VECCHIA GIBELLINA

Botteghe di barbiere a Gibellina,
prima del terremoto che nel gennaio del 1968 devastò il Belice.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono tratte dall'opera di Antonino Cusumano
"La Strada Maestra, memoria di Gibellina"

Dopo che il 15 gennaio del 1968 il terremoto squassò il Belìce, Gibellina perse completamente il suo volto di paese rurale diviso in sei quartieri ( Santa Caterina, Acqua Nuova, Pizzo di Corte, San Nicolò, Sant'Antonino e Zubbìa ) con due presenze architettoniche di riferimento storico: i ruderi del castello di età chiaramontana e la chiesa madre.
Al disastroso evento sismico, Gibellina ha risposto dando vita ad un nuovo agglomerato urbano, diventato laboratorio e museo a cielo aperto di arte contemporanea: un esempio di sperimentazione e creatività in verità rimasto isolato, mezzo secolo dopo, nel panorama dei ritardi e dei dissesti che segnano presente e futuro del territorio belicino.
Prima del terremoto, anche Gibellina univa in un rapporto strettissimo gli abitanti e le strade urbane.

"La strada - ha scritto Antonino Cusumano nel suggestivo saggio "La Strada Maestra, memoria di Gibellina", edito nel 2003 dal Comune di Gibellina e dalla Provincia Regionale di Trapani - non era che il prolungamento della casa, uno spazio frastagliato da scale esterne e soglie prospicienti, un'appendice pubblica dell'abitazione privata, uno slargo in cui si risiedeva, si lavorava, si intesseva la fitta rete delle relazioni..."

Il saggio di Cusumano è illustrato da decine di fotografie della Gibellina pre-terremoto.
Si tratta di immagini che testimoniano la fitta trama di relazioni interpersonali del paese negli anni Cinquanta e Sessanta:  ritratti di persone e di oggetti capaci di rievocare voci, suoni e umori di un'intera comunità ignara dell'incombente disastro.



Tra le fotografie che illustrano una realtà per sempre perduta, quelle delle botteghe dei barbieri rivelano la funzione sociale di luoghi di incontro e discussione, rigorosamente maschili:

"Nella via Umberto erano concentrati i quattro bar del paese, la tabaccheria della signorina Lombardo, la prima per volume di affari e movimento di avventori, e soprattutto la gran parte dei saloni dei barbieri.
Era all'interno delle loro botteghe, pervase dai profumi di borotalco e di colonia, che davvero 'si faceva politica', si costituivano e si scioglievano le alleanze, si determinavano le sorti del governo comunale e dei candidati alle elezioni.
Luogo maschile per eccellenza, il salone era punto di aggregazione e di ritrovo di quanti volevano vendere o compare terre, animali, vi si svolgevano le intermediazioni o 'sensalie', si concludevano gli affari.
Stimato maestro di rasoio era, tra gli altri, Nicolò Bonura.
Da lui imparò il mestiere Giuseppe D'Aloisio, barbiere dall'età di dodici anni, tra i più popolari del paese tanto da potere vantare 480 clienti fissi.
La sua bottega era anche una rivendita di quotidiani e rotocalchi"

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