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venerdì 20 marzo 2020

EPIDEMIE E RELIGIONE, LA SALVIFICA PREGHIERA ALLA "SANTUZZA"

Fotografia di Letizia Battaglia,
tratta da "Santa Rosalia e la sua gente",
con un testo di Salvo Licata, Palermo, 1987

Come accade in tutte le stagioni di epidemie e pandemie che la storia ricordi - e quella del coronavirus sarà fra queste, la prima anche in Sicilia del secondo millennio - si riscopre in questi giorni la dimensione della quotidianità domestica.
La casa diventa il luogo in cui far scorrere la vita, da soli o in famiglia.
Si mette alla prova la capacità di relazione fra marito e moglie, tra genitori e figli, tra i fratelli e le sorelle; si rivaluta la forza di questi rapporti e la loro fragilità, anche in funzione di quando - chissà quando, e chissà come - tutto questo sarà finito. 
Balconi e finestre permettono i contatti a distanza con l'esterno; anche con i vicini mai frequentati o, sino a pochi giorni fa, mal sopportati.
Le città in cui ci muoviamo hanno ormai da giorni dimensioni comprese fra la porta di casa ed il più vicino supermercato.
In tanti tornano a pregare.
Non nelle chiese - dove le messe sono sospese ( con le lagnanze di qualche sacerdote ) - ma nel chiuso delle pareti domestiche.
Si invoca la fine della epidemia a Dio Onnipotente, al Signore Gesù, a Maria Ausiliatrice, a San Michele, a Santa Rita, a San Rocco, ai Santi Cosma e Damiano ed ad altre figure religiose di venerazione locale.
Catene di orazioni viaggiano in rete, ma non mancano le riunioni carbonare di "gruppi di preghiera" casalinghi che oppongono al rischio del contagio la recita collettiva di rosari e invocazioni.  
Palermo sta ovviamente ricorrendo all'intervento salvifico alla sua "Santuzza": quella Santa Rosalia che, secondo tradizione, liberò la città dalla peste dopo l'attracco al Molo Nord - il 7 maggio del 1624 - di un vascello della "redenzione delli cattivi", ossia del riscatto dei cristiani prigionieri degli "infedeli" in Tunisia.

Fotografia di Melo Minnella.
Opera citata

In quei giorni - scrisse il giureconsulto e diarista Gianfrancesco D'Auria - l'epidemia di peste non svuotò le strade, ma le trasformò in teatro dei famigerati spettacoli dell'Inquisizione:

"Vanno i padri per la città, confessando et communicando li malati di contagio e di questi padri ni sono morti per causa del contagio et travaglio.
L'abito è di tela azola.
I devoti portano collari, catene, teschi di defunti. libbrazzi attaccati a travi et altri simili che a molti parve essere spettaculo della Santa Inquisizione..." 


2 commenti:

  1. Come sempre tutti i post sono interessanti, ma questo è quello che sento come mio perchè descrive in modo semplice ed efficace la realtà che stiamo vivendo.

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  2. Come sempre tutti i post sono interessanti, ma questo è quello che sento come mio perchè descrive in modo semplice ed efficace la realtà che stiamo vivendo.

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