Fra tanti scrittori e saggisti siciliani che impegnano pagine fondamentali negli studi critici della letteratura italiana, ve ne sono alcuni completamente dimenticati o mai considerati dagli stessi critici.
Uno di questi è il palermitano Ernesto Mellina, il cui nome è rimasto sconosciuto a ReportageSicilia fino a quando l’autore di questo blog non ha recuperato da una bancarella romana una copia di un saggio a suo nome intitolato “Fascino del Sud”, edito nel 1958 da Signorelli Editore Roma.
Il libro – scriveva Mellina nella prefazione – “è una rassegna di escursioni storiche, estetiche, archeologiche e folcloristiche fatte turisteggiando per la Penisola”.
Il “Sud” cui si riferisce il titolo è appunto quello dell’intera Penisola italiana rispetto ad altre nazioni europee, perché le escursioni di cui ha scritto Mellina – oltre che Palermo, Caltanissetta, Taormina, Agrigento, Siracusa e l’Etna - riguardano anche luoghi come i castelli valdostani, Trento, Bassano del Grappa o Venezia.
La narrazione di Mellina – frutto di un viaggio condotto da Nord e Sud d’Italia a bordo degli “elettrotreni” - non consente di ricavare notizie precise sull’autore.
Nella quarta di copertina, una scheda fornisce queste indicazioni generiche, che permettono di indicarlo come allievo di Salvatore Riccobono - docente di Diritto Romano all’Università di Palermo dal 1898 al 1931 - e come intellettuale schierato su posizioni interventiste:
“Nato a Palermo, ha formato la propria personalità letteraria in un’epoca in cui una schiera di artisti siciliani, quali il Verga, il Capuana ed il Pirandello, apportava nuovo vigore e nuove idee alla cultura italiana.
E’ questo il tempo in cui è allo zenith la poesia di Carducci, del Pascoli e del D’Annunzio, sul cui esempio egli affina la propria sensibilità artistica. Preso dal vortice della prima Guerra Mondiale, non si contenta di partecipare alla lotta, ma ardente come la sua terra, sente il bisogno di rincuorare le truppe in armi con discorsi e manifesti.
Si rivelano, in tal periodo, le sue particolari doti oratorie e letterarie. Uscito dalla Scuola di Salvatore Riccobono, intraprende la carriera amministrativa senza tralasciare gli studi umanistici. Scrive nel “Gazzettino di Venezia”, nel “Resto del Carlino”, nel “Sicilia del Popolo” e collabora alla Rivista “L’Italia”. Critico letterario, si ferma volentieri a descrivere paesaggi con l’occhio della persona cui piace fermare le immagini in una prosa d’arte limpida e scorrevole”.
E’ questo il tempo in cui è allo zenith la poesia di Carducci, del Pascoli e del D’Annunzio, sul cui esempio egli affina la propria sensibilità artistica. Preso dal vortice della prima Guerra Mondiale, non si contenta di partecipare alla lotta, ma ardente come la sua terra, sente il bisogno di rincuorare le truppe in armi con discorsi e manifesti.
La valle dei Templi. Scrive Mellina che "c'è in essi un contenuto ieratico come se una sacerdotessa li alimentasse ad onta della consumazione dei secoli" |
Oltre a “Fascino del Sud”, Ernesto Mellina ha lasciato le sue tracce letterarie in almeno altri due saggi artistico-letterari: “Dante nella pineta di Classe ed altri incontri”, edito nel 1954 a Siena da Ausonia e “La scultura di A.Canova”, pubblicato nel 1961 ancora da Signorelli Editore Roma.
Personaggi di una processione dei "Misteri" a Caltanissetta |
In “Fascino del Sud”, i capitoli dedicati alle località della Sicilia si intitolano “Mandorli nella Valle dei Templi”, “I misteri di Caltanissetta – Il Giovedi Santo”, “Zagare nella Conca d’oro”, “La città di Aretusa”, “Taormina, bella Signora” ed “Appuntamento con le stelle sull’Etna”; a corredo di queste pagine, sono pubblicate alcune fotografie che ReportageSicilia ripropone nel post.
In navigazione sul corso del fiume Ciane. "I papiri! I papiri! fa il nostro Caronte, diventato improvvisamente loquace..." |
Nel capitolo introduttivo, intitolato “Verso la Sicilia”, Ernesto Mellina esprime alcune attualissime considerazioni sui siciliani, tanto più lucide perché pubblicate 12 anni dopo il riconoscimento all’isola di quello Statuto autonomo che avrebbe dovuto assicurarle sviluppo economico e sociale:
“I siciliani, che lamentano d’essere stati abbandonati nello sforzo di risorgere, non hanno nulla da rimproverarsi per tale abbandono? Possono affermare obiettivamente d’aver dimostrato, nella loro storia, di possedere quelle qualità d’iniziativa e di organizzazione necessarie a realizzare, alla stregua delle altre regioni, un programma costruttivo di lavori e di riforme sì da portare la loro isola su un piano di progresso uguale a quello delle altre regioni? I siciliani, pensosi sopra di ogni altra cosa di sé stessi, sono negati a tutelare un interesse collettivo e a far valere congruamente i diritti della loro regione. Assenti dalle pubbliche discussioni, sono alieni dal rischiare i capitali per le industrie più lucrose; diffidenti e tal volta presuntuosi nel ritenersi furbi, non fanno che attendere la manna dal cielo. Per altro anch’essi sono responsabili del mancato avanzamento di civiltà in Sicilia. Provvisti d’ingegno, poco valgono in casa loro, e soltanto riescono a farsi apprezzare quando vanno fuori dalla loro terra…”
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