Pubblicate nel 1975 su un saggio curato da Giuseppe Cipolla, le immagini dell'abbandono del cuore urbano descrivono ancor oggi una realtà attuale
Le fotografie riproposte in questo post da ReportageSicilia ricordano uno degli atti più gravi commessi ai danni del patrimonio di Palermo nel secolo scorso: l'abbandono del centro storico dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale.
Palazzi, edifici monumentali e piazze cittadine, dopo le bombe alleate, hanno offerto nei decenni successivi lo spettacolo perdurante di mura ridotte a brandelli, intonaci sbrecciati, chiese e palazzi scoperchiati: un'eredità ancor oggi visibile dell'incuria e del disinteresse della classe politica locale, cui negli ultimi anni si è posto solo parzialmente rimedio.
Le omissioni e le scelte colpevoli iniziarono già con l'applicazione del Piano di Ricostruzione del 1947 e si aggravarono con quella del Piano Regolatore del 1963.
Ancora nel 2014, una passeggiata nel centro storico di Palermo - in corso Vittorio Emanuele, all'Albergheria, a Borgo Vecchio - offre lo spettacolo dell'edilizia sventrata dai bombardamenti del lontanissimo 1943 e dai successivi cedimenti strutturali.
Nei decenni passati, lo scenario palermitano post-conflitto è stato oggetto di denunce, esposti, dibattiti fra urbanisti ed architetti, reportage giornalistici italiani e stranieri.
Il lavoro di denuncia forse più convincente e doloroso fu quello compiuto da Danilo Dolci a metà degli anni Cinquanta, nel saggio "Inchiesta a Palermo" che raccolse una serie di autobiografie di residenti nei quartieri disastrati della città storica come il Capo, il cortile Cascino o la Kalsa.
L'abbandono del centro storico palermitano è così stato un fenomeno tanto analizzato in corso d'opera da rendere incomprensibile il motivo stesso della conseguente assenza di interventi immediati.
Una spiegazione dell'immobilismo si lega certo alle note scelte amministrative ed affaristiche che hanno indotto a promuovere le attività edilizie del secondo dopoguerra nelle periferie rurali della vecchia città, con nuove colate di cemento: il famoso "sacco di Palermo", all'ombra di compromessi politici con i costruttori legati alla mafia e di complicità con i burocrati delle amministrazioni locali.
Eppure, anche la "variabile mafia" da sola non riesce a spiegare il perchè di tanto disinteresse mostrato in quegli anni per i destini del centro storico, depositario di monumenti e strade che raccontano la millenaria storia di Palermo.
La corsa verso la nuova edilizia, il vorticoso fiume di denaro da essa alimentato - a beneficio anche di subappaltatori, fornitori, commercianti e famiglie immigrate dall'interno della Sicilia verso il capoluogo dell'isola, divenuto il centro dello sviluppo amministrativo, occupazionale e demografico della Regione - spazzarono via le poche voci della cultura e degli illuminati palermitani del tempo.
Le proteste degli "intellettuali" e dei sovraintendenti sul degrado del centro storico si levarono solo in occasioni di eventi "colti", come il furto della Natività del Caravaggio dall'Oratorio di San Lorenzo o il crollo del palazzo della Zisa.
C'è insomma da chiedersi cosa sarebbe oggi Palermo se i suoi amministratori ed i palermitani avessero seriamente curato il recupero del patrimonio edilizio dei quattro mandamenti: certo, una città straordinariamente "storica" ed economicamente meno povera. Cosi, ancora il 28 agosto del 1985 il "Corriere della Sera" pubblicava un reportage di Cesare De Seta intitolato "Solo fantasmi nel centro storico di Palermo".
L'articolo descriveva così l'abbandono:
"Il centro storico di Palermo è uno spettacolo doppiamente penoso e amaro: penoso perchè è difficile trovare una simile condizione di degrado congiunta ad una così alta qualità del bene che va scomparendo, sicchè il pessimismo della ragione induce a ritenere - mestamente e quanto mestamente - d'essere giunti ad un punto di non ritorno; amaro, perchè non so da quanti decenni i pubblici responsabili hanno giurato e spergiurato che si sarebbe fatto l'impossibile per porre rimedio a questo stato di cose.
Non si è fatto neppure il possibile e l'indispensabile.
Attorno al capezzale del malato sono stati chiamati cerusici, speziali e medici, essi si sono industriati con le loro arti e con le loro terapie, si sono consultati, hanno redatto studi.
Pile di carte e cartacce si sono accumulate negli anni tanto da intasare un'intera biblioteca; ma, ad onore del vero, nulla si è mosso.
Il centro storico di Palermo vive una condizione limite perchè è venuta meno la condizione essenziale per la sopravvivenza di un ambiente: non c'è più gente che lo abita.
Per quanto assai poco degna sia la condizione in cui versa il centro storico di Napoli o il borgo medievale di Bari, pure essi hanno il vantaggio d'essere popolati.
C'è chi sostituisce un vetro infranto alle finestre, c'è chi ripara alla meglio un tetto che fa acqua, una pluviale che perde, un infisso che non chiude, un solaio che non regge.
A Palermo, questo cuore della città è in balia dell'acqua, del vento, del sole, del vandalo che scassa per il gusto di scassare..."
Dieci anni prima del reportage di Cesare De Seta, un saggio dal titolo "Per il risanamento di Palermo", curato da Giuseppe Cipolla ( Vittorietti Editore ) propose una lettura della rovina del centro storico cittadino attraverso la ricerca di un gruppo di alunni di una scuola media.
Le fotografie del post sono tratte da quel libro, il cui valore metodologico ci sembra attualissimo e degno - quarant'anni dopo - di una riproposizione: sarebbe un modo per verificare quanto è stato fatto e quanto ancora c'è da fare per recuperare il patrimonio edilizio e umano dello straordinario cuore urbano di Palermo.
Altri giochi di strada nella devastazione urbana del quartiere della Magione |
Edilizia distrutta dalle bombe del secondo conflitto mondiale nell'area della foce del fiume Oreto |
Le omissioni e le scelte colpevoli iniziarono già con l'applicazione del Piano di Ricostruzione del 1947 e si aggravarono con quella del Piano Regolatore del 1963.
Ancora nel 2014, una passeggiata nel centro storico di Palermo - in corso Vittorio Emanuele, all'Albergheria, a Borgo Vecchio - offre lo spettacolo dell'edilizia sventrata dai bombardamenti del lontanissimo 1943 e dai successivi cedimenti strutturali.
Via Scalini, nel quartiere del Capo. Sullo sfondo, la cupola della Cattedrale |
L'inconfondibile ambientazione di piazza Caracciolo, nel cuore della Vucciria. Oggi le condizioni di degrado del quartiere non sono cambiate di molto rispetto all'epoca di questa fotografia |
Il lavoro di denuncia forse più convincente e doloroso fu quello compiuto da Danilo Dolci a metà degli anni Cinquanta, nel saggio "Inchiesta a Palermo" che raccolse una serie di autobiografie di residenti nei quartieri disastrati della città storica come il Capo, il cortile Cascino o la Kalsa.
L'abbandono del centro storico palermitano è così stato un fenomeno tanto analizzato in corso d'opera da rendere incomprensibile il motivo stesso della conseguente assenza di interventi immediati.
Nel centro storico di Palermo molte chiese monumentali sopravvivono a stento sulle strade dei mercati popolari. L'immagine pubblicata nel 1975 ritrae la chiesa di San Gregorio al Capo |
Una spiegazione dell'immobilismo si lega certo alle note scelte amministrative ed affaristiche che hanno indotto a promuovere le attività edilizie del secondo dopoguerra nelle periferie rurali della vecchia città, con nuove colate di cemento: il famoso "sacco di Palermo", all'ombra di compromessi politici con i costruttori legati alla mafia e di complicità con i burocrati delle amministrazioni locali.
Eppure, anche la "variabile mafia" da sola non riesce a spiegare il perchè di tanto disinteresse mostrato in quegli anni per i destini del centro storico, depositario di monumenti e strade che raccontano la millenaria storia di Palermo.
Piazza Bologni, con la statua di Carlo V e palazzo Belmonte-Riso ancora danneggiato dai bombardamenti del 1943. Il restauro dell'edificio sarà completato solo nel 2008 |
Altro edificio monumentale abbandonato per decenni dopo la guerra: è la chiesa di San Sebastiano, recuperata al culto solo nel 2008 dopo decenni di spoliazioni del suo patrimonio artistico |
La corsa verso la nuova edilizia, il vorticoso fiume di denaro da essa alimentato - a beneficio anche di subappaltatori, fornitori, commercianti e famiglie immigrate dall'interno della Sicilia verso il capoluogo dell'isola, divenuto il centro dello sviluppo amministrativo, occupazionale e demografico della Regione - spazzarono via le poche voci della cultura e degli illuminati palermitani del tempo.
Le proteste degli "intellettuali" e dei sovraintendenti sul degrado del centro storico si levarono solo in occasioni di eventi "colti", come il furto della Natività del Caravaggio dall'Oratorio di San Lorenzo o il crollo del palazzo della Zisa.
C'è insomma da chiedersi cosa sarebbe oggi Palermo se i suoi amministratori ed i palermitani avessero seriamente curato il recupero del patrimonio edilizio dei quattro mandamenti: certo, una città straordinariamente "storica" ed economicamente meno povera. Cosi, ancora il 28 agosto del 1985 il "Corriere della Sera" pubblicava un reportage di Cesare De Seta intitolato "Solo fantasmi nel centro storico di Palermo".
L'articolo descriveva così l'abbandono:
"Il centro storico di Palermo è uno spettacolo doppiamente penoso e amaro: penoso perchè è difficile trovare una simile condizione di degrado congiunta ad una così alta qualità del bene che va scomparendo, sicchè il pessimismo della ragione induce a ritenere - mestamente e quanto mestamente - d'essere giunti ad un punto di non ritorno; amaro, perchè non so da quanti decenni i pubblici responsabili hanno giurato e spergiurato che si sarebbe fatto l'impossibile per porre rimedio a questo stato di cose.
Non si è fatto neppure il possibile e l'indispensabile.
Attorno al capezzale del malato sono stati chiamati cerusici, speziali e medici, essi si sono industriati con le loro arti e con le loro terapie, si sono consultati, hanno redatto studi.
Via Savona, nel quartiere della Kalsa- Il vecchio quartiere dei pescatori mostra ancora oggi i segni dell'abbandono dopo i pesanti danneggiamenti del 1943 |
Pile di carte e cartacce si sono accumulate negli anni tanto da intasare un'intera biblioteca; ma, ad onore del vero, nulla si è mosso.
Il centro storico di Palermo vive una condizione limite perchè è venuta meno la condizione essenziale per la sopravvivenza di un ambiente: non c'è più gente che lo abita.
Per quanto assai poco degna sia la condizione in cui versa il centro storico di Napoli o il borgo medievale di Bari, pure essi hanno il vantaggio d'essere popolati.
C'è chi sostituisce un vetro infranto alle finestre, c'è chi ripara alla meglio un tetto che fa acqua, una pluviale che perde, un infisso che non chiude, un solaio che non regge.
A Palermo, questo cuore della città è in balia dell'acqua, del vento, del sole, del vandalo che scassa per il gusto di scassare..."
Dieci anni prima del reportage di Cesare De Seta, un saggio dal titolo "Per il risanamento di Palermo", curato da Giuseppe Cipolla ( Vittorietti Editore ) propose una lettura della rovina del centro storico cittadino attraverso la ricerca di un gruppo di alunni di una scuola media.
Ancora un'immagine di piazza Bologni, con la scenografica facciata di palazzo Alliata di Villafranca. Attualmente, questa piazza attende il pieno recupero strutturale dei suoi edifici storici |
Le fotografie del post sono tratte da quel libro, il cui valore metodologico ci sembra attualissimo e degno - quarant'anni dopo - di una riproposizione: sarebbe un modo per verificare quanto è stato fatto e quanto ancora c'è da fare per recuperare il patrimonio edilizio e umano dello straordinario cuore urbano di Palermo.
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