Il racconto di una spericolata evasione dal castello nei primi anni del secolo XVII nella narrazione del giornalista e scrittore Franz Maria D'Asaro
La rocca ed il castello di Caccamo. Fotografia di ReportageSicilia |
Quello palermitano di Caccamo è uno dei castelli più grandi e meglio conservati dell'isola; la sua costruzione non è attestata con certezza prima del 1203, quando il paese, allora feudo di un Paolo Cicala conte di Collesano, veniva descritto come "terra et castellum".
"L'attuale imponente aspetto del castello - ha scritto lo studioso Ferdinando Maurici in "Castelli medievali in Sicilia" ( Sellerio, 1992 ) - è dovuto alle continue modifiche, ampliamenti e restauri succedutisi nel corso dei secoli. L'identificazione di parti murarie o elementi dell'originario castello normanno appare estremamente problematica".
L'interesse per questo magnifico fortilizio, tuttavia, non è solo alimentato dalla complessità delle sue vicende architettoniche.
Come per tutti i castelli dalla storia secolare, anche quello di Caccamo vanta infatti leggende ed episodi al confine incerto fra voce popolare e realtà.
Una di questi episodi vuole addirittura che l'edificio sia stato il luogo in cui è stato sperimentato un primo rudimentale tentativo di lancio con il paracadute.
La circostanza, riferita al racconto di un vecchio guardiano del castello, venne così ricordata nel 1979 dal giornalista e saggista Franz Maria D'Asaro:
"Giuseppe La Rosa, erudito guardiano ed amabile cicerone del castello di Caccamo,- scrisse D'Asaro in "C'era una volta la Sicilia" ( Edizione Thule ) - contesta tutte le enciclopedie e sfida gli storici di tutto il mondo: il paracadute è stato inventato qui, nelle tetre celle di questa fortezza - 521 metri sul livello del mare - che domina la valle del torrente San Leonardo.
Il castello in una fotografia di Ezio Quiresi. L'immagine venne pubblicata nel I volume dell'opera "Sicilia", edita nel 1962 da Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini |
Fu inventato qui, del tutto occasionalmente, come per tante invenzioni, da due poveri disgraziati che nulla potevano sapere, né dei disegni alati di Leonardo, né che gli antichi cinesi si dilettavano a venir giù da alberi e rocce con grandi ombrelli costruiti in carta e bambù, né che qualche hanno prima della loro disperata impresa F. Venanzio da Sebenico aveva ideato nel 1595 un paracadute a calotta che soltanto due secoli dopo ( 1797 ) sarebbe stato realizzato dal francese A.J.Garnerin.
Scrupoloso cronista, quasi redivivo testimone dell'impresa, Giuseppe La Rosa racconta senza la minima incertezza che tutto accadde nel 1600, allorché due prigionieri - dominatori di turno della fortezza, dopo i saraceni ed i normanni, erano gli spagnoli - ormai convinti dell'impossibilità di ogni tentativo di evasione, ma fermamente decisi a conquistare la libertà, pensarono di affidare le loro sventurate esistenze ad un progetto folle: in una giornata di vento ciascuno si sarebbe afferrato alle quattro estremità di una grande tela quadrata ( forse lenzuoli introdotti da complici esterni ) lanciandosi da una delle 365 aperture del castello ( ogni apertura corrisponde a un giorno dell'anno ), con la speranza di riuscire a planare nella grande vallata, guadagnare la campagna e dileguarsi.
Un immagine d'inizio Novecento del castello. La fotografia è tratta dall'opera "Sicilia" edita nel 1933 dal TCI per la collana "Attraverso l'Italia" |
Venne finalmente la giornata adatta e i due prigionieri attesero il momento propizio per l'incredibile salto: si lanciarono nel vuoto attaccati a quelle vele precarie, ma una sola riuscì a gonfiarsi di vento e a trascinare a valle il temerario fuggiasco che, però, nell'atterraggio si slogò una caviglia e fu preda facilissima per il drappello spagnolo precipitatosi all'inseguimento non appena alla fortezza si erano accorti - è facile immaginare con quale stupefazione - dell'ingegnosa fuga.
Per l'altro nessun problema: si era sfracellato sulle rocce sottostanti.
Il superstite fu riportato al castello e già ci si preparava all'eccitante spettacolo della forca - un diversivo molto gradito per gli annoiati signori di quel tempo che venivano regolarmente invitati a questo genere di 'feste' - ma il comandante della fortezza, ammirato da tanta audacia, graziò il prigioniero per due ragioni: per il coraggio, esaltato anche dalla tragica fine del suo sfortunato compagno, e per aver inventato il paracadute..."
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