E' il caso della descrizione di un gruppo di ragazzi palermitani incontrati da Fava una sera d'estate del 1966 all'interno della cinquecentesca fontana di piazza Pretoria.
Lo scatto del fotografo Mario Torrisi li coglie mentre discutono sul bordo della vasca in cui troneggia la statua coronata che rappresenta il fiume Oreto ( uno degli storici simboli del degrado di Palermo ), pomposamente arricchita da uno scettro e da un leone.
Lo scatto del fotografo Mario Torrisi li coglie mentre discutono sul bordo della vasca in cui troneggia la statua coronata che rappresenta il fiume Oreto ( uno degli storici simboli del degrado di Palermo ), pomposamente arricchita da uno scettro e da un leone.
Sono gli anni del famigerato "sacco edilizio" della città e dell'affermazione di una classe politica locale piegata agli interessi dei capimafia delle borgate dove il cemento sfregia la secolare bellezza di Palermo.
In quel periodo - tranne qualche rara ed isolata voce, promossa soprattutto dal quotidiano "l'Ora" - nessun intellettuale o personalità della cultura cittadina fu capace di prendere pubblica posizione contro la criminosa e dissennata gestione edilizia della città.
In quel contesto di indifferenza, Giuseppe Fava identifica così in pochi ragazzi abbigliati secondo i canoni della moda "beat" gli unici ribelli di Palermo:
"Tre di quei giovani - si legge in "Processo alla Sicilia" ( Editrice ITES, 1967 ) - avevano i capelli lunghi fin sull'omero, e il quarto invece aveva una piccola testa rapata.
Erano così languidi, così amichevoli ( ... ) erano capelloni: suonavano la chitarra, il basso, la batteria e il quarto cantava.
Si chiamavano Domenico Scalici, di 18 anni, studente d'avviamento, Gianni Ricci di 18 anni studente dell'industriale, Andrea Di Franco di 18 anni odontotecnico e Marco Murri di 19 anni meccanico.
Non si conoscevano nemmeno, si erano fatti crescere i capelli ognuno per conto suo: le gente li sfotteva.
Un giorno Domenico aveva incontrato Gianni e tutti e due si erano messi insieme alla ricerca di un terzo che avesse i capelli lunghi per formare un trio musicale.
Avevano trovato Marco.
Ma ci voleva qualcuno che cantasse, e allora avevano cercato ancora un quarto capellone, e non ne avevano trovato.
Alla fine avevano convinto Andrea a farsi crescere i capelli.
Bisognava aspettare quattro mesi.
'Vogliamo suonare canzoni beat e manifestare la nostra ribellione!'
Dissero così.
Palermo dormiva quieta, sembrava quasi paga di tutte le cose che aveva fatto durante la giornata.
L'unico segno di ribellione era questo"
"Tre di quei giovani - si legge in "Processo alla Sicilia" ( Editrice ITES, 1967 ) - avevano i capelli lunghi fin sull'omero, e il quarto invece aveva una piccola testa rapata.
Erano così languidi, così amichevoli ( ... ) erano capelloni: suonavano la chitarra, il basso, la batteria e il quarto cantava.
Si chiamavano Domenico Scalici, di 18 anni, studente d'avviamento, Gianni Ricci di 18 anni studente dell'industriale, Andrea Di Franco di 18 anni odontotecnico e Marco Murri di 19 anni meccanico.
Non si conoscevano nemmeno, si erano fatti crescere i capelli ognuno per conto suo: le gente li sfotteva.
Un giorno Domenico aveva incontrato Gianni e tutti e due si erano messi insieme alla ricerca di un terzo che avesse i capelli lunghi per formare un trio musicale.
Avevano trovato Marco.
Ma ci voleva qualcuno che cantasse, e allora avevano cercato ancora un quarto capellone, e non ne avevano trovato.
Alla fine avevano convinto Andrea a farsi crescere i capelli.
Bisognava aspettare quattro mesi.
'Vogliamo suonare canzoni beat e manifestare la nostra ribellione!'
Dissero così.
Palermo dormiva quieta, sembrava quasi paga di tutte le cose che aveva fatto durante la giornata.
L'unico segno di ribellione era questo"
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