Mare antichissimo di tonni e tonnare - quello della borgata palermitana di Porticello - ed oggi porto peschereccio che ospita circa 250 imbarcazioni ed almeno 1200 pescatori.
Con le loro reti a strascico e le attrezzature per il palamito, le barche di Porticello si spingono sino alle acque sarde di Sant'Antioco; ed a ragione si dice la flotta locale sia seconda per importanza in Sicilia solo a quella di Mazara del Vallo.
Intorno al 1880, la determinazione dei pescatori porticellesi li portò ad affrontare un periodo di crisi delle attività ittiche superando addirittura lo stretto di Gibilterra, sino alle coste spagnole della Cantabria.
Molti di loro si dedicarono alla salagione delle acciughe ed alla confezione del tonno sott'olio, mettendo a frutto saperi e tecniche tramandate da generazioni di abitanti della borgata palermitana.
La vicenda - una delle tante storie di emigrazione di pescatori siciliani oltre il Mediterraneo - venne così ricostruita nel 1949 da Giuseppe Quatriglio in un reportage intitolato "I pescatori di Porticello a Santander" e pubblicato da "Mediterranea - Almanacco di Sicilia" ( Industrie Riunite Editoriali Siciliane ):
"C'erano state tre annate, una dietro l'altra, di magra assoluta.
Sembrano che i pesci fossero stati inghiottiti dall'oceano o che una gigantesca barriera impedisse loro di raggiungere il Tirreno.
I pescatori di Porticello, tirate le reti all'asciutto, le avevano rammendate fin troppo nelle lunghe giornate inoperose.
Le donne nelle case pregavano la Vergine perché scongiurasse la carestia e dirigesse i tonni verso le tonnare e le sarde verso le reti e le nasse dei mariti e dei fratelli.
Il sole splendeva implacabile sulla tristezza di quella gente minacciata dalla fame.
I più baldi si riunirono un giorno dinanzi alle acque crudeli e decisero di fare qualcosa di risolutivo.
'Se i pesci non vogliono venire, saremo noi a cercarli',dissero, e armato il veliero grande, partirono dopo avere ottenuta la benedizione dei vecchi.
'Torneremo, torneremo', furono le ultime parole dei volenterosi che passarono sui molti fazzoletti sventolanti, coprendo di commozione la gente di Porticello.
La navigazione durò a lungo ed il viaggio fu ricco di avventure; finalmente, dopo avere attraversato il Mediterraneo, superato lo stretto di Gibilterra e costeggiato il Portogallo, il veliero raggiunse il golfo di Santander.
I pescatori siciliani credettero giunto il momento di toccare terra e di decidere di comune accordo sul da farsi.
Quel che avvenne dopo lo raccontano oggi i nipoti di quei coraggiosi che a Laredo, a Santona, a Castro Urdiales, a S.Vicente de la Barquera e in tutti gli altri centri costieri del Nord della Spagna esercitano l'industria della pesca.
Quando visitai quelle zone della Spagna, mi si offerse la visione di un paesaggio noto.
Incontrai lo stesso azzurro intenso dei nostri mari, le stesse casette basse dei pescatori costruite in prossimità della riva, lo stesso lindore in ogni cosa.
Rividi Porticello in aspetti cangianti ma fondamentalmente identici, e mi convinsi che non fu solo un caso a guidare settant'anni addietro i pescatori in quelle contrade, ma un intuito che valica i confini della comune comprensione"
Vent'anni dopo il racconto di Giuseppe Quatriglio - l'8 luglio del 1969 - il settimanale "Domenica del Corriere" documentò l'attività di pesca a Porticello grazie ad un reportage redatto da Gianpiero Malaspina e corredato dalle fotografie di Gabriele Milani.
I due si imbarcarono a bordo del "Rosalia", impegnata insieme alla "Concetta II" in una battuta di pesca in un tratto di mare distante una quarantina di miglia da Porticello, a Nord-Est dell'isola di Ustica.
L'articolo di Malaspina non ricorda l'avventurosa migrazione dei pescatori porticellesi nelle acque spagnole raccontata due decenni prima da Quatriglio.
Si da invece conto delle procedure per la complessa calata del palamito: un robusto monofilo in nailon lungo diecimila metri con grossi ami innescati con un calamaro, un sugherello o un mazzetto di sarde.
Dopo una nottata di attesa - accompagnata da una "frugalissima cena a base di pomodori, pezzi d'acciuga in salamoia e pane col sesamo" - il bottino delle pesca sarà generoso: un pescespada di 150 chilogrammi, una verdesca incappata nell'arpione dello stesso Malaspina e mezza tonnellata di alalunghe.
"Il ritorno - scrive il giornalista in chiusura del reportage - è festoso e non potrebbe essere altrimenti.
Vediamo in lontananza, tra le nebbie della calura di mezzogiorno, la punta di Priola, doppiamo capo Mongerbino e capo Zafferano.
L'equipaggio, sdraiato a prora, canta una nenia in dialetto siciliano mentre Salvatore, il comandante, ingrugnito come sempre, punta su Porticello.
Ha fretta di vendere"
Nessun commento:
Posta un commento