Nel 1967 Franco Franchi - pseudonimo di Francesco Benenato - e Cicco Ingrassia erano all'apice della loro carriera cinematografica, alimentata dalla instancabile ed intensiva produzione di film regolarmente stroncati dalla critica del tempo ma seguitissimi dal pubblico. ( "Ho visto nelle edicole meridionali molti giornaletti con le avventure di Ciccio e Franco - Franco Franchi e Ciccio Ingrassia - i più dozzinali comici italiani che la TV scaraventa in tutte le case il sabato sera. Non si poteva scendere più in basso e i teatri con i loro ori, con la loro teorica funzione culturale, sono fantasmi del passato. Si può parlare, in questo caso, dei mezzi audiovisivi come fattori di educazione?", scrisse quell'anno il critico musicale Angelo Falvo sul "Corriere della Sera", ndr ). Ciascuna delle loro pellicole - girate spesso contemporaneamente in due settimane - costava da 100 a 170 milioni e arrivava ad incassarne anche 600 o 700. Quell'anno nei cinema furono proiettati 9 nuovi film della coppia di comici palermitani; e proprio alla fine del 1967 - il 3 dicembre - il giornalista Pietro Zullino pubblicò sul settimanale "Epoca" una lunga intervista a Franco Franchi. Il reportage ebbe luogo nel suo appartamento romano, al terzo piano di un caseggiato del quartiere Tuscolano, a poca distanza dagli studi di Cinecittà. Nel servizio pubblicato da "Epoca" - intitolato "Il pagliaccio che si chiude in casa ad ascoltare Bach" - Franco Franchi spiegò di essere appassionato di musica classica, al punto da ospitare a casa musicisti da camera per ascoltare dal vivo i repertori di Vivaldi, Haydin o Boccherini. L'attore rievocò anche a Zullino i primi anni di povera gavetta artistica vissuta in strada, nella Palermo del secondo dopoguerra:
"Incominciò a studiare a vent'anni, quando faceva ancora il posteggiatore per le vie di Palermo e, non essendo mai andato a scuola, - si legge nell'articolo del giornalista - sapeva soltanto scrivere la sua firma. La "posteggia", in Sicilia, è lo spettacolino all'aperto che la più infima categoria di attori improvvisa negli angoli delle piazze. In realtà si tratta di una rappresentazione-fiume che dura anche sei ore consecutive e comprende canzoni, scenette, macchiette, in programma e a richiesta.
"Il capocomico incominciava così: "Signore e signori, il teatro ci ha chiuso le porte, siamo ridotti a questo per portare del pane alle nostre mogli e del latte ai nostri bambini... Noi siamo gli attori, noi siamo i cassieri, ogni tre numeri faremo un giro con il cappello... Il comico più bravo lo mettiamo all'asta: un bis vi costa mille, un tris duemila lire"
Franchi rievoca senza nessuna vergogna questi umilissimi inizi. Il comico più bravo naturalmente era lui per le sue imitazioni di Hitler, per i suoi lazzi irresistibili e plebei, per le macchiette di Nicolino Ristrettezza e Arcangelo Bottiglia. Nella gag di Nicolino Ristrettezza, Franco Franchi cantava:
"Con l'impiego che ho trovato, stongo sempre disperato: lo stipendio non mi basta "p'acattà nu chilo 'e pasta".
Come Arcangelo Bottiglia:
"Ragioniere, ragioniere, voi dovete ragionà..."
Con la canzone boccaccesca "Concì, Concià, Concè", faceva esplodere la piazza. Dopo l'imitazione di Hitler, concludeva suonando un'immaginaria trombetta con naso tra le mani. Si era nell'immediato dopoguerra, e Franchi aveva da poco smesso di fare il garzone di fornaio. La sua vocazione artistica gli era valsa l'espulsione da casa. Viveva di stenti: una volta aveva persino passato la notte in mezzo agli accattoni su un marciapiede, o meglio sulle grate di ferro di un albergo diurno, dalle quali usciva il tiepido vapore degli scaldabagni..."
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