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sabato 14 giugno 2014

L'IMPOSSIBILE DISTACCO NELLO SGUARDO SULL'ISOLA


Visitare la Sicilia solo per conoscerne le sue note bellezze: l'irrealizzabilità di questo viaggio secondo Guido Piovene


Il Circolo dei Civili a Caltagirone.
La fotografia è di Enzo Sellerio
ed è tratta dal II volume dell'opera "Sicilia"
edita nel 1962 da Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini


"Come guardando un palcoscenico - scriveva nel 1957 con Guido Piovene nel suo "Viaggio in Italia" ( Mondadori ) - si assiste in Sicilia al contrasto di progressivi estremi nelle azioni e nel vocabolario, e di umiliati e offesi dalle riforme che prendono il linguaggio luttuoso e profetico degli spettri.
Se potessimo essere osservatori estranei, diremmo che in Sicilia il mutamento di strutture diventa anche spettacolo, ricco di accenti drammatici e anche comici.
Intorno a questo, quasi astratta, è una bellezza senza pari.
Le luci arabe di Palermo, l'Oriente da gioielleria dei giardini di aranci, il barocco fiorito dalle fantasie del sangue di Noto, Acireale, Catania, la Terrasanta di Ragusa, la Grecia piegata al colore di Siracusa, Agrigento, Selinunte, Segesta, il balcone di Erice sulla storia e quella leggenda divenute paesaggio; si vorrebbe essere venuti quaggiù come uno straniero, un viaggiatore distaccato, per vedere nella Sicilia - concludeva Piovene con lucida consapevolezza delle cose - solo una tra le più belle terre del mondo".

giovedì 12 giugno 2014

IL 'TEATRINO' ACRESE DI BUFALINO

La suggestione del piccolo teatro greco-romano di Palazzolo Acreide in una pagina dello scrittore comisano e nelle vecchie fotografie di Carlo Brogi

Il teatro greco-romano di Palazzolo Acreide.
Le immagini riproposte da ReportageSicilia
sono di Carlo Brogi e vennero pubblicate nel 1930
nell'opera di Enrico Mauceri "Siracusa e la Valle dell'Anapo",
edita dall'Istituto Italiano d'Arti Grafiche

"Infine, se non vorrete tuffarvi nel fervore industriale di Augusta, nel suo porto brulicante di navi, nelle sue cupe raffinerie; e neppure ricercare in paesini come Avola, Francofonte, Rosolini, Floridia e nelle loro fertili vigne e campagne l'ultima energica traccia della morente età contadina, è verso Palazzolo Acreide che vi converrà volgere i passi.
Dove non solo piace la fisionomia settecentesca e insieme moderna dell'abitato, ma seducono le rovine d'epoca greca.





Il teatro, soprattutto ( che si vorrebbe chiamar teatrino ), quasi intatto nella grazia delle sue minime proporzioni, così segreto... sì da dare un'immagine di imprevista, familiare intimità. 
Qui, per i seicento spettatori che a malapena potevano accedervi, la parola della tragedia è difficile che assumesse il timbro d'un impervio messaggio del fato; bensì doveva suonare con la mestizia d'un umano cordoglio: 
'Ah, le sorti degli uomini! Una spugna bagnata le cancella come una pittura..'". 
Così nel 1995 Gesualdo Bufalino invitò i lettori de "Il fiele ibleo" ( Avagliano Editore ) a visitare Palazzolo Acreide ed il suo piccolo teatro di età tardo-ellenistica, poi rimaneggiato in epoca romana.
Meno conosciuto rispetto ai suoi fratelli maggiori di Siracusa, Taormina e Segesta, l'emiciclo palazzolese affascina per la sua nuda e scabra bellezza, incisa con maestria nella dura roccia e scandita da 12 gradini con sedili sovrapposti.
Fra i primi studiosi ad interessarsi del teatro e dell'area archeologica dell'antica Akrai fu Gabriele Judica, uno dei pochi mecenati presenti nell'ampia classe baronale siciliana dei secoli XVIII e XIX https://www.facebook.com/circolo.gabrielejudica






I meriti del barone - di cui rimane memoria nel poderoso libro "Le antichità di Acre"  - non furono allora del tutto onorati dai suoi collaboratori se, come scriverà decenni dopo Enrico Mauceri"il benemerito patrizio mise alla luce le antichità acresi esplorandone il suolo e ricavandone un ricco materiale ,disgraziatamente ora disperso".
Di questo piccolo teatro ReportageSicilia ripropone alcune non comuni fotografie scattate da Carlo Brogi e pubblicate nel 1930 dall'opera di Mauceri "Siracusa e la valle dell'Anapo", edita dall'Istituto italiano d'Arti Grafiche di Bergamo.




Oltre alle immagini del teatro e dei "santoni" - 12 raffigurazioni scultoree femminile scolpite nella roccia, poco lontano dal paese - il post ripropone anche due vedute di Palazzolo Acreide, che Brogi fissò cogliendone l'ordinato sviluppo urbano degli inizi del Novecento.

lunedì 9 giugno 2014

DISEGNI DI SICILIA

 
 
DARONDEAU, pianta di Vulcano

venerdì 6 giugno 2014

VECCHIE E NUOVE STRADE DEL 1968 NELL'ISOLA



Fiat 600, muli, nuovi viadotti autostradali e carretti in un reportage della "Domenica del Corriere" pubblicato 46 anni fa
 


"Chi ha percorso almeno una volta  le strade intorno all'isola sa per esperienza che esse sono molto spesso 'trazzere' un tantino allargate sulle quali è stato rovesciato dell'asfalto.
Il 74 per cento della rete stradale presenta una larghezza inferiore al minimo richiesto dalle norme di progettazione ( 6 metri ) e il 70 per cento si trova esposto a franamenti e dissesti, con tracciati caratterizzati da curve strette, pendenze accentuate e con 1.500 passaggi a livello che provocano frequenti interruzioni al traffico ( una ogni 8 chilometri, contro la media nazionale di una ogni 40 chilometri ).
La realizzazione del piano autostradale siciliano è appena agli inizi o addirittura in fase di progettazione.
Dovrebbero essere completato comunque entro dieci o quindici anni, collegando lungo il perimetro dell'isola e attraverso una griglia di strade interne a scorrimento veloce, tutte le grandi città costiere, le zone minerarie, quelle agricole e d'interesse turistico".
Con queste osservazioni e dati numerici la "Domenica del Corriere" illustrò il 4 giugno del 1968 la situazione viaria della Sicilia, titolando l'articolo 'Una ragnatela d'asfalto per collegare ogni punto dell'isola'.
 
 
Il reportage del settimanale milanese faceva parte di un ampio inserto dedicato alle condizioni socio-economiche della Sicilia di quei mesi, a poche settimane dalle devastazioni provocate dal terremoto nella valle del Belìce.
Riguardo le condizioni dei trasporti, la "Domenica del Corriere" così ancora dava conto della situazione:
"E' il settore che più lascia a desiderare, dove gli investimenti sono stati finora troppo lenti e che perciò costituisce una delle cause determinanti dell'attuale situazione di stallo dell'economia siciliana.
Nel prossimo quinquennio si prevede una spesa di 470 miliardi, così ripartiti: 74 per le ferrovie, 325 per la viabilità, 12 per gli aeroporti, 20 per i trasporti urbani e in concessione".
Nel post, ReportageSicilia ripropone le tre fotografie che illustrarono l'articolo.
Nelle intenzioni del settimanale, quelle immagini volevano sottolineare da un lato l'arretratezza della viabilità isolana, dall'altro il suo contrasto con l'entrata in servizio dei primi tratti di una moderna rete autostradale.
 
 
Il primo scatto ritrae il passaggio di un paio di Fiat 600, di un'Opel Kadett e di un Ape Piaggio lungo la Palermo-Agrigento; sul ciglio della strada, un pastore in sella ad un mulo conduce le sue pecore osservando le utilitarie. 
La motorizzazione di massa - nel 1968 - aveva già coinvolto la Sicilia, prolungando però la vita di automobili che nel Continente erano già considerate superate per design e prestazioni.
Oggi il tracciato tortuoso e panoramico della Palermo-Agrigento è lo stesso di 50 anni fa, vale a dire fra i più pericolosi dell'isola.
La seconda fotografia ritrae invece un viadotto del tratto iniziale dell'autostrada Palermo-Catania; l'opera sarebbe stata completata nel 1975, con una lunghezza di poco più di 190 chilometri.
La terza immagine, nelle intenzioni della "Domenica del Corriere", doveva dimostrare la sopravvivenza nell'isola del mezzo di trasporto diventato in quegli anni oggetto del più scontato folklore isolano: il carretto decorato.
Quello fissato dall'obiettivo del fotografo percorre la centralissima via Sciuti di Palermo: una strada residenziale, scenario di una speculazione edilizia di tipo mafioso che all'epoca di quel reportage  sfregiò con la violenza ed il cemento tante strade della città.
   

martedì 3 giugno 2014

LE INFINITE SCIE SULLO STRETTO

Una pagina del poeta messinese Bartolo Cattafi sulle millenarie rotte che solcano il tratto di mare fra Sicilia e Calabria

Traghetti sulle rotte che collegano
la Sicilia alla Calabria.
Le fotografie del post sono di ReportageSicilia

Disegnano scie merlettate di spuma sulla superficie 'blu navy' dello Stretto, incrociando quasi senza sosta le loro rotte fra gli imbarcaderi di Sicilia e Calabria.
Dal 1899 le navi traghetto delle ferrovie sono il mezzo principale di trasporto che collega l'isola al Continente.
A bordo dei "ferry boats" non si raccontano soltanto le storie dei vacanzieri estivi in Sicilia, ma anche quelle di persone che affidano alla breve traversata - per lavoro, per studio o per affetti privati - i destini delle proprie vite.


I traghetti - scriveva il poeta barcellonese Bartolo Cattafi nel 1960 - "uniscono col filo continuo del loro andirivieni, come spole grosse e rozze, le due rive; questo è uno degli specchi d'acqua più movimentati al mondo e, nonostante tutto ciò, tra i più decaduti.
La scoperta dell'America, l'apertura al traffico di tutti gli altri mari ha naturalmente diradato l'addensarsi della storia e dei commerci nel bacino mediterraneo.


L'attuale piccolo cabotaggio siculo-calabro, da costa a costa, richiama alla memoria altri tempi, quando le navigazioni avvenivano da mare a mare, per così dire, nell'infanzia del mondo, alla scoperta del mondo lungo rotte tracciate al momento, per la prima volta.
Che viavai di Greci Fenici Mamertini Romani, in queste acque.
Il siracusano Gerone passa lo Stretto, in rotta per Cuma, e rompe la potenza marittima degli Etruschi.


I Crociati passano sempre da qui: scalo a Messina.
Gli Arabi fanno fagotto, arriva Ruggero il Normanno per liberare la Sicilia dall'Islam.
Se queste acque fossero cristallo, se le chiglie potessero scivolare sul cristallo, intersecazioni e sovrapposizioni di scie sarebbero talmente fitte da non lasciare nemmeno un'unghia di spazio vergine, tutta solcata la lastra...".




lunedì 2 giugno 2014

SICILIANDO














"La Sicilia dista dalla penisola italiana - diceva Plinio il Vecchio, il grande naturalista latino - 1500 passi; per Tucidide erano 20 stadi.
Muniti di più efficienti mezzi di misurazione, noi diciamo 3416 metri; un breve spazio fisico, dunque, ma un abisso che talvolta diviene incalcolabile nella realtà psicologica e spirituale.
Le correnti marine, i vortici, Scilla e Cariddi, antiche leggende e non dimenticati terrori, sembrano sottolineare che questo braccio di mare non è misurabile in valori numerici"
Renata Leydi

domenica 1 giugno 2014

UNA FALSA ARCADIA NELLA VALLE DEI TEMPLI

Pastori, contadini ed altre figure popolari nelle fotografie dei reportage dedicati nel secondo dopo guerra all'area archeologica di Agrigento

Una donna cammina nell'area archeologica
della valle dei templi portando con sé un "bummulu".
La fotografia è tratta dall'opera
"Le coste del Mediterraneo" di Alfredo Panicucci,
edita nel 1976 da Arnoldo Mondadori Editore 

I reportage fotografici realizzati nel secondo dopo guerra nella valle dei templi di Agrigento hanno spesso incluso nelle immagini dei grandiosi resti archeologici le figure di contadini, pastori ed altri personaggi che riconducono all'ambiente pastorale del tempo.
La circostanza è testimoniata dai quattro scatti riproposti da ReportageSicilia, tratti da opere pubblicate fra il 1959 ed il 1976
Le prime tre fotografie del post sono attribuite a "Pedone" e fecero la loro comparsa in "Le coste del Mediterraneo" di Alfredo Panicucci ( Arnoldo Mondadori Editore, 1976 ) e "Sicilia", Sansoni ed Istituto Geografico De Agostini, volume II, 1962; la quarta si deve invece a Leonard Von Matt ed è tratta da "La Sicilia antica", di Luigi Pareti e Pietro Griffo ( Stringa Editore Genova, 1959 ).

Sopra e sotto,
ancora due fotografie di Pedone
ambientate nell'area archeologica agrigentina.
Le immagini sono tratte dal II volume dell'opera
"Sicilia", edita nel 1962 da Sansoni
 e dall'Istituto Geografico De Agostini

La tentazione di legare la rappresentazione dell'antica Akragas a quella di una perdurante Arcadia ha forse compiaciuto il gusto estetizzante di quei fotografi.
La didascalia riferita allo scatto di Von Matt ad esempio recita: "Contadino al lavoro nella campagna di Agrigento cosparsa di antiche memorie"
In realtà, l'Agrigento di quei decenni riservava spesso alle classi sociali popolari una realtà quotidiana affatto arcadica, segnata da povertà e stenti, quasi a riproporre le miserie di certi quartieri di Palma di Montechiaro o Licata.


La situazione venne ben documentata dallo scrittore svizzero Daniel Simond, che nel 1956 - dopo avere ricordato l'elogio agrigentino di Pindaro, "la più bella delle città abitate dai mortali" -  così scriveva nell'opera "Sicilia", edita da Salvatore Sciascia:
"Passata la via Atenea, nel quartiere popolare, che attraversa via Garibaldi, ho potuto purtroppo constatare il basso livello della vita di queste persone che per via appaiono noncuranti e felici.
Mi è stato mostrato un mucchio di catapecchie, su una terrazza di terra battuta dove fra polli e gatti giocano una quindicina di bambini.
Vedo ancora il pianterreno di una di queste: una stanza profonda e scura, una specie di autorimessa, abitata da una famiglia di sei persone. Come palco, qualche lastra di pietra rozza. 
Niente acqua, niente luce, niente gas, nemmeno il camino. 
La madre cucina in una specie di braciere le cui emanazioni invadono la camera prima di uscire dalla porta o dall'unica soprastante finestra.

Aratura nei pressi delle rovine
dell'antica colonia di Akragas.
Lo scatto è di Leonard Von Matt
e venne pubblicato nel volume
"La Sicilia antica" di Luigi Pareti e Pietro Griffo,
edito nel 1959 da Stringa Editore Genova

L'illuminazione è data da una lampada a petrolio. L'acqua viene attinta dalla fontana. Non si parla affatto di riscaldamento. Ogni sera si ricoverano i polli nella stanza per sottrarli ai ladri. In fondo ad essa si intravedono alcuni miseri giacigli dove bambini e genitori sono costretti a dormire in una promiscuità inimmaginabile. 
L'arredamento è costituito da un cassettone logoro, un tavolino, qualche seggiola e degli sgabelli. 
La biancheria viene riposta nelle valigie, gli abiti appesi alle corde del bucato...".
Oggi Agrigento ha per fortuna dimenticato l'oscura miseria di quegli anni. 
La città tuttavia non è riuscita a fare della sua monumentale valle archeologica un vero traino del proprio sviluppo economico.
Di recente, anzi, i resti dei templi hanno fatto parlare di sè per la notizia delle esercitazioni militari compiute ad una decina di chilometri di distanza: chissà cosa ne avrebbero pensato gli abitanti di Akragas, che nel 406 a.C. pagarono dazio alle manovre armate subendo il saccheggio della propria valle dai Cartaginesi.