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domenica 22 aprile 2012

I TAMMURINARA DI CALATAFIMI

Antonio Sparacino ed i fratelli Giuseppe e Michele Lentini, gli ultimi 'tammurinara' di Calatafimi in un disegno di Nicolò Mazzara, pubblicato nel 1926.
Sino a qualche decennio fa, i suonatori di tamburo in molti paesi della Sicilia svolgevano compiti di servizio pubblico, sia durante gli eventi religiosi che in quelli civili

“Narrare è l’ultima difesa contro il tempo”. Questo pensiero di Pietro Citati torna alla mente imbattendosi in certi piccoli racconti che fanno emergere dall’oscurità di decenni passati personaggi ed usanze siciliane, per lo più oggi dimenticate. E’ il caso della lettura della storia di Antonio Sparacino, Giuseppe e Michele Lentini, intesi rispettivamente – scriveva Nicolò Mazzara in ‘Sicilia!’, edito nel 1926 da Remo Sandron, opera di Zino Ardizzone – “Ninu l’orvu”, “Peppi e Micheli lo zoppu”. I tre erano allora ricordati da Mazzara come gli ultimi ‘tammurinara’ di Calatafimi, il paese trapanese più noto per le imprese garibaldine nell’isola. I ‘tammurinara’ – spiega il racconto – “vengono da quella classe dei ‘vastasi’ che va scomparendo ( facchini, pescivendoli, saccalora, portantini ); ma tra i vastasi – distingue Mazzara – hanno un grado più elevato”.
I ‘tammurinara’  – diffusi sino a qualche decennio fa in molti paesi dell’isola – avevano infatti un ruolo sociale di non poco conto, sia religioso che civico. Con la percussione dei loro tamburi, accompagnavano in primo luogo le messe cantate nei giorni di festa, soprattutto in occasione delle novene di Natale e durante le celebrazioni serali del giovedi santo. A volte, il tamburo dava il tempo alle litanie di santi cantate dai ragazzi e dalle donne.
Un 'tammurinaru' in azione a Mezzojuso nel 1971 durante la rappresentazione del Mastro di Campo, ispirata ad un romanzesco episodio storico ambientato nella Palermo del secolo XIV.
La fotografia è di Melo Minnella, ed è tratta dal numero 76 del periodico 'Sicilia' edito da Flaccovio
Nel caso di Antonio Sparacino e dei fratelli Lentini – questi ultimi figli di Nicolò, altro ‘tammurinaro’ di Calatafimi – capitava ancora che i loro tamburi accompagnassero anche i funerali. Per le loro prestazioni di natura religiosa, erano spesso ricompensati annualmente dal parroco con un paio di scarpe a testa. Tuttavia, la funzione ordinaria dei ‘tammurinara’ – in tempi in cui a Calatafimi la comunicazione non conosceva gli strumenti dei giornali, della televisione o di internet – era quella di avvisatori pubblici. Ai tamburi ed alle voci era affidata la diffusione delle ordinanze municipali di sollecita esecuzione – per lo più quelle che disponevano divieti e multe – e che la popolazione non avrebbe letto negli avvisi sulle cantonate.

Tre generazioni di 'tammurinara' a Petralia Sottana, durante i festeggiamenti di San Calogero.
La fotografia - pubblicata ne maggio del 1948 da 'le Vie d'Italia' del TCI - è di A.Collisani
Agli ultimi ‘tammurinara’ di Calatafimi – sottolineava infine 80 anni fa Mazzara, di cui alleghiamo due schizzi dei tre suonatori – toccava anche rendere pubblico servizio in materia di oggetti smarriti, non senza una benevola comprensione per lo smemorato. “A cu avissi truvatu un portafogghiu cu 300 liri dintra, chi fu persu nta lu chianu di S.Micheli, c’è 100 liri di viviraggiu. Ora daticcillu chi cu lu persi è patri di famigghia…” ( “Chi abbia trovato un portafogli con 300 lire dentro, che fu perso sulla piazza di S.Michele, avrà 100 lire di ricompensa. Adesso ridateglielo, che chi l’ha perso è un padre di famiglia…” ).

Michele Lentini nel secondo disegno dei 'tammurinara' di Calatafimi riproposto in questo post da ReportageSicilia.
Gli schizzi realizzati 80 anni fa Nicolò Mazzara ci riconsegnano alla memoria personaggi e tradizioni oggi dimenticate dalla memoria isolana 





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