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venerdì 6 aprile 2012

QUANDO IL SALE ERA L'ORO BIANCO DI TRAPANI

Lavorazione del sale a Trapani in una fotografia di Nino Teresi pubblicata sul numero 6 della rivista  'Sicilia', edita dall'editore Flaccovio di Palermo.
Sino alla metà del secolo scorso, la produzione di sale trapanese raggiungeva le 150.000 tonnellate annue ed i mercati del Giappone e dei Paesi scandinavi

Un tempo il sale marino era considerato l’oro bianco di Trapani, capace di alimentare l’economia locale e di spingere le esportazioni di un prodotto siciliano sino ai mercati del Nord Europa – in primo luogo i Paesi scandinavi - e dell’Estremo Oriente.
Alla fine del secolo XIX, la produzione annuale raggiungeva le 150.000 tonnellate annue. Erano anni in cui il porto di Trapani era il luogo di partenza di importanti merci alimentari: oltre al sale marino, pesci in salamoia, farina e, ovviamente, il vino ottenuto dalle uve dell’intera provincia.

Questa immagine delle saline di Patrice Molinard è tratta dall'opera 'La Sicile', Couleurs du Monde, edita da Del Duca a Parigi nel 1957.
Sono gli anni della crisi del mercato trapanese del sale, sopraffatto dagli antiquati metodi di produzione e trasporto e dalle innovazioni nei trattamenti di conservazione dei prodotti alimentari.
Un recente riconoscimento del marchio 'Sale Marino di trapani-IGP' da parte del ministero delle Politiche Agricole fa sperare in un parziale rilancio dell'attuale produzione
Un quadro di quel traffico è riassunto nell’opera ‘Il Mediterraneo’ dei geografi Attilio Brunialti e Stefano Grande, edito da Utet nel 1922. “La vita industriale di Trapani – vi si legge – l’attività dei suoi numerosi pescatori, con le vaste saline e le cave di marmo delle vicinanze, sono tanti elementi cospicui di ricchezza, e il suo porto è importante anche perché vi fanno capo le numerose navi che pescano il corallo e le sardine”.
Ancora una fotografia di Molinard tratta dall'opera francese 'La Sicile'. Carichi di sale vengono avviati verso l'esportazione con metodi tradizionali ed ormai resi desueti dal progresso tecnologico: un carretto ed uno 'schifazzo', l'imbarcazione a vela che insieme alla 'muciara' assicurava il trasporto locale delle merci
L’età dell’oro per l’economia delle saline iniziò a tramontare in coincidenza con il progredire delle tecniche di conservazione dei prodotti; l’esportazione del sale trapanese subì una flessione dal 1951 al 1959, passando dalle 170.000 alle 20.000 tonnellate, destinate prevalentemente alla sola Norvegia.
Al declino dell’economia delle saline contribuì anche l’antiquato sistema di trasporto del prodotto, affidato agli ‘schifazzi’ ed alle ‘muciare’, le tradizionali barche da piccolo trasporto e pesca locale.

Il porto di Trapani in un'ormai storica fotografia del tedesco Giorgio Sommer, risalente agli inizi del Novecento.
In quel periodo, l'esportazione del sale costituiva insieme al marmo, al pesce in salamoia ed al vino la principale attività economica
 dell'intera provincia.
Lo scatto è tratto dall'opera 'Il Mediterraneo' di Attilio Brunialti e Stefano Grande, edita nel 1922 da Utet  
Ai nostri giorni, la Riserva dello Stagnone e le annesse saline di Trapani, Marsala e Paceco sono perlopiù note per il loro interesse ambientale e paesaggistico, cui contribuisce anche la presenza dei vecchi mulini di tipo olandese ed americano ( il secondo provvisto di timone ) per il pompaggio delle acque.
Una legge regionale del 1996 ha dato la possibilità, erogando l’80 per cento dei contributi ai proprietari, di restaurare gli interi impianti delle saline, recuperando grazie anche all’impegno del WWF Italia un paesaggio in stato di abbandono.

Uno scatto di Ezio Quiresi inquadra due mulini trapanesi di tipo olandese.
Insieme ai modelli di tipo americano - visibile nell'immagine che apre questo post di ReportageSicilia - questi meccanismi avevano il compito di pompare l'acqua dei bacini delle saline.
La fotografia è tratta dall'opera 'Sicilia', edita da Sansoni nel 1962 
Il recente riconoscimento da parte del ministero delle Politiche Agricole del marchio ‘Sale Marino di Trapani-Igp’ potrà forse rinverdire in parte i fasti economici dell’”oro bianco” locale.
Secondo le indicazioni del ‘Consorzio per la Valorizzazione del Sale Marino di Trapani’, ai nostri giorni gli addetti al settore sono circa 150 ed il un fatturato è di circa 13 milioni di euro l’anno: numeri e cifre certo lontani dal periodo aureo delle saline – periodo del quale ReportageSicilia ripropone in queste post alcune immagini - ma che testimoniano il persistere di una delle più antiche forme di attività produttiva dell’isola.
Al centro dell'attività della salina vi è infatti il "curatolo", che regola e dirige le fasi lavorative. La conoscenza esatta del passaggio da una fase all'altra - scrive Valeria Patrizia Li Vigni, nell'opera "Le Vie del Mare", edita nel 2008 dalla Regione Siciliana - "è l'espressione di una tradizione familiare appresa sin da piccoli e trasmessa da padre in figlio".

Ancora un'immagine di Nino Teresi coglie un momento di antico lavoro all'interno delle saline.
 Oggi, secondo un dato fornito dal 'Consorzio per la Valorizzazione del Sale Marino di Trapani', l'attività produttiva coinvolge circa 150 persone: un dato che testimonia la sopravvivenza a Trapani di una pratica risalente all'età fenicia 






1 commento:

  1. Le saline di Trapani e Paceco e la salina dello Stagnone di Marsala, sono un esempio di come l'ingegno di una volta fosse una risorsa per il progresso socio-economico locale; io sono dell'opinione che per risollevare la realtà dell'economia siciliana dovremmo rifarci a quella mentalità illuminata grazie alla quale si è si alterato l'ambiente, ma con rispetto del suo ruolo di dominanza sull'uomo. Un esempio fra tutti di questo uso sostenibile dell'ambiente, l'effetto tampone generato dalle saline in occasione delle alluvioni che in più occasioni si sono verificate e che non hanno provocato i morti che molto spesso ormai si verificano molto di frequente.

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