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lunedì 24 novembre 2014

ORIGINE E TECNICA DELLA PRODUZIONE DEL SALE A TRAPANI

Il mare, il sole ed il vento.
Nel 1950, un reportage del giornalista Crescenzo Guarino illustrava le risorse naturali e le tecniche di lavoro applicate dai salinai di Trapani




Nei difficili anni del secondo dopoguerra, in Sicilia una delle attività economiche in pieno sviluppo era quella dello sfruttamento delle 52 saline di Trapani.
Sino al 1950, la quantità di sale estratta dalla zona raggiungeva le 200.000 tonnellate annue.
Gran parte della produzione era destinata all'imbarco sulle navi dirette nei Paesi dove la salagione del pesce costituiva una necessità primaria: Svezia, Norvegia, Danimarca, Islanda, Uruguay e Giappone.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia relative a quel periodo vennero pubblicate nell'opera "Mediterranea"-Almanacco di Sicilia" 1949, edita da Industrie Riunite Editoriali Palermo.
Le immagini non hanno un'attribuzione ed illustrarono un testo del giornalista palermitano Ercole Melati, in cui
Un anno dopo, il giornalista napoletano Crescenzo Guarino avrebbe raccontato sulle pagine del quotidiano "La Stampa" la storia e l'ambiente delle saline trapanesi.
Il suo reportage ha un valore di rilievo perché contiene preziose informazioni sulla tecnica di produzione del sale, basata sullo sfruttamento del mare, del sole e del vento:
  
"Antica è l'arte dei 'salinai' trapanesi. E di queste parti dovevano essere, secondo la tradizione, quei lavoratori di cui parla la Bibbia ne 'I Maccabei', che estraevano il sale nei giacimenti presso il mar Morto, dando un tributo ai re di Siria.
Certo, dove sorte saline lungo le coste d'Africa e d'Asia, là sono trapanesi.
Sono i Burgarella che sessant'anni fa, ricevendo per 99 anni il suolo in concessione dal governo inglese, organizzarono ad Aden il più forte centro di produzione per l'Oriente, soprattutto l'India.



Il motivo per cui Trapani ha da secoli il primato, dipende dalla particolare formazione delle sue coste. Perchè tante sono le marine, ma poche quelle con spiagge vaste, lontane da ogni afflusso di fiumi e ruscelli ed inoltre a fondo argilloso, dove l'acqua non venga assorbita dalla sabbia, ma depositi lentamente il sale dalla sua materia prima, il mare, avendo a combustibile il sole e come forza motrice il vento.
Occorre infatti acqua con forte densità salina, sole ardente, molti mesi ( cinque o sei ) senza nessuna pioggia e poi la sferza del grecale che asciughi anche essa il liquido e azioni le macini dei mulini dove si frantumano i cristalli del grezzo.



E occorre inoltre il giuoco delle maree che automaticamente alimentino le vasche. Quando la natura da tutto ciò, solo allora si possono impiantare le saline. E il procedimento è semplice.
In marzo le acque marine sono immesse nelle vasche, e, attraverso uno speciale apparecchio ( spira di Archimede ) pompate in modo che dalla prima fascia con un sei gradi di maturazione ( la maturazione è data dalla condensazione ), gradi detti 'Bè' dal densimetro che fa appunto questa misura, si passa a un venti gradi nella seconda fascia  e ad un trenta gradi nella terza, dove il sale è seminato come catalizzatore, per accelerare la condensazione.
Ciò si dice 'mettere a sale' o 'servire le caselle'.






La 'coltivazione del sale' o 'campagna salifera' nel Mediterraneo dura sei mesi. Quando il sale è maturo, ciò allorchè nelle aie più lontane dal mare l'acqua è del tutto evaporata e sono rimasti i cristalli, si ha la raccolta in tre tempi ( a fine luglio, agosto e settembre ).
I salinai, camminando sugli argini, passano con i cesti colmi e cantano le loro nenie tristi e lente, che parlano di santi e madonne e conservano, velata nel lamento, la nostalgia dell'Oriente" 



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