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martedì 21 marzo 2017

ERICE "SEVERA E GLACIALE" DI FRANCINE PROSE

La ricchezza del mito e il severo aspetto della cittadina trapanese secondo la scrittrice americana in una pagina di "Odissea Siciliana"


Un solitario ed austero scorcio di Erice.
Le fotografie del post sono di ReportageSicilia


"Severa e glaciale", così ha definito Erice la scrittrice e saggista americana Francine Prose in "Sicilian Odyssey", edito nel 2003 dal National Geographic e tradotto l'anno successivo da Feltrinelli col titolo "Odissea Siciliana".
Il libro fu il risultato di un viaggio intrapreso dalla Prose e dal compagno Howie pochi mesi dopo il traumatico attacco alle Twin Towers di New York; e in Sicilia, la coppia americana arrivò con l'intenzione di seguire le mitologiche tracce di Dedalo, l'ideatore del labirinto atterrato nell'isola dopo avere assistito al tragico incidente che costò la vita al figlio Icaro
La Prose visitò Erice in un freddo sabato di febbraio, con un cielo insolitamente libero dalla nebbia e dalla foschia.



Nel fissare le sue impressioni sulla cittadina incastonata su monte San Giuliano, la scrittrice di Brooklyn non sfuggì ai richiami del mito che hanno accompagnato la storia di Erice, via via segnata dai culti di AstarteAfrodite e Venere
Ciò che colpisce la Rose è la contrapposizione fra le barocche trame mitologiche locali e la scabro aspetto dei luoghi, paragonati ad un "corpo perfettamente imbalsamato":
 
"La bellezza di Erice - e il fatto che conosciamo così poco della sua storia e delle sue origini - ha creato una sorta di vuoto che, per millenni, la gente ha riempito di miti e leggende, a mo' di offerte propiziatorie.
Qualcosa di così perfetto - di così ignoto e misterioso - deve certamente avere un'origine divina.



Scopriamo così che il tempio di Venere fu fondato da Enea, che approdò su questi lidi per celebrare il funerale del padre, da lui salvato dall'assalto alla città di Troia.
A causa di un incendio che aveva distrutto parte della sua flotta, egli fu costretto a lasciare a terra molti uomini, che divennero i primi abitanti della città.
Si dice che anche Dedalo abbia partecipato alla progettazione del tempio di Venere, ed è qui che disegnò, in onore della dea, un favo completamente d'oro.
Sempre secondo la leggenda, la dea stessa venne a vivere qui con il suo amante, l'argonauta Buto, che ella aveva salvato dai flutti dopo che le sirene, con il loro canto ammaliatore, lo avevano incitato a gettarsi in mare.
Anche Ercole passò da queste parti mentre riportava i buoi di Gerione, e durante il suo soggiorno uccise il re degli elimi che cercò di rubarglieli.
Queste storie, tuttavia, sembrano troppo piene di vita, d'ingenuità e di sensualità per avere a che fare con Erice.



Perché la cosa più strana di questo luogo incantevole è l'atmosfera d'immobilità e d'immutabilità che vi si respira, il modo in cui si è conservata, come un corpo magnificamente imbalsamato, per mezzo di una formula magica di altitudine, vento, nebbia e pioggia.
All'improvviso mi viene in mente cosa mi ricorda Erice: Les Baux-de-Provence, lo stupendo paesino medievale che si erge su una collina del Sud della Francia e che domina il paese moderno giù a valle.
C'è la stessa sensazione di osservare qualcosa che non muterà mai, che non sarà toccato dalle forze che plasmano e trasformano tutto ciò che è vivo, cioè dalla vita stessa.
Dopo aver vagato per le stradine di Erice, tornando a Trapani ci si sente un po' come Persefone, come se ci fosse stato consentito d'entrare nel regno dei morti per poi uscirne e ritornare al frastuono, alla confusione e al vigore del mondo dei vivi"




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