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martedì 4 aprile 2017

LA "MOSTRUOSA VICENDA" DEL DELITTO DI PASQUALE ALMERICO

Cronaca poco ricordata dell'omicidio politico e mafioso dell'ex sindaco di Camporeale, nel marzo di sessant'anni fa: un delitto ancor oggi senza colpevoli e senza memoria
Una fotografia di Pasquale Almerico,
l'ex sindaco di Camporale ucciso dalla mafia
il 25 marzo del 1957.
Le immagini del post
sono tratte dall'archivio di ReportageSicilia
Era il marzo del 1963 quando il giornalista Pietro Zullino ( autore anni dopo di una documentatissima "Guida ai misteri e piaceri di Palermo", edita da Sugarco ) definì il delitto di Pasquale Almerico come una "mostruosa vicenda, della quale le cronache si occuparono brevemente perché l'episodio sembrava simile a tanti altri".
Zullino colse allora la gravità di un omicidio oggi colpevolmente dimenticato e che può considerarsi come un delitto "politico-mafioso", ben prima di quelli palermitani costati in seguito la vita a Michele Reina, Piersanti Mattarella e Pio La Torre.
Pasquale Almerico, già maestro elementare e sindaco democristiano dimissionario di Camporeale ( in precedenza fu un attivista cattolico seguace di Giuseppe Dossetti ) fu ucciso il 25 marzo del 1957 da cinque sicari.
L'agguato, costato la vita ad un giovane passante, Antonio Pollari, dimostrò un feroce accanimento contro Almerico, raggiunto da 114 colpi di mitra e pistola all'addome.
Per la storiografia - e solo per quella, non per la giustizia - mandante dell'omicidio di Pasquale Almerico fu Vanni Sacco, all'epoca capomafia di Camporeale, "grande elettore" del partito liberale e già coinvolto nelle retate del prefetto Mori dopo il 1925.
"L'urto decisivo tra la mafia e il sindaco - scrisse Zullino il 31 marzo del 1963 sul settimanale "Epoca" - fu causato da motivi che esorbitavano dalla modestia cerchia degli interessi di Camporeale.
Si era creato, nel 1956, un fronte unico delle mafie agrarie dei paesi situati nel comprensorio dell'alto e medio fiume Belice, l'unico fiume della zona che d'estate non si asciughi del tutto.
Lo scopo di questo fronte, esteso da Castelvetrano fino ai sobborghi di Palermo, era semplice: controllare il consorzio agricolo del comprensorio e manovrarlo in modo da boicottare una serie di opere pubbliche da tempo in programma.
Quella specie di confederazione delle mafie agrarie era però intollerabilmente debole in un punto: Camporeale, dove Almerico conduceva la sua battaglia.
I gruppi mafiosi delle altre zone premevano sulla cosca di Camporeale perché l'incomodo sindaco fosse tolto di mezzo.
Si premeva da Corleone, poiché da quelle parti già la mafia lottava contro una diga che avrebbe portato l'acqua da tutt'altra parte.
Pasquale Almerico, invece, sosteneva che la diga andava fatta, perché trentamila contadini aspettavano di trovare sul posto il loro pane, invece di essere costretti all'emigrazione.
Si premeva persino da Palermo e dalla fascia costiera, cioè dal regno di un'altra mafia potentissima, quella dell'agrume, timorosa che da un piano di irrigazione venissero fuori, in concorrenza, ricchi agrumeti nell'entroterra"

Schieratosi contro interessi più forti del suo impegno politico, Pasquale Almerico subì allora l'offensiva sempre più pesante del clan di Vanni Sacco, interessato ad allearsi con la DC.

Vanni Sacco, indicato come il mandante del delitto di Almerico

Il boss - già elettore liberale di Vittorio Emanuele Orlando - dapprima cercò di atteggiarsi a paladino del cattolicesimo.
La scusa fu quantomeno sospetta: dopo una sparatoria notturna contro la canonica della parrocchia del paese, Sacco decise di donare alla chiesa una nuova campana.
L'iniziativa diede modo al capomafia di accreditarsi agli occhi dell'elettorato e dei notabili palermitani della Democrazia Cristiana, scalzando a suon di lupara il ruolo locale di Pasquale Almerico.
Poco prima, Almerico si era permesso di negarli l'iscrizione alla sezione locale della DC; Sacco era noto per il suo impegno politico liberale e per la sua fama di "campiere" assurto ai ranghi della "onorata società".
Nel 1952, in occasione delle elezioni amministrative, i liberali riuscirono comunque ad allearsi allo scudo crociato; Almerico fu eletto sindaco, ma dovette accettare l'ingresso in giunta di tre assessori liberali scelti da Sacco.
Dopo avere rifiutato le lusinghe e le minacce degli uomini al servizio del capomafia, venne deciso di mandare in crisi il potere del sindaco.
Il 26 novembre del 1954 fu dato voto contrario allo storno di una spesa di 100.000 lire sostenuta da Pasquale Almerico per partecipare, tre mesi prima, ai funerali romani di Alcide De Gasperi.
L'iniziativa era scorretta ed aveva scopi di natura affatto politica.
Il giorno dopo quell'attacco, Almerico si recò a Palermo per denunciare i fatti al comitato provinciale della DC, ma senza risultati.
Nel gennaio successivo, il sindaco di Camporeale compì un altro passo che gli sarebbe stato fatale: il rifiuto dell'alleanza con i liberali in occasione dell'elezione del Consiglio della Cassa Mutua Coltivatori Diretti, seguito dalla sconfitta di molti suoi candidati.
Ormai screditato a livello politico, Pasquale Almerico ritornò a Palermo, indicando ai maggiorenti della DC nel 9 marzo la data delle sue dimissioni.
In assenza di risposte, abbandonò l'incarico di sindaco, senza neppure avere una risposta dai suoi superiori.


Il travaglio personale di Almerico ed  il cinico  disinteresse mostrato dai vertici provinciali della DC furono documentati in un memoriale scritto dal maestro elementare nell'aprile del 1956, parte del quale riferito ad alcuni scambi verbali ed epistolari avuti col leader palermitano del partito, l'avvocato Giovanni Gioia.
Nel documento - ricorderà nel 1973 il giornalista Giorgio Frasca PolaraAlmerico ricostruì la scalata dei liberali di Vanni Sacco al comune di Camporeale, culminata in una crisi politica della sua giunta "fomentata da forze occulte però ben note in questa nostra terra".
Si chiedeva Almerico:

"Chi erano quelli che venivano ad imporre condizioni?
Il partito ne usciva avvantaggiato?
Avrebbe guadagnato nella considerazione e nei voti?
Si sarebbe l'elettorato mantenuto compatto?"

Alle preoccupazioni dell'insegnante elementare, Gioia avrebbe così replicato:

"Il Dottor Gioia mi rispose che questi problemi non dovevano interessarmi.
Ogni ammonimento era vano e l'intenzione era quella di dare la DC a forze che ne avrebbero sviato e trasformato gli scopi, con uno sconcertante tradimento degli interessi del partito e delle sue finalità". 
Dopo un lungo discorso sulla opportunità di taluni metodi politici in determinate contingenze, Gioia ebbe a dirmi chiaramente che desiderava che io lasciassi la sezione di Camporeale ed anche il paese, offrendomi l'incarico di segretario di zona.
Infine il dottore Gioia, a soluzione di tutta la bassa e meschina faccenda che sa del più lurido compromesso e della più cieca e ottusa visione delle cose" offrì ad Almerico l'assunzione alla Cassa di Risparmio.

Intenzionato a non cedere agli ultimatum ricevuti a Palermo, l'ex sindaco di Camporeale non esitò a presentare un ricorso contro il provvedimento impostogli da Giovanni Gioia, accusato di "abuso ed arbitrio, volontario tradimento e leso prestigio del partito".
La questione finì sul tavolo del collegio centrale dei probiviri della DC, a Roma.
Il 9 agosto del 1956, Almerico venne definitivamente politicamente e moralmente pugnalato: la competenza a valutare la sua denuncia venne assegnata alla segreteria provinciale di Palermo. Cioè, a Gioia.
Gli ultimi mesi di vita di Pasquale Almerico a Camporeale furono segnati dall'isolamento e, forse, dalla consapevolezza di essere destinato alla morte.
Questo timore lo portò a confidare ad un maresciallo dei Carabinieri i nomi dei suoi possibili assassini: Vanni Sacco, suo figlio, Benedetto e Calogero Misuraca.


Nel frattempo, come ha scritto ancora Pietro Zullino, nel dicembre del 1956,

"la mafia ordinò che in paese nessuno più rivolgesse la parola a Pasquale Almerico. Neanche un saluto, neppure un'occhiata.
Almerico si vide a poco a poco scansato da tutti.
Dissero: Almerico è contro le persone onorate perché è pazzo; è pazzo perché porta nel sangue, dalla nascita, qualcosa che fa diventare pazzi; l'hanno sentito bestemmiare, l'hanno visto smaniare e dare nel muro del municipio con la testa.
Ha una malattia vergognosa...
La mafia, allora, capì che stava vincendo la partita, che Almerico era ormai praticamente eliminato non soltanto dalla vita politica, ma addirittura dal consorzio degli uomini.
E volle divertirsi un po' con quell'uomo finito, con quel giocattolo umano.
Per quattro mesi, Pasquale Almerico visse in un pozzo di solitudine.
Nessuno gli rivolgeva più la parola: non aveva più niente da fare a Camporeale, non serviva più.
Vagava per le strade del paese con le mani in tasca o se ne stava in casa a leggere, in un'atmosfera d'incubo, in un silenzio di morte"

Poi, la sera del 25 marzo del 1957, la "mostruosa vicenda" di Pasquale Almerico ebbe il suo epilogo.
Anni dopo il feroce delitto, Vanni Sacco e altri furono accusato dell'omicidio.
Il processo si concluse con l'assoluzione di tutti gli imputati; ed ancora dopo sessant'anni, l'omicidio del maestro elementare che osò sbattere la porta in faccia ad un boss è rimasto senza colpevoli e quasi dimenticato nelle commemorazioni per le vittime di mafia. 
Sacco visse sino al 4 aprile del 1960, morendo nel suo letto con i conforti religiosi; i figli sarebbero stati in seguito uccisi da altri clan di Cosa Nostra.
Adesso, a tardiva memoria di questa storia, il Comune di Palermo ha annunciato l'intenzione di intestare una strada alla memoria dell'ex sindaco che si oppose alla mafia.




  

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