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lunedì 30 aprile 2018

CUOCHI ECCELSI E FAMA GASTRONOMICA DELL'ANTICA SIRACUSA

Cucina tradizionale del contadino siracusa.
La fotografia è tratta dall'opera di Antonino Uccello
"Del mangiar siracusano", edita nel 1969
dall'Ente Provinciale per il Turismo di Siracusa
 
Il 27 settembre del 1971, Antonio Uccello inaugurò la sua Casa Museo a Palazzolo Acreide, istituzione che mise in mostra gli oggetti provenienti dal mondo contadino in oltre trent'anni di ricerche.
Al gennaio del 1969 risale invece una pubblicazione che lo stesso ricercatore curò per conto dell'Ente Provinciale per il Turismo di Siracusa.
L'opera, intitolata "Del mangiar siracusano, itinerari gastronomico-letterari e anche archeologici", è una singolare antologia di testi dedicati all'argomento, curati da vari autori: da Giuseppe Fava a Beppe Fazio, da Maria De Orchi a Laura Di Falco, da Giovanna Finocchiaro Chimirri a Corrado Sofia, da Margaret Guido a Edvige Spagna.
Ad Ottavio Garana si deve questo capitoletto dedicato ai "Poeti gastronomi e aromatarii nella Siracusa antica":

"Siracusa è famosa per essere stata con Teocrito la culla della poesia bucolica.
Meno nota però è un'altra circostanza, quella di essere stata la patria di quei poeti che per primi fecero dell'arte gastronomica argomento di poesia.
Siracusani furono Miteco, che con il suo 'Cuciniere siciliano' insegnava alla Grecia l'arte di condire le vivande all'usanza di Sicilia; Terpsione che scrisse la 'Gastronomia' e fu maestro di un altro famoso gastronomo, Archestrato di Gela, il quale con il suo poema dedicato alla 'Giocondità' si mostra tanto amante della buona tavola.
In questa schiera si annoverano altresì i due Eraclidi e Calmo.
Per merito di costoro, vissuti ai tempi di Dionigi (IV secolo a.C.) presso i classici greci e latini divennero rinomati i conviti, le mense, i condimenti siciliani.
Lo scrittore Ateneo nell'opera 'Dipnosofisti' ( sofisti a banchetto ) riporta alcuni frammenti del 'siracusano o gelese' Achestrato e loda i cuochi siciliani.
Platone nel III dialogo - 'De Repubblica' - raccomanda ai giovani la temperanza: che si astengano dalle siracusane mense.
Cicerone nelle 'Tusculane' ricorda le 'imbandigioni siracusane'.
Per l'epoca cristiano-bizantina si hanno solo un paio di testimonianze di persone che esercitavano mestieri attinenti all'alimentazione, perché allora il genere di lavoro del defunto assai raramente era ricordato nelle iscrizioni della Sicilia.
L'Orsi trovò nelle catacombe di Vigna Cassia l'epigrafe greca di una certa Vittoria 'Kondeitaria', proprietaria forse di una spezieria o bottega di aromi.
Gli aromatarii avevano spazi riservati nei mercati dove vendevano varie specie di aromi, usati come incensi rituali e, più largamente, come droghe che rendevano odorose le vivande e i vini.
Di queste erba aromatiche le più ricercate erano: la menta, la cannella, il finocchio, la salvia, il timo da con confondere con la santoreggia, donde il verso del poeta veronese, contemporaneo di Virgilio, Emilio Macro, 'se manca il timo, mettere in cambio la santoreggia o timbra'.
'Conditarii' erano altresì detti coloro che gestivano le taverne, dov'era possibile trovare cibi già cotti e conditi come si usa oggi nelle tavole calde.
Posteriore di qualche secolo è il ricordo latino di certo Fortunato 'pistore' rinvenuto dal Sovraintendente L.Bernabò Brea in un cimitero sopra terra dell'estremità meridionale delle catacombe di San Giovanni, databile ai secoli VI-VII dietro Cristo.
Il collegio dei pistori aveva per insegna il moggio.

Cotognata su cesto di culmi,
opera citata
 Pistore però è nome generico e indicava non solo il mugnaio ma anche il fornaio e perfino il pasticcere - pistor dulciarius - colui cioè che manipolava focacce, ciambelle e torte.
Famoso è il verso di Marziale degli 'Epigrammi' anche perché accenna al timo dei monti Iblei:
 
'mandai focacce fragranti di timo ibleo...'"




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