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domenica 4 agosto 2019

UNA PAGINA DI SCIASCIA SULLA DIFFIDENZA DEI SICILIANI VERSO IL MARE

Pescatori della borgata palermitana
di San Nicola l'Arena.
La fotografia è tratta
dalla rivista "Siciliamondo"
pubblicata nel marzo del 1959

Molti anni prima che le coste ed i mari dell'Isola diventassero lo scenario di un epocale fenomeno di migrazione, Leonardo Sciascia sottolineò il rapporto di diffidenza fra i siciliani e l'ambiente marino che ne circonda le loro esistenze.
L'osservazione di Sciascia può trovare almeno due riscontri di carattere architettonico e letterario: la presenza nell'Isola di un articolato sistema di torri costiere difensive - costruite per lo più nel Cinquecento e nel Seicento - e la tematica del romanzo "I Malavoglia", sviluppata intorno all'idea della natura matrigna del mare nei confronti delle speranze degli uomini.
Il pensiero di Sciascia trovò espressione nell'introduzione scritta nel 1968 per l'opera di Errico Ascione ed Italo Insolera "Coste d'Italia, la Sicilia", edita dall'ENI

"1039 chilometri di coste, 440 sul mare Tirreno, 312 sul mare d'Africa, 287 sullo Jonio: ma questa grande isola del Mediterraneo, nel suo modo di essere, nella sua vita - si legge nell'introduzione - sembra tutta rivolta all'interno, aggrappata agli altipiani e alle montagne, intenta a sottrarsi al mare e ad escluderlo dietro un sipario di alture o di mura, per darsi l'illusione quanto più è possibile completa che il mare non esista ( se non come idea calata in metafora nelle messi di ogni anno ), che la Sicilia non è un'isola.
Che è come nascondere la testa nella sabbia: a non vedere il mare, e che così il mare non ci veda.
Ma il mare ci vede.



E sulle sue onde porta alle nostre spiagge i cavalieri berberi e normanni, i militi longobardi, gli esosi baroni di Carlo d'Angiò, gli avventurieri che vengono dall'avara povertà di Catalogna, l'armata di Carlo V e quella del duca di Vivonne, gli austriaci, i garibaldini, i piemontesi, le truppe di Patton e Montgomery.
E porta, continuo flagello per secoli, i pirati algerini che devastano, depredano, rapiscono.
Il mare è la perpetua insicurezza della Sicilia, l'infido destino; e perciò anche quando è intrinsecamente parte della sua realtà, vita e ricchezza quotidiana, il popolo raramente lo canta o lo assume in un proverbio, in un simbolo; e le rare volte sempre con un fondo di spavento più che di stupore.



'Lu mari è amaru' ( il mare è amaro ).
'Loda lu mari, e afferrati a li giummarri' ( loda il mare, ma afferrati alle corde ).
'Cui pò jiri pri terra, nun vaja pri mari' ( chi può andare per terra, non vada per mare ).
'Mari, focu e fimmini, Diu nni scanza' ( mare fuoco e donne, Dio ci salvi ).
'Cui nun sapi prigari, vaja a mari' ( chi non sa pregare, vada a mare ).
E non è, quest'ultimo proverbio, dettato dalla meraviglia e dal rapimento: chi andrà a mare non apprenderà a pregare nel senso della lode, ma nel senso della paura e superstizione..."

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