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martedì 23 giugno 2020

RITARDI, GIRI VIZIOSI E INTERESSI DI PARTITO NEL VARO DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA

Una carta geografica della Sicilia centrale
in dotazione nel 1963
 alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia.
Opera citata

Fra il 1867 ed il 1910, lo Stato italiano diede corso a cinque diverse inchieste sulla criminalità mafiosa in Sicilia: un cancro che ancora ai nostri giorni - malgrado un secolo di arresti, condanne e confische di beni - continua a lasciare tracce vitali ed evidenti sulla società e sull'economia dell'Isola.
L'esigenza di dovere analizzare le cause e individuare le complicità che favoriscono la violenza mafiosa è nata quindi già pochi anni dopo l'unità d'Italia.
La nascita dello Stato repubblicano non ha risolto la questione che ancor oggi impegna magistrati e forze dell'ordine.
Dal secondo dopoguerra, anzi, la mafia ha rafforzato la sua vitalità - pensiamo ai tanti eccidi ed alle stragi, paragonabili ad atti di terrorismo -  e la capacità di penetrazione nel sistema degli enti pubblici e dell'economia locale, spesso godendo della copertura di pezzi delle istituzioni.
Messo alle strette dai più gravi delitti - l'eccidio Dalla Chiesa, quelli Falcone e Borsellino, ad esempio - lo Stato si è  spesso in passato limitato ad attendere che la mafia si manifestasse con azioni di eccezionale violenza, prima di imporre una reazione necessaria a contenere l'idea di una eccessiva debolezza dei governi.
Sono così nati specifici gruppi investigativi ed istituite misure giudiziarie destinate a limitare il potere violento di Cosa Nostra.


Il fascicolo della Commissione
riguardante Salvatore Lucania,
alias "Lucky Luciano"

La linea dell'attendismo è stata applicata anche per il varo della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia: rimandato per anni, venne infatti deciso in tutta fretta nel 1963, pochi giorni dopo la strage palermitana di Ciaculli, costata la vita a sette fra carabinieri, poliziotti e soldati dell'Esercito. 
Di una inchiesta sulle attività del crimine organizzato in Sicilia si era discusso sin dal 1948, quando il comunista Giuseppe Berti presentò alla Camera - il 14 settembre di quell'anno - un progetto di legge per l'istituzione di una Commissione parlamentare.
La maggioranza di governo bocciò allora la proposta.
Lo stesso disegno di legge, presentato nel novembre del 1958 da Ferruccio Parri e Simone Gatto - durante i mesi di una sanguinosa  faida a Corleone fra i clan Navarra e Liggio, che avrebbe visto affermarsi quest'ultimo, con l'appoggio di Riina e Provenzano - incontrò all'inizio una forte opposizione.


Donato Pafundi, primo presidente
della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia.
In precedenza, aveva ricoperto gli incarichi di
procuratore generale e e presidente onorario di Cassazione

Portato in discussione nell'aprile del 1961 davanti la prima Commissione permanente del Senato, il provvedimento venne ancora una volta respinto.
Il disegno di legge Parri-Gatto fu però riproposto l'anno successivo, quando un voto unanime dell'Assemblea regionale siciliana ne sollecitò l'approvazione.
Prima di arrivare al voto del 30 marzo del 1962, la stessa Assemblea aveva discusso una mozione socialista ed un'interpellanza comunista.
La prima impegnava il presidente della Regione - che in base allo Statuto dell'Autonomia è responsabile dell'ordine pubblico in Sicilia ( funzione in realtà mai espletata ) - a riferire all'Assemblea sugli accertamenti compiuti sulla mafia, e chiedeva la costituzione di una Commissione d'inchiesta.
L'interpellanza comunista invitava il presidente della Regione ad esercitare pressioni istituzionali per sollecitare un'inchiesta parlamentare della Camera e del Senato sulla criminalità mafiosa nell'Isola.
La proposta d'inchiesta presentata da Parri e Gatto al Senato, fu approvata l'11 aprile del 1962.
Alla Camera dei Deputati si avviò il 28 novembre dello stesso anno la discussione su un'altra proposta di legge, che venne approvata il 12 dicembre.
Tuttavia - mentre le cronache siciliane continuavano a riferire omicidi e attentati di chiara matrice mafiosa - la nomina della Commissione venne ancora rimandata al 28 aprile del 1963, il giorno prima dello scioglimento delle Camere per le elezioni.
La Commissione potè finalmente iniziare i suoi lavori il 6 luglio del 1963, 6 giorni dopo la strage di Ciaculli.
Vincolati al segreto d'ufficio, ciascun commissario fu dotato di una ristampa della vecchia relazione finale sullo stato delle condizioni economiche e sociali in Sicilia firmata nel 1875 dall'onorevole Romualdo Bonfadini: un documento in cui la mafia non veniva indicata come un'associazione a delinquere, ma come una "prepotenza diretta ad ogni scopo di male".
Del nuovo organismo parlamentare fecero parte cinque siciliani: il democristiano Giuseppe Alessi, il socialista Vincenzo Gatto, il missino Angelo Nicosia, i comunisti Nicolò Rosario Cipolla e Girolamo Li Causi


Il boss di Corleone, Luciano Liggio.
Le altre foto ritraggono, nell'ordine,
Vincenzo Rimi, capomafia di Alcamo,
Salvatore Greco e Angelo La Barbera,
entrambi di Palermo





La sofferta storia della istituzione di una Commissione parlamentare nata in ritardo sui tempi e con profonde divisioni interne venne così riassunta il 3 dicembre 1967 dal Livio Pesce sul settimanale "Epoca":   
         
"Nel 1958 - si legge in un articolo intitolato "I segreti della mafia" illustrato dalle fotografie ora riproposte da ReportageSicilia - i senatori Parri e Simone Gatto propongono un'inchiesta parlamentare sulla mafia.
Il relativo disegno di legge viene approvato quattro anni dopo, alla fine del 1962.
A presiedere la Commissione è chiamato l'onorevole Paolo Rossi, socialdemocratico.
Ma la Commissione stessa non entra in azione, arriva la fine della legislatura.
Il Parlamento si scioglie e tutto resta fermo.
Dopo le elezioni dell'aprile del 1963 si riprende il discorso.
Pafundi, alto magistrato in pensione, non fa parte del Parlamento, essendo risultato primo fra i non eletti dopo il senatore democristiano Zotta, suo cugino.
La Commissione è sempre ferma e, anzi, Paolo Rossi va a presiderne un'altra, quella dei 'Diciannove' per l'Alto Adige.
Intanto muore Zotta e Pafundi entra al Senato.
Quindici giorni dopo, l'onorevole Giovanni Leone gli telefona e gli dice:

'Pafundi, devi rendere un servizio allo Stato'
'Quale?'
'Assumere la presidenza della Commissione antimafia'

L'ex magistrato protesta che lui 'non è un politico', gli rispondono 'meglio così'.
Alla fine, accetta.
La Commissione, formata da 13 democristiani, compreso il presidente, 8 comunisti, 4 socialisti, 2 socialdemocratici, il senatore a vita Parri ed un missino, s'insedia ma solo formalmente.
I comunisti sono decisi a dar battaglia ai democristiani, ben sapendo che la mafia si attacca al potere come le mosche al miele.
E i democristiani sono altrettanto decisi a difendere il loro partito da ogni 'speculazione', vera o presunta.
Tutto rischia di invischiarsi nelle sabbie mobili della politica.
Ma a un certo punto, è proprio la mafia a rompere questo giro vizioso con un delitto più clamoroso degli altri: la strage di Ciaculli del 30 giugno 1963, che costa la vita a sette carabinieri e soldati, fra cui un ufficiale.
Ne nasce un'ondata di indignazione generale che mette in moto l'Antimafia..."

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