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giovedì 25 agosto 2022

UNA TESTIMONIANZA DI ROSI SULLA STORIA DEL FILM "SALVATORE GIULIANO"

La scena dell'uccisione di Salvatore Giuliano,
interpretato da Pietro Cammarata,
nel film di Francesco Rosi "Salvatore Giuliano".
Le fotografie del post sono tratte dal saggio
"Salvatore Giuliano", opera citata


Raccontò Francesco Rosi a Tullio Kezich che l'idea di realizzare il film "Salvatore Giuliano" gli venne nel 1950, quando lavorava con Suso Cecchi D'Amico alla sceneggiatura di "Bellissima". "Arrivavano i giornali con le cronache del processo di Viterbo e il copione di Visconti non andava avanti. L'idea di fare un film su Giuliano - spiegò Rosi - era di tutti, mi pareva un argomento enorme. La vicenda mi aveva sempre affascinato, però non ero certo di averla capita bene". Accantonato il progetto di realizzare una sceneggiatura dal romanzo "La galleria" di John Horne Burns, che il regista avrebbe voluto ambientare nella sua Napoli, Rosi fu infine convinto a dedicare un'opera alla storia del bandito di Montelepre dal produttore Franco Cristaldi

Rosi con l'operatore Gianni Di Venanzo
e Pietro Cammarata,
che ebbe il ruolo di Giuliano


Cominciò così un difficile lavoro di documentazione, dapprima attraverso la stampa dell'epoca, poi con il contatto diretto con la complessa realtà siciliana. Per la sceneggiatura del film - realizzato fra il 1960 ed il 1961Rosi volle con sé Enzo Provenzale, messinese, con esperienza in diversi set cinematografici isolani. "A Roma disperammo di trovare il bandolo della matassa. L'orizzonte - spiegò Rosi a Kezich, come si legge nell'eccellente saggio "Salvatore Giuliano", edito a Roma nel 1961 da Edizioni FM per la collana "Il cinematografo" ( opera da cui sono tratte le foto del post ) - si schiarì a Palermo, quando io e Provenzale venimmo giù per i primi sopralluoghi.  Questo film non si poteva scrivere a Roma, bisognava documentarsi qui, lavorare qui, e ricominciare tutto da capo. Dall'angolo di Roma non si potevano capire tante cose, la prospettiva continentale vieta per storica tradizione l'accesso alle cose di Sicilia. Qui c'era gente che ricordava, che conservava giornali e documenti, che era disposta a collaborare. Molte notizie le prendemmo dai fascicoli del processo per i fatti dell'EVIS, tutte giornate spese a leggere e ad appuntare, spesso in scomode cancellerie, cavandoci gli occhi, perdendoci ogni tanto nel mare dei fatti e dei nomi. Man mano che procedevamo nel lavoro, cadevano le scene scritte con criteri spettacolari. Non fu facile capirlo neppure per noi, ma la serietà del problema che avevamo affrontato ci spingeva verso un'espressione nuda e rigorosa: i moduli della spettacolarizzazione, che sono radicati nella nostra natura di teatranti e cinematografari, si rivelano superficiali, inadeguati. Ci staccammo da tanti personaggi, da tante storielline che dapprima ci erano parse importanti. Ci staccammo addirittura da Giuliano, in senso psicologico, aneddotico. Il film finì col considerare alcuni fenomeni tipici della vita siciliana, per esempio la deformazione del potere locale rispetto al potere centrale. Lo stretto di Messina è veramente l'Oceano, bisogna avere il coraggio di affermarlo nell'anno centenario alla spedizione dei Mille. Se non cominciamo a parlare chiaro non ci capiremo mai"


Rosi impegnato
sul set del film a Montelepre




In "Salvatore Giuliano", il bandito - interpretato da Pietro Cammarata, autista dipendente di 26 anni della SAIA ( Società Anonima Industrie Autobus ) di Palermo, scelto per la sua somiglianza a Giuliano - avrà così un ruolo quasi da comparsa. Nel film, Rosi ignorerà anche l'episodio  dell'uccisione da parte di Giuliano del carabiniere Antonio Mancino, il 2 settembre del 1943, in località Quattro Mulini, fra San Giuseppe Jato e Montelepre: un omicidio che darà il via alla storia criminale del giovane monteleprino, fino ad allora uno dei tanti anonimi animatori del mercato nero del grano.

Il regista napoletano
al lavoro in una scena d'interno


"Molti si sono interessati di sapere come questo episodio verrà narrato nel film. Resteranno male - sottolineò Tullio Kezich nel suo saggio - nel vedere che Rosi ha ignorato l'incidente e scopre Giuliano solo al momento dell'esplosione separatista, ciè quando è già un fuorilegge. Ma l'elisse è giustificata dall'angolazione storica e non cronachistica del film: di episodi come quello dei Quattro Molini è piena la storia della Sicilia negli anni dal 1943 al 1945. Giuliano fu soltanto uno dei tanti ragazzi travolti dalle circostanze, costretti alla macchia da un incidente grave scoppiato al margine di una loro piccola attività illegale. Se gli estimatori del Robin Hood siculo capissero questo, non avrebbero bisogno di inventare giustificazioni favolose per l'uccisione del primo carabiniere..."

Pietro Cammarata,
autista di autobus,
ottenne il ruolo di Salvatore Giuliano
per la sua somiglianza
con il personaggio


Pietro Cammarata - che dall'interpretazione del bandito sperava di ottenere visibilità e compensi economici per un trasferimento a Roma - non verrà così quasi mai inquadrato in primo piano. Indosserà come segno distintivo nelle scene di gruppo un impermeabile bianco: un abbigliamento su cui Cammarata troverà da ridire, lamentandosi pure del cinturone e delle scarpe impostegli dalla produzione del film. Ad un certo punto, Rosi noterà la sua totale identificazione con il vero Salvatore Giuliano. In mezzo alle comparse - gli uomini della banda - Cammarata dava ordini come se fosse Turiddu in persona. "A Castelvetrano - racconterà divertito il regista a Kezich - capitammo in un ristorante dove c'erano dei guappi che volevano crearci dei guai. Cammarata, che se ne stava a un tavolo in disparte, si alzò, andò direttamente da loro e disse: "Se avete qualcosa da dire, ditelo a me. Giuliano sono io". Lo disse in un modo tale che quelli non fiatarono più..."    

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