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martedì 23 settembre 2025

LA NOTTE DEL ROGO DOLOSO CHE DEVASTO' IL VILLINO FLORIO

L'incendio che ha semidistrutto
il Villino Florio, a Palermo.
Fotografia tratta dal quotidiano
"L'Ora" del 24 novembre del 1962


Alle 3.30 di una notte di pioggia, due persone salirono una scala a pioli poggiata su muro di cinta che a Palermo divide la via Pasculli dal giardino e dall'edificio del Villino Florio, disabitato da almeno 6 mesi e privo di energia elettrica per la morosità accumulata del proprietario. Con loro, gli intrusi trascinavano una latta di lamiera riempita di benzina ed un sacchetto pieno di stracci. Né il custode né la moglie, che dormivano in un alloggio esterno al Villino, ebbero ad accorgersi di nulla. A svegliarli, furono i rumori di vetri infranti e il crepitio delle fiamme che avvolgevano ormai irreparabilmente gli infissi, le intelaiature, i soffitti di quercia e mogano, gli scaloni, i pavimenti ed i preziosi arredi presenti sui tre piani edificati a partire dal 1899 da Ernesto Basile su commissione di Vincenzo Florio.

Il Villino Florio, oggi.
Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia
©

 

Tre anni dopo lo smantellamento di Villa Deliella, quella notte fra il 23 ed il 24 novembre del 1962, Palermo subì uno dei più gravi sfregi al patrimonio architettonico del "Liberty". Le operazioni di spegnimento delle fiamme che avevano aggredito il Villino Florio - rallentate dalla necessità dei Vigili del Fuoco di rifornirsi più volte di acqua e dall'indisponibilità di autopompe con un getto capace di raggiungere le torrette più alte - si protrassero per 6 ore. La fotografia riproposta da ReportageSicilia - tratta dalla cronaca del rogo del quotidiano "L'Ora" pubblicata il 24 novembre - ricorda oggi il peso di quella devastazione dolosa.  Quando le fiamme furono domate, il Villino Florio apparve come una larva incenerita e sventrata. Solo 28 anni dopo, l'edificio di Ernesto Basile, privato nel frattempo di un vastissimo parco, sarebbe stato oggetto di un restauro, durato 25 anni: un intervento che ha potuto solo in parte riscattare una perdita che ha segnato "la quasi definitiva scomparsa - ha scritto Gianni Pirrone in "Palermo Liberty" ( Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma, 1971 ) - di interni e arredi Liberty a Palermo".  


    

domenica 21 settembre 2025

LE MANCATE SOLUZIONI AL PROBLEMA IDRICO DAL 1937 AI NOSTRI GIORNI

Fontana a Petralia Sottana.
Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia©


"La sezione di Palermo del Servizio Idrografico Italiano, con l'aiuto finanziario del Banco di Sicilia, ha compiuto negli ultimi anni una preziosa indagine sulla disponibilità attuale sorgentizia della Sicilia. E' risultato che in quattro province, fra le nove dell'isola, la portata di acqua sorgentizia per chilometro quadrato è molto inferiore di un litro al minuto secondo, e precisamente: di 0,09 litri in provincia di Caltanissetta; di 0,09 in quella di Trapani; di 0,35 in quella di Enna; di 0,56 in quella di Agrigento.

Ma molte di queste sorgenti sono salmastre, solfuree e termali. Non si prestano alle irrigazioni agricole: tanto meno all'abbeveramento delle genti e del bestiame. Questa è la documentazione della sete cronica di un vasto territorio che si stende nel centro della Sicilia per 10.212 chilometri quadrati: i due quinti dell'intera superficie dell'isola...

Vi è anzitutto da pensare ad una più completa e razionale utilizzazione delle acque più scoperte e conosciute. E' un piano regolatore delle acque siciliane che si domanda: prima base del piano regolatore di tutta intera l'economia isolana... Sono da creare le opere di presa delle sorgenti. Molta acqua va già perduta alle origini e corrode invece, rovinandole nella sua illegittima corsa, le terre e le coltivazioni...

Sempre secondo l'indagine del Servizio Idrografico risulta che il patrimonio di acque sorgive non utilizzate in Sicilia raggiunge un volume di 6.632 litri al secondo. E' una quantità che rappresenta il 20 per cento della portata globale delle sorgenti conosciute dell'Isola che è di 32.894 litri al minuto secondo...

Mancano pure per le acque le opere di canalizzazione. Ma bisogna anche aumentare per molte regioni della Sicilia il volume, il patrimonio utile delle acque. Bisogna dunque moltiplicare i lavori di indagine, ricercare le acque profonde, mettere in valore le acque freatiche e  subalvee e creare, da per tutto dove si può, bacini di invaso, grandi e piccoli serbatoi con sbarramento di valli, cisterne di campagna per dissetare gli uomini e le terre nella stagione del fuoco e arginare intanto le devastazioni dell'acqua invernale che ruba la terra mentre precipita inutile. Bisogna infine creare e lanciare a tappe gli acquedotti.

C'è bisogno per l'acqua siciliana di coraggio, di lavoro paziente e ostinato, di capacità creative..." 



Al netto dei dati sulla disponibilità complessiva in Sicilia di acqua fornita da sorgenti per chilometro quadrato - dati che potrebbero non differire di molto da quelli indicati nel testo sopra riportato - si potrebbe pensare che questa analisi riassumi l'attuale situazione della crisi idrica sofferta dall'Isola. Il testo in questione risale invece al lontano 1937; lo scrisse Virginio Gayda, giornalista e saggista romano apertamente legato al regime fascista, al punto da essere considerato una sorta di "portavoce" di Mussolini. Le indicazioni di Gayda - inserite in un testo di ampia esaltazione propagandistica delle opere pubbliche allora promosse o solo prospettate dal fascismo - si leggono in uno dei dodici articoli dedicati alla Sicilia da lui pubblicati sul "Giornale d'Italia". Gli scritti furono in seguito raccolti nel saggio "Problemi siciliani" ( Roma, Tipografia "Il Giornale d'Italia", 1937 ), diventato così - spiegò Gayda nell'introduzione - la presentazione "di alcuni modi di essere della Sicilia e la rievocazione delle loro vicende ... in quanto sono parte essenziale del grande problema della vita e della potenza della Nazione nel suo continuo divenire...".

Ottantotto anni dopo il retorico scritto di Virginio Gayda, i temi da lui affrontati della siccità e dei limiti infrastrutturali nella gestione della risorsa acqua in Sicilia - oggi aggravati dalle conseguenze dei cambiamenti climatici - rimangono drammaticamente attuali. Non li ha risolti il fascismo, né, dopo di esso, i governi della Repubblica; né, tantomeno, li hanno affrontati in modo strutturale quelli della Regione Siciliana, che in questi mesi si trova ad affrontare il peso di guasti decennali. C'è il legittimo dubbio che, a fronte dei miliardi di vecchie lire e dei milioni di euro stanziati per potenziare le infrastrutture idriche nell'Isola, in poco meno di un secolo sia colpevolmente mancato quel lavoro "paziente ed ostinato" - noi aggiungeremmo anche l'aggettivo "onesto" - indicato da Virginio Gayda come unico metodo per risolvere la povertà idrica della Sicilia.

lunedì 15 settembre 2025

IL SUONATORE DI TROMBONE A CASTELBUONO

Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia©

 

domenica 14 settembre 2025

LA CONCLUSIONE DEL VIAGGIO SICILIANO DI PIERRE SEBILLEAU

La Sicilia in un un disegno
pubblicato nel 1948 dal saggio
"I cinquant'anni del Teatro Massimo",
edito a Palermo da I.R.E.S 


Al termine del viaggio letterario offerto ai lettori del suo saggio "La Sicilia" edito in Italia da Cappelli Editore nel 1968, il francese Pierre Sèbilleau descrisse lo "stravagante e abbandonato capolavoro architettonico" di Villa Palagonia, a Bagheria. La scelta di terminare la narrazione dell'Isola con l'illustrazione dell'edificio un tempo abitato da Ferdinando Francesco Gravina, principe di Palagonia, parve a Sèbilleau il miglior modo per offrire una possibile chiave finale di lettura della contraddittoria identità della Sicilia:

"Ho fatto in modo che la vostra ultima passeggiata palermitana e siciliana vi conducesse a questa seducente follia, per dissuadervi un'ultima volta dal dare al vostro viaggio una conclusione troppo razionale, troppo cartesiana, e dal formulare, sulla Sicilia, uno di quei giudizi manichei, "in bianco e nero", contro i quali vi ho messo in guardia fin dalle prime pagine di questo libro.

Ma una precauzione del genere sarà, ormai, senza dubbio, inutile. Adesso voi conoscete la Sicilia. Sorriderete quando alcuni presuntuosi vi diranno di avere scoperto la verità su questo paese in cui Pirandello ha compreso che ciascuno aveva la sua. Quando alcuni insoddisfatti gemeranno davanti a voi: "Che bel paese sarebbe se...", alzerete le spalle, come faceva il "Gattopardo" quando il suo cappellano gli faceva discorsi del genere.

Insorgerete contro quei biliosi che vi diranno di non avere visto in Sicilia che miseria, ma compatirete un poco gli entusiasti che non l'hanno vista affatto. Abituati come vi siete, ormai, ai contrasti siciliani, vi sembrerà del tutto naturale che l'Isola triangolare possa essere luminosa e scura, immensamente ricca e immensamente povera. Paradiso terrestre e paese fra i meno sviluppati d'Europa. Voi la vedete adesso come realmente è, terra e immagine dell'uomo, cioè con pregi e difetti, e in cui l'uomo che è in voi, quale esso sia, ha conosciuto in pieno la gioia di vivere.

Voi sapete adesso di amare la Sicilia. E' questa, a mio avviso, la sola conclusione, e la migliore, che possiate dare al vostro viaggio..." 


mercoledì 10 settembre 2025

I DRAMMATICI "FATTI DELL'ACQUA" A MUSSOMELI

Mussomeli.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia©


"Gli uomini qui portano, senza eccezione, una mantellina di panno blu munita di cappuccio, di foggia così uniforme da sembrare quella di un collegio... La forma del paese è a pan di zucchero, costruito intorno al cono di un colle, a 740 metri di altitudine... con strade ripide e strette, attorcigliate come visceri nel ventre del paese..."

Era un piovoso mese di febbraio del 1954 quando l'inviato del "Corriere della Sera" Ferdinando Chiarelli così descrisse Mussomeli in un articolo che raccontò quelli che nel paese nisseno sono ancor oggi ricordati come i "Fatti dell'acqua": la morte di Giuseppina Valenza, 72 anni, Onofria Pellitteri, di 50, Vincenzina Messina, di 26 e del 16enne Giuseppe Cappalonga. L'eccidio fu il drammatico epilogo di una protesta popolare che il 17 febbraio di quell'anno portò centinaia di persone a radunarsi dinanzi al vecchio Municipio, in piazza Firenze. Da giorni, la popolazione di Mussomeli chiedeva il ritorno della distribuzione idrica nelle abitazioni della parte più alta del paese e l'annullamento degli esosi canoni di pagamento dell'acqua - 6.250 lire per il biennio 1953-1954 - richiesti dall'Ente Acquedotti Siciliani. Nei mesi precedenti, il Comune di Mussomeli aveva inutilmente cercato di porre fine alle perdite della rete urbana che garantiva l'erogazione di appena 700 metri cubi di acqua per 17.000 abitanti: un progetto vanificato dalla richiesta negata di un mutuo da 50 milioni di lire. Dopo il passaggio di gestione del servizio idrico cittadino, l'EAS non aveva ancora eseguito gli invocati interventi di rifacimento della rete. L'acqua arrivava nelle case solo per un paio di ore al giorno, uscendo a filo dai rubinetti: così, quella richiesta del canone - intempestiva e beffarda - aveva finito con l'esasperare centinaia di famiglie.

In tarda mattina, poco prima di una riunione fra il sindaco Sorce ed il Prefetto di Caltanissetta - preceduta da un incontro interlocutorio fra lo stesso Sorce ed una delegazione di cittadini -  la folla di dimostranti scesa nuovamente in strada iniziò un lancio di pietre contro l'edificio comunale. Sembra che l'eccitazione della protesta avesse fatto pronunciare frasi minacciose contro il sindaco. Un gruppo di Carabinieri, dopo avere inutilmente chiesto ai manifestanti di allontanarsi,  esplose allora sette candelotti lacrimogeni; nell'improvviso caos, le tre donne ed il ragazzo rimasero schiacciati nei pressi di via della Vittoria dalla convulsa corsa dei fuggitivi. Altre decine furono i feriti, e fra questi un bambino di 7 anni, ricoverato in ospedale con un grave trauma cranico.



Ai funerali delle vittime dei "Fatti dell'acqua", celebrati il giorno dopo a spese del Comune, prese parte l'intero paese.

"In quattro bare di abete di cui una, la più piccola, il falegname non aveva fatto in tempo a verniciare di nero per la fretta, le vittime di Mussomeli - scrisse ancora Ferdinando Chiarelli - sono state portate al camposanto questa mattina alle 11 sotto la pioggia. Non sono state sepolte. Le hanno deposte in fila nella camera mortuaria, sul pavimento di vecchi mattoni, in attesa dell'autopsia. Una folla di diecimila persone le aveva seguite dalla chiesa parrocchiale fino ai cancelli del cimitero, davanti ai quali era poi rimasta per un pezzo impietrita, la testa nascosta sotto il cappuccio dei mantelli per ripararsi dall'acqua, così silenziosa che non si udiva uno scalpiccio, né un singhiozzo, ma soltanto il rumore della pioggia nel folto dei grandi cipressi. Soltanto più tardi, poco prima che la folla si decidesse a risalire nel paese, si è udito vociare iroso: qualcuno stava tentando di distruggere la corona di fiori inviata dal Municipio. E' stato un breve sussulto, l'ultimo guizzo di una fiammata di odio ormai apparentemente spenta..."

L'eccidio di Mussomeli provocò allora le inevitabili polemiche politiche fra democristiani e comunisti, arrivando sino al Parlamento nazionale e coinvolgendo il presidente del Consiglio e ministro dell'Interno, Scelba. Fu istituita una commissione d'inchiesta, che alla fine delle audizioni non individuò responsabilità per la morte delle tre donne e del ragazzo. Il 19 ottobre di quello stesso 1954, il Tribunale di Caltanissetta condannò invece 27 dei 44 manifestanti sottoposti al fermo per oltraggio aggravato e continuato. Le pene più pesanti - con sospensione condizionale - furono inflitte al locale segretario della Camera del Lavoro Salvatore Guarino - 9 mesi e 15 giorni - Francesco Catania, Salvatore Mancuso e Diego Seminatore, tutti condannati a 8 mesi e 15 giorni.  



Settantuno anni dopo i "Fatti dell'Acqua", Mussomeli e la provincia di Caltanissetta continuano a soffrire un'atavica crisi idrica. Le aspettative di forniture regolari e della disponibilità di moderne reti di distribuzione rimangono ancora disattese. Si è forse anche persa la voglia e la capacità di rivendicare civilmente il diritto all'acqua nella Sicilia del 2025. Così, l'assuefazione è oggi la prospettiva peggiore per il futuro di un'Isola e dei suoi abitanti che si stenta a definire realmente al passo con il vivere nel diritto ai beni primari.

sabato 6 settembre 2025

LA BAGHERIA "MESSICANA" DI CORRADO SOFIA

Villa Branciforti a Bagheria


In un articolo pubblicato l'undici febbraio del 1950 sul settimanale "Il Mondo" intitolato "Caviale e barocco" e dedicato a Renato Guttuso, il giornalista e saggista netino Corrado Sofia accostò così al Messico l'ambiente e l'architettura di Bagheria:

"Bagheria è il più curioso angolo di Messico che si trovi in Sicilia. Il barocco coloniale spagnolo abbonda in alcune ville; insieme al colorito degli abitanti, alle agavi, alle piante spinose indica la segreta lontana parentela di questa isola.

Una parentela indefinibile di cui non si hanno indicazioni più esatte che le trazzere, le cantilene, i polverosi scirocchi. Migrazioni, influenze, dominazioni spagnuole non basterebbero a definirla. Un substrato profondo, un sedimento nel sangue affiora nella pittura. Come si spiegherebbe questa tendenza pittorica che hanno in comune due popoli?



La stessa vivezza e primitività nei colori, lo stesso gusto nell'accoppiare e contrapporre rossi, gialli, verdi, turchini. Soltanto una indagine alla maniera di Lawrence potrebbe darci degli elementi: poiché si sa che Lawrence, per spingersi più avanti nella conoscenza dell'uomo, dalla Sicilia se ne andò in Messico: da Taormina si trasferì a Taos, "per fare un passo più avanti"..."


L'immagine riprodotta nel post di Villa Branciforti a Bagheria è tratta dall'opera di Sabina Montana "O corte a Dio. Prime architetture barocche a Bagheria: Villa Branciforti Butera", Plumelia, 2010, Bagheria-Palermo