"Una volta pare che il contastorie recitasse e d'inverno e d'estate, almeno a Palermo; e d'inverno - scriveva nel 1957 Ettore Li Gotti in "Il teatro dei pupi", riedito da S.F.Flaccovio nel 1978 - recitasse al coperto nei magazzini vicino alla Cala o vicino alle porte della città.
Il pubblico era composto più di marinai e di scaricatori, come ci dice Vincenzo Linares nel suo racconto, che è del 1837.
Poi, un pò a Catania e un pò a Palermo e un pò altrove, i contastorie han finito per recitare all'aperto, nei giardini, e quindi secondo la stagione, essendo quella invernale meno propizia.
A poco a poco il pubblico dei marinai è diradato anche perchè le zone del porto ( a Palermo ad esempio ) sono state le più danneggiate e sconvolte dai bombordamenti dell'ultima guerra; e le più trasformate dal piccone risanatore...".
La citazione di Li Gotti permette a ReportageSicilia di dedicare un post alle scomparse figure dei contastorie, che sino a 50 anni fa potevano ancora ritrovarsi in qualche piazza dei centri storici dell'isola.
I loro progenitori - gli iniziatori di un genere che offriva motivo di ricreazione ad un pubblico esclusivamente maschile - a Palermo hanno i nomi di "maestro Pasquale" ( che nel 1837 recitava in prosa nel piano di Santa Oliva ), "maestro Antonino", Camillo Lo Piccolo, Camillo Camarda ed i figli Nino e Paolo ( che recitavano per gli scaricatori di porto ), del raisi Turi ( che si esibiva al Foro Borbonico oggi Italico, sopra una sedia ).
In tempi più recenti, la lunga lista di contastorie palermitani citati da Ettore Li Gotti comprende i nomi di Giacomo Mira ( detto Rinaldo ), Salvatore Aiello, Francesco Gagliano, Salvatore Ferreri, zu Masi Tantillo, Francesco Russo ( che recitava al Capo nel 1916 ), Gaetano Lo Verde, Salvatore Palermo, don Tanu ( a Villa Bonanno ), don Peppino Celano ( nel quartiere Capo sino al 1953, ed in seguito dietro il nuovo Palazzo di Giustizia ) e don Tommaso Fiorentino ( che dalle 14 alle 16 si esibiva a Villa Giulia ).
Loro colleghi catanesi furono invece, fra gli altri, Giovanni Cifaloto, don Piddu Giammaria detto Orlando, don Puddu detto Burgutano e Giovanni Marino.
Col passare dei decenni, prima della loro definitiva scomparsa, il repertorio di questi artisti di strada - basato principalmente sulla storia dei paladini e sul ciclo dei reali di Francia, ( 340 parti di due ore l'una, cioè quasi 700 ore di narrazione ) - cambiò ispirazione.
Negli ultimi anni della loro attività, i contastorie avrebbero infatti dato spazio ad opere come "I mafiusi della Vicaria", "Petrosino il poliziotto italo-americano", "I Vespri Siciliani" o il "Brigante Musolino".
In altri casi, invece, le storie avrebbero preso spunto da recenti e lacrimosi fatti di cronaca, spesso interrotte negli snodi salienti per assicurarsi il ritorno del pubblico, il giorno successivo.
L'ultimo di questi rapsodi popolari è oggi riconosciuto in Francesco "Ciccio" Busacca di Paternò ( 1925-1989 ), la cui fama riuscì ad oltrepassare i confini siciliani, valendogli una collaborazione aristica con Dario Fo e diverse partecipazioni a trasmissioni radiofoniche.
Di lui - e dell'evoluzione dell'arte e del pubblico dei contastorie - avrebbe così scritto nel settembre del 1962 il giornalista Glauco Licata:
"Quando declama le tristi ed eroiche vicende di Turiddu Carnevale o del bandito Giuliano, piange e trascina alla commozione l'uditorio, composto spesso di qualificati e inizialmente scettici 'curiosi', i quali vengono a volte da lontane città del Settentrione per ricercare col lumicino quel guizzo di poesia popolare che tempi e macchine insidiano ovunque.
Ciccio Busacca - ex contadino analfabeta - compone da sè le strofe che declava accompagnandosi con la chitarra.
Il commento, la morale, è estemporaneo.
A Busacca bisogna chiedere soltanto le epopee di Carnevale e Giuliano.
Ad altri cantastorie - appartenenenti costoro ad una classe tradizionale - bisogna chiedere invece fatti ritenuti dalla tradizione popolare effettivamente accaduti in un trascorso - ma ben circoscritto - periodo storico: il periodo al quale rimandano le avventure di Guerrino il Meschino e quello di Buovo d'Antona.
Il popolo vuol sentirsi ripetere pure questi fatti, retaggio oramai della nazione siciliana".
Una "Composizione sul contastorie" di Santuzza Calì. Il disegno è tratto dall'opera "Sicilia" citata da ReportageSicilia nella precedente didascalia |
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