Retroscena e vicende ormai perse alla memoria della nascita dello stabilimento termitano, ora gestito da Blutec
Nei giorni scorsi l'ex stabilimento Fiat di Termini Imerese ha riaperto i battenti per 20 dei suoi 700 ex operai in cassa integrazione dal novembre del 2011.
La ripresa dell'attività - che prevede il riassorbimento di tutti gli operai entro il 2018 - si deve all'avvio in Sicilia delle attività della Blutec, azienda del gruppo piemontese Metec Stola, fornitrice di componenti per automobili ed in rapporti aziendali con la stessa FCA-Fiat.
Dopo avere abbandonato Termini Imerese, il gruppo italo-americano di Sergio Marchionne sembra così rientrarvi per una via traversa, e grazie ad un investimento complessivo di quasi 96 milioni di euro, 71 dei quali concessi dallo Stato e dalla Regione Siciliana.
Mentre sindacati ed operai non nascondono le proprie cautele sulle reali prospettive offerte da Blutec, la storia dello stabilimento termitano riconduce a precedenti ingenti stanziamenti a suo tempo goduti dalla Fiat.
L'interesse dell'azienda di Torino per la dislocazione di una propria fabbrica in Sicilia risale agli anni immediati al secondo dopo guerra.
Nell'ottobre del 1947 la stampa siciliana infatti annunciò l'avvio di trattative fra alcuni dirigenti della Fiat e l'assessorato ai Trasporti.
Per l'isola uscita economicamente a pezzi dalla guerra, una fabbrica con il marchio dell'azienda piemontese avrebbe rappresentato una preziosa fonte di lavoro e di reddito.
Dopo questi incontri, lo stesso assessore Salvatore Di Martino dichiarò al "Giornale dell'Isola" del 6 novembre del 1947:
"Avremo così una fabbrica di automobili Fiat di ogni tipo, la quale sarà in grado di fornirci tutto ciò che sarà necessario, dando altresì lavoro a migliaia di operai.
Abbiamo già conferito con i tecnici, che sono sul posto, e i lavori sono stati ormai felicemente predisposti.
La Pirelli si è impegnata a fornirci forti quantitativi di copertoni; ma completeremo il nostro fabbisogno con 80.000 copertoni ( con relative camere d'aria ) per i quali abbiamo già firmato il contratto con una ditta americana"
Le precauzioni della Regione nell'acquisto preventivo di decine di migliaia di copertoni si rivelarono vane e inutilmente dispendiose.
La Fiat infatti si tirò indietro dall'impegno di creare una propria fabbrica in provincia di Palermo; i motivi vennero così spiegati dal giornalista e saggista Matteo G.Tocco nel saggio-inchiesta "Libro nero di Sicilia", edito da Sugar Editore nel 1972:
"Cosa era avvenuto perché l'iniziativa venisse bloccata per quasi un ventennio?
Era avvenuto che la Fiat aveva detto alla Regione che non avrebbe tirato fuori una lira per realizzare l'impianto, il quale avrebbe dovuto essere finanziato interamente dagli enti regionali.
In quel momento la Regione non era in grado di accogliere la richiesta; gli strumenti di intervento non erano stati ancora creati.
All'inizio degli anni Cinquanta, la Fiat tornò alla carica.
Ma il governo regionale non si sentì di accogliere proposte che presupponevano finanziamenti pubblici al cento per cento.
Inoltre, gli esponenti dell'industria torinese non parlavano di una fabbrica di automobili, ma di una fabbrica di montaggio di parti fabbricate a Torino e spedite in Sicilia.
Questo significava che i programmi occupazionali che avrebbero potuto giustificare l'intervento finanziario della Regione si riducevano notevolmente.
L'operazione risultava inoltre pericolosa perché non veniva previsto come risolvere il problema dei costi del trasporto del materiale da trasportare"
L'accordo per la costruzione di uno stabilimento Fiat nell'isola si concluse solo anni dopo, quando la Sofis - la Società per il Finanziamento dello Sviluppo in Sicilia, che avrebbe garantito un corposo finanziamento - cedette alle pressioni dell'azienda torinese.
Fu un affare da 6 miliardi di lire - nel quale la Regione detenne inizialmente il 40 per cento della partecipazione - e quasi interamente a carico degli enti che appoggiarono l'impresa.
Le agevolazioni non finirono però qui.
L'iniziativa pro Fiat ebbe infatti la precedenza rispetto a quanti volevano che la zona venisse destinata alla creazione di un polo industriale della pasta termitana, all'epoca forte di una tradizione secolare.
L'iter burocratico fu sostanzialmente rapido.
Oltre all'appoggio della Sofis, la Fiat completò l'operazione garantendosi gli appoggi della Cassa per il Mezzogiorno, mentre il Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Palermo offrì il terreno ad un prezzo di favore ( 700 lire al metro quadro ), con agevolazioni anche di carattere fiscale.
Fu così che nel settembre del 1967 la Fiat ufficializzò la scelta di Termini Imerese come sede del progetto per la costruzione degli impianti, preferita a quella di Carini.
Il piano venne presentato dopo pochi giorni alla Fiera del Levante di Bari, ed il 15 maggio del 1968 fu firmato l'atto di acquisto dell'area fra il Consorzio per l'Area Industriale di Palermo e la Sicil-Fiat.
Lo stabilimento venne costruito su un'area di 394.200 mq a partire dal settembre dello stesso anno, accanto alla centrale termoelettrica Tifeo dell'Enel e al cantiere dell'autostrada Palermo-Catania.
Il 19 aprile 1970, con un ritardo di mesi per problemi di risorse idriche - risolti sembra con la captazione di acqua destinata ad uso agricolo ed ai cittadini di Termini Imerese - la fabbrica entrò in funzione.
Nelle fasi iniziali, la produzione fu di 50.000 vetture l'anno, grazie all'assemblaggio dei modelli "500" ed "850".
Dopo un primo periodo di formazione, 750 operai furono impegnati in catena di montaggio su due turni di 16 ore; li affiancavano 60 fra dirigenti ed impiegati amministrativi.
Dal progetto iniziale concordato fra Regione e Fiat rimasero tagliati fuori la costruzione di una pista di prova per le autovetture e soprattutto un Centro di Formazione Professionale, che avrebbe dovuto garantire i corsi per 150 allievi: giovani siciliani da addestrare nelle attività meccaniche, allo scopo di far nascere altre attività in zona.
Proprio quest'ultima iniziativa era stata caldeggiata in Sicilia da molti amministratori e burocrati locali; il recentemente terremoto nella valle del Belìce aveva aperto un drammatico fronte di immigrazione.
La formazione di nuovi operai rappresentava quindi un'opportunità per rilanciare il futuro di migliaia di famiglie trapanesi in cerca di quel futuro economico spazzato dal sisma.
Sin dai primi mesi di attività, all'interno dello stabilimento non mancarono momenti di frizione fra dirigenza ed operai.
Una testimonianza di quel periodo venne raccontata dall'allora capogruppo consiliare del PCI di Torino, Diego Novelli nel saggio inchiesta "Sicilia '71 ( una società disgregata )", edito nel 1971 dal Gruppo Editoriale Piemontese.
Novelli - che l'anno precedente aveva pubblicato per Editori Riuniti il volume "Dossier Fiat" - sottolineò anzitutto la particolare ambientazione della fabbrica, assai diversa da quella di Mirafiori ( "l'ambiente mi aveva un po' colpito: le dimensioni, il luogo dove è stata costruita, lo stesso clima di una giornata tersa, piena di sole e di luce, con un mare splendido... alla Fiat Mirafiori, nell'arco dei 12 mesi dell'anno, all'azzurro ed al sole prevalgono il grigio, buona parte dovuto allo smog, la pioggia, la nebbia, il freddo" ).
Poi, il futuro sindaco di Torino raccontò così la realtà della Sicil-Fiat:
"Lo stabilimento è stato costruito a cavallo degli anni 1968-1969 a seguito della costituzione di una società denominata Sicil-Fiat nella quale vi era una partecipazione azionaria della Regione Siciliana.
Nei giorni scorsi l'ex stabilimento Fiat di Termini Imerese ha riaperto i battenti per 20 dei suoi 700 ex operai in cassa integrazione dal novembre del 2011.
La ripresa dell'attività - che prevede il riassorbimento di tutti gli operai entro il 2018 - si deve all'avvio in Sicilia delle attività della Blutec, azienda del gruppo piemontese Metec Stola, fornitrice di componenti per automobili ed in rapporti aziendali con la stessa FCA-Fiat.
Dopo avere abbandonato Termini Imerese, il gruppo italo-americano di Sergio Marchionne sembra così rientrarvi per una via traversa, e grazie ad un investimento complessivo di quasi 96 milioni di euro, 71 dei quali concessi dallo Stato e dalla Regione Siciliana.
Mentre sindacati ed operai non nascondono le proprie cautele sulle reali prospettive offerte da Blutec, la storia dello stabilimento termitano riconduce a precedenti ingenti stanziamenti a suo tempo goduti dalla Fiat.
La vecchia targa che ancor oggi intitola il lungomare industriale di Termini Imerese a Giovanni Agnelli. La fotografia è di ReportageSicilia |
L'interesse dell'azienda di Torino per la dislocazione di una propria fabbrica in Sicilia risale agli anni immediati al secondo dopo guerra.
Nell'ottobre del 1947 la stampa siciliana infatti annunciò l'avvio di trattative fra alcuni dirigenti della Fiat e l'assessorato ai Trasporti.
Per l'isola uscita economicamente a pezzi dalla guerra, una fabbrica con il marchio dell'azienda piemontese avrebbe rappresentato una preziosa fonte di lavoro e di reddito.
Dopo questi incontri, lo stesso assessore Salvatore Di Martino dichiarò al "Giornale dell'Isola" del 6 novembre del 1947:
"Avremo così una fabbrica di automobili Fiat di ogni tipo, la quale sarà in grado di fornirci tutto ciò che sarà necessario, dando altresì lavoro a migliaia di operai.
Abbiamo già conferito con i tecnici, che sono sul posto, e i lavori sono stati ormai felicemente predisposti.
La Pirelli si è impegnata a fornirci forti quantitativi di copertoni; ma completeremo il nostro fabbisogno con 80.000 copertoni ( con relative camere d'aria ) per i quali abbiamo già firmato il contratto con una ditta americana"
Le precauzioni della Regione nell'acquisto preventivo di decine di migliaia di copertoni si rivelarono vane e inutilmente dispendiose.
La Fiat infatti si tirò indietro dall'impegno di creare una propria fabbrica in provincia di Palermo; i motivi vennero così spiegati dal giornalista e saggista Matteo G.Tocco nel saggio-inchiesta "Libro nero di Sicilia", edito da Sugar Editore nel 1972:
"Cosa era avvenuto perché l'iniziativa venisse bloccata per quasi un ventennio?
Era avvenuto che la Fiat aveva detto alla Regione che non avrebbe tirato fuori una lira per realizzare l'impianto, il quale avrebbe dovuto essere finanziato interamente dagli enti regionali.
In quel momento la Regione non era in grado di accogliere la richiesta; gli strumenti di intervento non erano stati ancora creati.
Una veduta dello stabilimento termitano, senza le bandiere e le insegne Fiat che ne hanno contrassegnato l'aspetto sino al 2011. La fotografia è di ReportageSicilia |
All'inizio degli anni Cinquanta, la Fiat tornò alla carica.
Ma il governo regionale non si sentì di accogliere proposte che presupponevano finanziamenti pubblici al cento per cento.
Inoltre, gli esponenti dell'industria torinese non parlavano di una fabbrica di automobili, ma di una fabbrica di montaggio di parti fabbricate a Torino e spedite in Sicilia.
Questo significava che i programmi occupazionali che avrebbero potuto giustificare l'intervento finanziario della Regione si riducevano notevolmente.
L'operazione risultava inoltre pericolosa perché non veniva previsto come risolvere il problema dei costi del trasporto del materiale da trasportare"
L'accordo per la costruzione di uno stabilimento Fiat nell'isola si concluse solo anni dopo, quando la Sofis - la Società per il Finanziamento dello Sviluppo in Sicilia, che avrebbe garantito un corposo finanziamento - cedette alle pressioni dell'azienda torinese.
Fu un affare da 6 miliardi di lire - nel quale la Regione detenne inizialmente il 40 per cento della partecipazione - e quasi interamente a carico degli enti che appoggiarono l'impresa.
Le agevolazioni non finirono però qui.
L'iniziativa pro Fiat ebbe infatti la precedenza rispetto a quanti volevano che la zona venisse destinata alla creazione di un polo industriale della pasta termitana, all'epoca forte di una tradizione secolare.
L'iter burocratico fu sostanzialmente rapido.
Oltre all'appoggio della Sofis, la Fiat completò l'operazione garantendosi gli appoggi della Cassa per il Mezzogiorno, mentre il Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Palermo offrì il terreno ad un prezzo di favore ( 700 lire al metro quadro ), con agevolazioni anche di carattere fiscale.
Fu così che nel settembre del 1967 la Fiat ufficializzò la scelta di Termini Imerese come sede del progetto per la costruzione degli impianti, preferita a quella di Carini.
Il piano venne presentato dopo pochi giorni alla Fiera del Levante di Bari, ed il 15 maggio del 1968 fu firmato l'atto di acquisto dell'area fra il Consorzio per l'Area Industriale di Palermo e la Sicil-Fiat.
Lo stabilimento venne costruito su un'area di 394.200 mq a partire dal settembre dello stesso anno, accanto alla centrale termoelettrica Tifeo dell'Enel e al cantiere dell'autostrada Palermo-Catania.
Il 19 aprile 1970, con un ritardo di mesi per problemi di risorse idriche - risolti sembra con la captazione di acqua destinata ad uso agricolo ed ai cittadini di Termini Imerese - la fabbrica entrò in funzione.
Nelle fasi iniziali, la produzione fu di 50.000 vetture l'anno, grazie all'assemblaggio dei modelli "500" ed "850".
Dopo un primo periodo di formazione, 750 operai furono impegnati in catena di montaggio su due turni di 16 ore; li affiancavano 60 fra dirigenti ed impiegati amministrativi.
Dal progetto iniziale concordato fra Regione e Fiat rimasero tagliati fuori la costruzione di una pista di prova per le autovetture e soprattutto un Centro di Formazione Professionale, che avrebbe dovuto garantire i corsi per 150 allievi: giovani siciliani da addestrare nelle attività meccaniche, allo scopo di far nascere altre attività in zona.
Proprio quest'ultima iniziativa era stata caldeggiata in Sicilia da molti amministratori e burocrati locali; il recentemente terremoto nella valle del Belìce aveva aperto un drammatico fronte di immigrazione.
La formazione di nuovi operai rappresentava quindi un'opportunità per rilanciare il futuro di migliaia di famiglie trapanesi in cerca di quel futuro economico spazzato dal sisma.
Sin dai primi mesi di attività, all'interno dello stabilimento non mancarono momenti di frizione fra dirigenza ed operai.
Una testimonianza di quel periodo venne raccontata dall'allora capogruppo consiliare del PCI di Torino, Diego Novelli nel saggio inchiesta "Sicilia '71 ( una società disgregata )", edito nel 1971 dal Gruppo Editoriale Piemontese.
Novelli - che l'anno precedente aveva pubblicato per Editori Riuniti il volume "Dossier Fiat" - sottolineò anzitutto la particolare ambientazione della fabbrica, assai diversa da quella di Mirafiori ( "l'ambiente mi aveva un po' colpito: le dimensioni, il luogo dove è stata costruita, lo stesso clima di una giornata tersa, piena di sole e di luce, con un mare splendido... alla Fiat Mirafiori, nell'arco dei 12 mesi dell'anno, all'azzurro ed al sole prevalgono il grigio, buona parte dovuto allo smog, la pioggia, la nebbia, il freddo" ).
Poi, il futuro sindaco di Torino raccontò così la realtà della Sicil-Fiat:
"Lo stabilimento è stato costruito a cavallo degli anni 1968-1969 a seguito della costituzione di una società denominata Sicil-Fiat nella quale vi era una partecipazione azionaria della Regione Siciliana.
Un consorzio pubblico, istituito per lo sviluppo dell'area industriale di Termini Imerese, ha provveduto al reperimento dei terreni espropriando, a prezzi abbastanza irrisori, i contadini, trasferendo le aree immediatamente ( ad un costo ancora minore di quello pagato ) alla Sicil-Fiat.
La Regione ha provveduto alle opere di urbanizzazione tecnica necessarie alla nuova industria: strade, canali, acqua, energia.
L'accordo prevedeva, attraverso un impegno assunto con il Ministero del Lavoro, che si sarebbero organizzati 30 corsi di qualificazione per 'operai montatori d'auto in serie'.
Ogni corso era formato da 25 operai per un totale di 750 unità lavorative che avrebbero dovuto trovare un'occupazione nel nuovo stabilimento.
Nel settembre del 1970 la Fiat ha comprato le 'carature' della Regione, divenendo proprietaria di tutto il pacchetto azionario.
A questo punto l'organico degli operai è stato bloccato a quota 660, oltre ad un centinaio di impiegati ed una ventina di invalidi addetti alle mansioni di ufficio, fattorini, centralinisti, ecc.
Le organizzazioni sindacali hanno convocato la Fiat davanti alla commissione comunale sul collocamento ( prevista dalla legge regionale siciliana ): in quella sede, i dirigenti della fabbrica hanno replicato di aver informato l'ufficio provinciale del lavoro di non avere più necessità di mano d'opera.
Tutto ciò accadeva esattamente tre giorni prima che gli allievi degli ultimi cinque corsi di addestramento, cioè 125 operai, affrontassero gli esami.
Contemporaneamente, in fabbrica venivano accelerati i ritmi nei reparti lastro-ferratura e verniciatura, e veniva aumentata la velocità sulla linea.
Alcuni invalidi, assunti per altre mansioni, venivano inseriti nella catena di montaggio, pretendendo da loro il cento per cento della produzione.
Quattro di questi lavoratori sono stati licenziati per scarso rendimento ma, dopo la protesta delle organizzazioni sindacali, la Fiat è stata costretta a riassumerli..."
In questi giorni, il riavvio delle attività all'interno della ex Sicil-Fiat con le insegne Blutec - con modalità finanziarie simili a quelle di mezzo secolo fa - fa sperare i 700 operai un tempo legati all'azienda torinese.
L'aspettativa è che la storia non ripeta il canovaccio di un passato in cui il sogno industriale di Termini Imerese ha prodotto l'incertezza della cassa integrazione ed il disimpegno di imprenditori abili nel battere cassa, salvo poi tornare poi fra le brume piemontesi.
In questi giorni, il riavvio delle attività all'interno della ex Sicil-Fiat con le insegne Blutec - con modalità finanziarie simili a quelle di mezzo secolo fa - fa sperare i 700 operai un tempo legati all'azienda torinese.
L'aspettativa è che la storia non ripeta il canovaccio di un passato in cui il sogno industriale di Termini Imerese ha prodotto l'incertezza della cassa integrazione ed il disimpegno di imprenditori abili nel battere cassa, salvo poi tornare poi fra le brume piemontesi.
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