Una porta in legno della tonnara del Secco, a San Vito lo Capo. Le fotografie sono di ReportageSicilia |
Una delle più scenografiche e suggestive testimonianze architettoniche della pesca del tonno nell'Isola - un sito che lo scorso anno è stato designato "Luogo del Cuore" per la Sicilia dal Fondo per l'Ambiente Italiano - vive un'agonia strutturale e lo struggimento sentimentale di quei visitatori increduli dinanzi a tanto degrado.
L'ultima calata delle reti avvenne nel 1965; e fino al 1911 - ha ricordato Ninni Ravazza in "San Vito lo Capo e la sua tonnara" ( Magenes, 2017 ) all'interno della struttura fu attivo un impianto per la cottura e l'inscatolamento del tonno sott'olio.
Il sito racconta la storia millenaria del rapporto fra l'uomo ed il mare: un'occhiata attenta al terreno circostante alla tonnara, svela la presenza di almeno cinque vasche per la produzione del "garum".
Dopo essere passata di mano in mano per secoli - il monastero palermitano di Santa Rosalia nel secolo XIV, la famiglia Foderà nel 1872, i fratelli Plaja nel 1929, il gruppo Valtur nel 1999 - la tonnara del Secco affida il suo destino, fra poche settimane, ad un'asta fallimentare.
La base d'asta dello storico complesso edilizio è fissata in un milione e 250.000 euro.
Il Comune di San Vito lo Capo si è dichiarato interessato all'acquisto, in previsione di una ristrutturazione e di un riutilizzo funzionale dell'area, sull'esempio di quanto accaduto per la tonnara di Favignana.
In attesa dell'esito delle vicende giudiziarie, la tonnara - che fino al 1960 ha ospitato uno stabilimento per la lavorazione del pesce - offre uno sconfortante spettacolo di decadimento.
Le pietre calcaree consunte dalla pioggia e dal vento, il legno disseccato dal sole e dalla salsedine, la trama dei "coppi" dei tetti scardinata e ridotta in pezzi, ricordano le parole scritte nel 1986 da Vincenzo Consolo ( "La pesca del tonno in Sicilia", Sellerio, Palermo ):
"E non sono più ormai le tonnare, vuote e inutili, che una selva di nere ancore, in lenta consunzione per ruggine e salsedine, riverse e sparse sopra la rena, in lugubre gioco grafico, in sinistra proiezione di lunghe ombre sul tramonto, in allusione di barriera, illusione di cavalli di Frisia a difesa d'un santuario di memorie di cui nessuno ha coscienza ed amore; non sono che neri barconi purruti, resti di risacche, relitti d'un immane fortunale che squarciò ogni vela, ruppe ogni remo, disperse nei gorghi il Vello d'oro..."
L'ultima calata delle reti avvenne nel 1965; e fino al 1911 - ha ricordato Ninni Ravazza in "San Vito lo Capo e la sua tonnara" ( Magenes, 2017 ) all'interno della struttura fu attivo un impianto per la cottura e l'inscatolamento del tonno sott'olio.
Il sito racconta la storia millenaria del rapporto fra l'uomo ed il mare: un'occhiata attenta al terreno circostante alla tonnara, svela la presenza di almeno cinque vasche per la produzione del "garum".
Dopo essere passata di mano in mano per secoli - il monastero palermitano di Santa Rosalia nel secolo XIV, la famiglia Foderà nel 1872, i fratelli Plaja nel 1929, il gruppo Valtur nel 1999 - la tonnara del Secco affida il suo destino, fra poche settimane, ad un'asta fallimentare.
Il Comune di San Vito lo Capo si è dichiarato interessato all'acquisto, in previsione di una ristrutturazione e di un riutilizzo funzionale dell'area, sull'esempio di quanto accaduto per la tonnara di Favignana.
In attesa dell'esito delle vicende giudiziarie, la tonnara - che fino al 1960 ha ospitato uno stabilimento per la lavorazione del pesce - offre uno sconfortante spettacolo di decadimento.
Le pietre calcaree consunte dalla pioggia e dal vento, il legno disseccato dal sole e dalla salsedine, la trama dei "coppi" dei tetti scardinata e ridotta in pezzi, ricordano le parole scritte nel 1986 da Vincenzo Consolo ( "La pesca del tonno in Sicilia", Sellerio, Palermo ):
"E non sono più ormai le tonnare, vuote e inutili, che una selva di nere ancore, in lenta consunzione per ruggine e salsedine, riverse e sparse sopra la rena, in lugubre gioco grafico, in sinistra proiezione di lunghe ombre sul tramonto, in allusione di barriera, illusione di cavalli di Frisia a difesa d'un santuario di memorie di cui nessuno ha coscienza ed amore; non sono che neri barconi purruti, resti di risacche, relitti d'un immane fortunale che squarciò ogni vela, ruppe ogni remo, disperse nei gorghi il Vello d'oro..."
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