L'uscita di una donna da un cunicolo di una fattoria nelle campagne di Centuripe utilizzata dal bandito Giuseppe Dottore. La fotografia venne pubblicata il 27 ottobre del 1946 dal settimanale "L'Europeo" |
La fattoria era diventata un rifugio di banditi che avevano scavato gallerie e corridoi nel sottosuolo per nascondersi in caso di necessità.
Riuscita ad individuare il covo dei banditi, la polizia dede l'assalto alla fattoria.
Nel conflitto, il capobanda rimase ucciso e gli altri banditi si diedero alla fuga"
Nel secondo dopoguerra, le vicende del banditismo siciliano alimentarono le attenzioni della stampa nazionale, reduce dai silenzi sui fatti di cronaca nera e giudiziaria imposti dal regime fascista.
Reportage e articoli riguardarono soprattutto Salvatore Giuliano e Montelepre, personaggio e luogo diventati per tanti lettori italiani i simboli di una Sicilia primitiva e violenta.
Non mancarono però nei giornali nazionali frequenti riferimenti alle gesta delle bande di Rosario Avila a Niscemi, Alfio Lo Cicero ad Adrano, Beppe Muffa e Peppe Mangiaterra a Bronte e di Giuseppe Dottore a Centuripe.
Proprio a quest'ultimo luogo dell'Isola si riferisce la fotografia riproposta da ReportageSicilia, accompagnata dalla didascalia con la quale inizia il post.
L'immagine - o, più, correttamente, la "fotonotizia" - venne pubblicata il 27 ottobre del 1946 dal settimanale "l'Europeo". Ritrae con tutta probabilità la masseria di contrada Due Palmenti utilizzata come covo dalla banda centuripina del camionista Giuseppe Dottore.
Sembra che il brigante avesse iniziato la sua carriera criminale dopo che uno strozzino gli venne a pignorare l'orologio e la macchina da cucire della moglie.
Cronache e voci popolari del tempo gli attribuirono una ventina di sequestri di persona, altrettante rapine, nove omicidi e vari scontri a fuoco con i carabinieri: atti di violenza compiuti di nome di una dichiarata "guerra proletaria" che attribuì al bandito di Centuripe la qualifica di "comunista".
Leggenda vuole anche che Giuseppe Dottore possedesse un cannone - un cimelio tedesco della recente guerra - e che nascondesse sotto la biancheria una piccola escrescenza pelosa, una sorta di coda: un attributo riferito a persone di particolare coraggio e forza fisica.
La sua sorte fu segnata la sera del 6 agosto del 1946, durante un agguato in contrada Saddura che i carabinieri affidarono alle armi di un sorvegliato speciale che conosceva bene amicizie e spostamenti di Dottore.
Così ha scritto Sandro Attanasio in "Gli anni della rabbia-Sicilia 1943-1947 ( Mursia, 1984 ):
"Il sanguinario Giuseppe Dottore morì il 6 agosto 1946.
Rientrava a tarda sera al suo rifugio.
Cavalcava spensierato cantando la canzone 'Vivere', di moda a quel tempo.
Giunto alla strofa
'... son padron alfin della mia vita...'
una precisa raffica lo buttò giù di sella.
Colpiti dalla stessa raffica morirono altri due fuorilegge, padre e figlio, Domenico e Giuseppe Castiglione.
Un altro, tale Palazzo, rimase ferito.
All'agguato notturno parteciparono i carabinieri, ma fu un 'uomo d'onore' ( a cui Dottore aveva fatto uno 'sgarbo' ) a scoprire il rifugio, organizzare l'agguato e sparare la disastrosa raffica.
I carabinieri non spararono, né i banditi ebbero il tempo d'usare le armi.
Nel rapporto ufficiale l'episodio venne descritto come un duro e prolungato conflitto a fuoco durato più di un'ora!"
Dopo la sua uccisione, il corpo di Dottore rimase esposto in una camera mortuaria per cinque giorni, controllato a vista da polizia e carabinieri: nessuno dei compaesani rese omaggio alla salma del bandito, per paura di essere indagato dagli "sbirri" come suo complice o favoreggiatore.
"Dottore fu seppellito senza una croce; e la terra che custodiva il suo feretro venne indicata soltanto con una pietra.
Sul registro del cimitero è annotato tutt'oggi quanto segue:
"Dottore Giuseppe, di Giuseppe e Paladino Nunziata, anni trentotto, sezione B, fila 1, numero 18"
Quando nella primavera del 1968 sono tornato a Centuripe, a cercare la sua tomba, non ho potuto trovarla.
Era, con decine di altre, seppellita da un'imponente frena del terreno, verificatasi parecchio tempo prima e mai rimessa a posto.
Quasi mai, mi dissero, era stata oggetto di visite pietose da parte dei familiari"
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