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venerdì 2 novembre 2018

L'ELOGIO DEL FICODINDIA IN UNA PAGINA DI RENE BAZIN

Venditore di fichidindia a Palermo.
Fotografia di ReportageSicilia
Da qualche tempo ormai il ficodindia ha abbandonato lo stucchevole ruolo di simbolo folclorico della Sicilia, assegnatogli dalla mano di paesaggisti di maniera e dall'industria cinematografica che in passato ha alimentato un'antologia di stereotipi isolani intorno al tema della mafia.
Questo frutto di origini messicane, diffuso in ogni campagna della Sicilia e per questo considerato un "cibo per poveri", sta diventando una risorsa economica non marginale per piccoli e medi imprenditori agricoli ( a Roccapalumba, nel palermitano, la coltivazione offre ad esempio occasione di lavoro stagionale a decine di persone ).
Ovviamente il ficodindia è stato oggetto di frequente citazione nei racconti dei viaggiatori che hanno scritto della Sicilia.
Il romanziere francese René Bazin nell'estate del 1891 visitò l'Isola, riportando in seguito le sue impressioni in "Sicilia, bozzetti italiani" ( ristampato da Edizioni e Ristampe Siciliane nel 1979, con una prefazione di Pierre Thomas ).
Durante una visita all'interno del parco del palazzo d'Orleans, a Palermo, Bazin ammirò una rigogliosa piantagione di fichidindia.
Qui ebbe indicazioni e consigli sulle virtù del frutto dell'"opuntia ficus indica":

"'Il raccolto è bellissimo', mi dice la mia guida indicando le lunghe file di fichidindia spinosi, i cui rami piegano sotto il peso dei frutti.
'Li ho appena venduti sulla pianta.
Fra quindici giorni, Lei sarà ancora in Sicilia e vedrà ovunque, sui muri, sui tetti, i fichidindia che si fanno seccare.
Sono la provvidenza del popolino.
Con una ventina di fichidindia - il valore di due soldi forse - e un pò di pane, un siciliano trova la maniera di fare la prima colazione, di pranzare, di cenare e di cantare nell'intervallo.
Sono freschi, sono sani.
Avvolti in carta sottile, si conservano fino ad aprile.
Non è quindi un frutto prezioso?
L'albero non lo è da meno.
Difende i nostri vigneti e i nostri campi di grano come nessun roveto e barriera lo può fare.
La 'pala', affettata, viene data al bestiame in inverno.
I rami malati servono da lettiera.
Nulla si perde nel ficodindia, perciò lo si ama!
Ehi, tu! Porta un ficodindia a questo signore!
La guardia siciliana cui si rivolgeva andò a raccogliere, sulla pala di un ficodindia molto più alto di lui e coperto di capsule rosse, gialle o verdi, uno dei frutti più maturi, color arancione, grosso come un pugno, irto di spine.
Spaccò la buccia con un colpo di coltellino, allargò i due lembi di buccia, fece uscire la polpa dorata e me la presentò dicendo:
'Che peccato che Sua Eccellenza assaggi il ficodindia prima delle prime piogge!'
'E perchè?'
'Eccellenza, quando il ficodindia ha bevuto la pioggia, diventa delizioso e si può dire che non esista sorbetto migliore'"


Lo scrittore francese ha così lasciato una pagina di storia sulle qualità del frutto più famoso della Sicilia
Quanto al suo gradimento, Bazin non ne rimase particolarmente impressionato, visto il franco giudizio seguito alla sua degustazione:

"Non voglio parlar male del ficodindia: non mi auguro tuttavia che si stabilisca l'usanza di servirne uno a metà pasto, neppure uno che avesse bevuto la pioggia del paese natìo..." 


    

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