Translate

venerdì 2 novembre 2018

L'IMPROBO LAVORO DEI "CORDARI" PALERMITANI

"Cordari" a Palermo nel secondo dopoguerra.
La fotografia venne pubblicata dal settimanale "Tempo"
il 21 ottobre del 1958
A Palermo si vedono ancora i cordari che fabbricano funi ritorcendo a mano la canapa con sistemi primitivi.
Sotto i raggi brucianti del sole, i ragazzi li aiutano nell'improbo lavoro"

Il 21 ottobre del 1958 il settimanale "Tempo" dava conto ai propri lettori della pratica a Palermo di un mestiere che si rifaceva al patrimonio di competenze artigianali legate alle attività marinare e della pesca.
La fotografia degli uomini impegnati a manovrare a piedi nudi la ruota per realizzare una corda - lavoro cui partecipano alcuni ragazzini - voleva così rappresentare l'arretratezza della Sicilia rispetto all'innovazione industriale che stava cambiando usi e saperi di altre zone d'Italia


All'epoca dell'immagine riproposta da ReportageSicilia, la figura del "cordaro" - diffusa a Palermo nel quartiere della Kalsa e nelle borgate marinare di Vergine Maria, Arenella ed Acquasanta ( ma anche in pieno centro città si ricorda un "cortile del Cordaro" ) - stava per essere definitivamente cancellata dall'affermazione dell'industria delle fibre sintetiche.
Sino ad allora, l'abilità dei "cordari" era stata al servizio dei pescatori e delle numerose tonnare dell'Isola.
Proprio gli impianti per la pesca del tonno furono fonte importante di lavoro, vista la varietà di cordame necessario all'attività delle tonnare e la necessità - ogni cinque anni - di un completo ricambio.
Il "cordaro" utilizzava la canapa ricavata dall'agave e l'esotica manilla per realizzare reti e corde destinate a sopportare gravosi carichi di lavoro, il cocco, lo sparto e la locale "ddisa" ( un tempo diffusa nel trapanese ) per cordame accessorio o destinato ad un frequente ricambio.


Una descrizione tecnica del lavoro svolto dai "cordari" si legge in "Ippocampo. Tecniche, strutture e ritualità della cultura del mare", a cura di Alessandra Nobili e M.Emanuela Palmisano, Regione Siciliana, 2008.
Gli autori raccolsero le indicazioni di mastro Giuseppe Marino, uno degli ultimi "cordari" della borgata dell'Arenella:

"Dalle foglie della pianta di agave essiccate al sole e schiacciate fino a ridurle in filamenti sottili, si ottiene la 'zabara' grezza che, per essere utilizzata, deve essere assottigliata passando tra le maglie del cardo fino ad ottenere una grande matassa, che si avvolge attorno alla 'nimola', il cui movimento rotatorio facilita l'estrazione della quantità di filato che si desidera.
Per realizzare una corda, mastro Giuseppe Marino, dopo essersi avvolto una certa quantità di filato attorno alla vita, introduce il filo di 'zabara' nell'asola del 'currulo' che si trova su una croce chiamata 'struntaloro', parte integrante della macchina per realizzare le corde, della ruota del cordaro.
Con l'aiuto di un'altra persona che fa girare la manovella della ruota e quindi i 'curruli', avvolge su se stesso il filo di 'zabara', allontanandosi via via dalla macchina" 



Nessun commento:

Posta un commento