Translate

lunedì 18 marzo 2013

I CARRETTIERI DI PORTO EMPEDOCLE

Carrettieri di Porto Empedocle nei pressi del porto agrigentino.
La fotografia, insieme alle altre riproposte da ReportageSicilia in questo post, è firmata da Calogero Cascio ed è tratta dalla rivista "Sicilia", edita nel settembre del 1962 dall'Assessorato Regionale al Turismo, Sport e Spettacolo. 
I carrettieri svolgevano allora una fondamentale funzione nella vita sociale ed economica della zona, assicurando i trasporti di salgemma, zolfo, gesso e di prodotti agricoli locali
verso altri porti italiani e stranieri

Le fotografie riproposte in questo post da ReportageSicilia sono tratte dalla rivista “Sicilia”, edita dall’Assessorato Regionale al Turismo, Sport e Spettacolo nel settembre 1962.
Le immagini, firmate da Calogero Cascio ed accompagnate dal semplice titolo "I carri di Porto Empedocle", colgono alcuni aspetti della vita dei carrettieri nella cittadina portuale.


Negli anni di quel reportage fotografico, il ruolo di questi personaggi fu di primaria importanza per lo sviluppo della società e dell’economia locali; la provincia agrigentina non era infatti dotata di un tessuto di viario in grado di assicurare l’agevole trasporto di merci su moderni mezzi a motore.
Carri, carrettieri e cavalli svolgevano dunque un lavoro di primo piano, per lo più su strade rurali dissestate e di difficile percorribilità per i camion.


Il porto empedoclino – nelle cui attività di trasporto e movimentazione erano allora impegnate un migliaio di persone - era lo scalo di partenza di vari prodotti da tutta la provincia di Agrigento e di parte di quella di Caltanissetta.


Così, i carrettieri con i loro viaggi assicuravano il trasporto via mare del salgemma di Cammarata, Racalmuto e Cattolica Eraclea destinato a Porto Marghera, Genova e Monfalcone; dello zolfo verso i porti tunisini, di Genova e Venezia; ed ancora, pietre da gesso, fave essiccate, agrumi e cereali imbarcati con destinazione Malta.



Ciascun carro poteva trasportare dai 6 agli 8 quintali di materiale; l’attività coinvolgeva anche i figli dei carrettieri più anziani, proseguendo una tradizione familiare nata alla metà del secolo XIX, quando Porto Empedocle - grazie all'industria dello zolfo - sviluppò le sue strutture portuali. 
Nei suoi scatti, Cascio coglie alcuni di questi carri sulla banchina dello scalo, poco prima delle operazione di scarico dei loro prodotti.


Altre fotografie - forse le più interessanti - rivelano invece l’abilità e lo spirito di competizione di alcuni carrettieri, capaci di lanciare carri e cavalli in una corsa sfrenata: una dimostrazione di coraggio e perizia, in grado di stabilire gerarchie e ruoli di preminenza all’interno di questa ormai scomparsa cerchia di lavoratori.


SICILIANDO














"I siciliani quasi tutti hanno un'istintiva paura della vita, per cui si chiudono in sé, appartati, contenti del poco, purché dia loro sicurezza. 
Avvertono con diffidenza il contrasto tra il loro animo chiuso e la natura intorno aperta, chiara di sole, e più si chiudono in sé, perché di questo aperto - che da ogni parte è il mare che li isola, cioè che li taglia fuori e li fa soli - diffidano.
Ognuno è e si fa isola da sé, e da sé si gode - ma, appena, se l'ha - la sua poca gioia; da sé, taciturno, senza cercare conforti, si soffre il suo dolore, spesso disperato. 
Ma ci sono quelli che evadono..."
Sebastiano Aglianò

sabato 16 marzo 2013

MOSAICI DI MONREALE, DA ARTE A MODA

L'attrice romana Lilli Cerasoli in posa fra le colonnine del chiostro di Monreale con un paio di pantaloni disegnati con i motivi decorativi dei mosaici bizantini e prodotti dallo stilista fiorentino Emilio Pucci.
La collezione dei capi di abbigliamento con i disegni ispirati agli scacchi, agli chevron ed alle losanghe monrealesi ebbe una breve stagione di successo commerciale negli Stati Uniti.
Lo scatto venne eseguito nel 1956 dalla fotografa di moda Elsa Haertter ed è tratto dalla rivista mensile "Sicilia" edita nel settembre del 1962 dall'Assessorato Regionale Turismo Sport e Spettacolo

Fu nella primavera del 1956 che il chiostro del duomo di Monreale – sino ad allora noto come straordinario esempio di architettura del secolo XII – raccolse le attenzioni del mondo della moda.
Accade infatti che il marchese Emilio Pucci (1914-1992 ), erede di una nobile famiglia fiorentina e considerato come un pioniere della moda italiana nel secondo dopoguerra, presentasse allora una collezione di tessuti ispirata ai mosaici che intarsiano le 208 colonnine del chiostro monrealese.
Pucci – divenuto famoso per le sue creazioni nel 1950 a Capri, dopo l’apertura di una boutique – fu uno specialista nella riproposizione di disegni ispirati dalla cultura e dall’arte italiana, come le pitture del Botticelli od i costumi del Palio di Siena; le sue creazioni sfruttavano cioè la notorietà dell’arte e delle tradizioni della penisola all’estero, andando incontro soprattutto ai gusti del pubblico americano.
Le trame dei mosaici del chiostro di Monreale fecero la loro comparsa su gonne, pantaloncini e camicette firmate da Emilio Pucci alle sfilate della moda di Firenze per la collezione primavera-estate del 1956.

Un altro capo d'abbigliamento riproducente
le decorazioni musive del chiostro monrealese.
Lo stilista fiorentino Emilio Pucci fu uno specialista nelle riproposizione di disegni ispirati alla cultura italiana,
come le pitture del Botticelli od i costumi del Palio di Siena.
La collezione dedicata ai mosaici delle colonnine di Monreale venne presentata a Firenze nel 1956 ed ottenne una breve stagione
di successo commerciale negli Stati Uniti.
La fotografia - al pari della successiva riproposta da ReportageSicilia - è tratta dal quotidiano "La Stampa" del 19 luglio del 1956 
Così, scacchi, chevron e losanghe di ispirazione bizantina finirono col decorare capi di abbigliamento indossati da ricche donne americane, per lo più ignare dell’esistenza stessa dei capolavori d’arte normanna nella Sicilia di 8 secoli prima.
Il battage pubblicitario allestito dal nobile fiorentino fu affidato ad Elsa Haertter ( 1908-1995), storica fotografa di moda di origini tedesche.
La Haertter ottenne le autorizzazioni per trasformare il chiostro benedettino di Monreale in un set; alla fine, furono realizzati 632 scatti a modelle vestite con i capi di abbigliamento ispirati dai disegni dei mosaici.
Oggi quelle singolari fotografie monrealesi sono conservate nel Fondo Elsa Haertter, custodito all’interno della Biblioteca Tremelloni del Tessile e della Moda di Milano.
In questo post, ReportageSicilia ripropone tre di quegli scatti pubblicati nelle pagine del quotidiano “La Stampa” del 19 luglio 1956 e nella rivista “Sicilia” edita dall’Assessorato Regionale Turismo Sport Spettacolo nel settembre 1962: la modella fotografata da Elsa Haertter fra le colonnine del chiostro è l’attrice romana Lilli Cerasoli ( 1932 ).

La fotografa tedesca Elsa Haertter fu l'autrice degli scatti che utilizzarono come set il chiostro di Monreale.
La Haertter eseguì 632 fotografie che sono oggi conservate all'interno della Biblioteca Tremelloni del Tessile e della Moda di Milano
Qualche elemento in più sulla breve fortuna dei mosaici monrealesi nel campo della moda si ricava proprio dalle pagine del quotidiano, a firma di Anna Vanner.
“Gli americani – scriveva “La Stampa “ - hanno accolto la trovata con molto favore e in taluni casi addirittura con entusiasmo.
Se il Pucci, tra le sue segrete intenzioni, aveva anche quella di fare propaganda turistica alla Sicilia, v’è riuscito in pieno. Basti pensare che uno dei più importanti magazzini di New York, che ha sede nella Quinta Strada, ha addobbato le sue vetrine con enormi fotomontaggi che riproducono paesaggi siciliani.
In primo piano, naturalmente, figurano in bella mostra pantaloncini, camicette, gonne, abiti e costumi eseguiti con il famoso tessuto. Celebri dive, “ragazze copertina”, ricchissime signore americane hanno acquistato questi capi. Il folcloristico disegno italiano è stato alleggerito dal taglio classico e stilizzato dei pantaloni aderenti e delle camicette sbarazzine che si portano sciolte su casti costumini da sole.
Ma anche il disegno ispirato dai carrettini siciliani è tra quelli che piacciono maggiormente alle americane, così come i bassorilievi decorati, che sono stati riprodotti in tessuti di grande pregio artistico.
Ed è ancora la Sicilia di scena come ispiratrici di colori: il blu Siracusa, il verde Agrigento, il giallo Taormina, insieme con il turchese, il rosso, il viola ed il ciclamino…”.


Lo stilista Emilio Pucci - erede di una nobile famiglia fiorentina - ritratto con lo sfondo del Duomo di Firenze, in compagnia di una modella.
L'immagine è tratta dal sito http://www.emiliopucci.com/Index.aspx 



domenica 10 marzo 2013

L'INVERNALE BELLEZZA DI LEVANZO

Il paese di Levanzo in una fotografia antecedente al 1977, quando l'immagine venne pubblicata nell'opera "Capolavori della Sicilia",
edita da Cografa di Milano.
Lo scatto dall'alto dell'abitato di cala Dogana mostra il volto invernale dell'isola delle Egadi, quando turisti e viaggiatori disertano la bellezza
di quest'angolo dell'arcipelago trapanese

La fitta macchia verde di vegetazione sulla collina che sovrasta il piccolo centro abitato e le poche imbarcazioni ormeggiate in porto fanno supporre che questa non comune fotografia aerea di Levanzo sia stata scattata in un periodo invernale.
L’immagine riproposta da ReportageSicilia è attribuita all’Archivio Fotografico SAR di Milano e la sua datazione è antecedente al 1977.
In quell’anno, infatti, la fotografia della più piccola isola delle Egadi venne pubblicata nell’opera “Capolavori della Sicilia”, edita da Cografa di Milano con una prefazione di Sandro Chierichetti, all’epoca autore di testi divulgativi dedicati a numerose località turistiche italiane.
La Levanzo riprodotta in questo scatto scopre il suo volto meno conosciuto, perché slegato all’immagine di isola nota quasi esclusivamente per le sue attrattive estive: il mare cristallino, i profumi della sua vegetazione ricca di quasi 500 diverse specie e quel godere del trascorrere lento delle giornate, tale da regalare la voglia di sfilare l’orologio dal polso.
L’isola invernale offre però impressioni altrettanto forti: un rapporto più stretto con il centinaio di residenti, le passeggiate accompagnate dal rumore del frangersi delle onde sulla scogliera o quelle nelle campagne interne, magari alla ricerca di funghi.
Su questo ambiente ancor oggi sostanzialmente integro, pesano le incognite legate alle richieste di Shell e Northern Petroleum di avviare trivellazioni offshore a meno di 12 miglia dall’Area Marina Protetta delle Egadi: una prospettiva cui si oppongono i pescatori ed i rappresentati di Greenpeace, Legambiente e WWF http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=%2020410.







LE IMMAGINI DI POVERTA' CONTADINA DI ANDRE' MARTIN

Interno di un'abitazione di contadini siciliani nella seconda metà
degli anni Cinquanta dello scorso secolo.
L'immagine - al pari delle altre riproposte in questo post da ReportageSicilia - portano la firma del fotografo francese André Martin e furono pubblicate nel saggio di Danilo Dolci "Spreco-Documenti e inchieste su alcuni aspetti dello spreco nella Sicilia occidentale", edito da Einaudi nel 1960

Le immagini riproposte in questo post da ReportageSicilia portano la firma del fotografo francese André Martin ( 1928-1999 ) e sono tratte dal saggio di Danilo Dolci “Spreco-Documenti ed inchieste su alcuni aspetti dello spreco nella Sicilia occidentale”, edito nel 1960 da Einaudi editore.
Gli scatti di Martin – originario della Normandia, laureatosi alla Scuola di Fotografia e Cinema di Parigi ed appassionato di etnologia africana, mediorientale e del Mezzogiorno d’Italia ( è nota la sua collaborazione con l’antropologo Ernesto De Martino ) - ritraggono scene domestiche di famiglie contadine siciliane, nella seconda metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo.

Una mensa familiare in cui adulti e bambini
 si servono dalle vecchie padelle
in cui è stato cucinato il pranzo.
André Martin fu un fotografo interessato ai temi etnografici e la sua documentazione riguardò anche il Meridione d'Italia e la Sicilia.
Le sue immagini si legano strettamente ai temi della ricerca sociologica condotta in quegli anni nell'isola da Danilo Dolci 

La sensibilità descrittiva di Martin e la sua capacità di cogliere nella loro quotidianità domestica il disagio e la povertà della classe contadina ben si legarono alle denunce portate avanti in quegli anni da Danilo Dolci.

Una madre con i suoi numerosi figli.
Nella Sicilia rurale degli anni Cinquanta,
le donne pativano spesso il peso di numerose gravidanze ed aborti,
favoriti dalle scarse condizioni igieniche degli alloggi
e dalla promiscuità con gli animali domestici 

Nella prefazione di “Spreco” – opera ancor oggi in grado di descrivere le ragioni dell’antico sottosviluppo dell’economia agricola in Sicilia – il sociologo scriveva:
“Molti, come è frequente nelle zone arretrate, pur intelligenti e volenterosi, isolati nel mondo fermo, non possiedono gli strumenti tecnico-culturali-organizzativi per sapere cosa fare, come lavorare, come progredire: la terra, la vita rimangono, davanti a loro impotenti, doloroso caos…”.

Due donne mostrano una coperta realizzata mettendo insieme 
vecchi capi di abbigliamento dismessi.
Il risultato della cucitura sembra rappresentare quel "doloroso caos" in cui - secondo la definizione di Danilo Dolci - andava avanti la vita di molte famiglie contadine del tempo

Le immagini di André Martin colgono quella sorta di inconsapevole povertà del mondo rurale siciliano, incapace di comprendere le ragioni del suo penoso vivere quotidiano e di cercare quindi la strada del riscatto, affidata solo alla fede religiosa delle immagini che tappezzano le pareti.

Immagini religiose tappezzano le povere pareti
dell'abitazione di un bracciante.
La devozione religiosa appariva a molti contadini come
l'unica prospettiva di liberazione
dagli stenti quotidiani

Di quella sofferenza, le fotografie di Martin offrono una testimonianza priva di retorica: ecco così la promiscuità fra anziani e bambini in poveri ambienti mal illuminati, i sudici tavoli in cui tutti condividono lo scarso cibo cucinato su vecchie padelle, o i giacigli per i bambini sistemati sui pavimenti.
Oggi i contadini siciliani sono una presenza marginale nell’asfittico panorama dei lavoratori dell’isola; pochissimi vivono ancora le condizioni di povertà descritte da André Martin, ma il lavoro che nasce dai frutti della terra paga lo scotto di quel “doloroso caos” descritto da Dolci.

Un contadino mostra il suo mulo, prezioso strumento di lavoro e di trasporto nella Sicilia del tempo in cui la motorizzazione nel mondo agricolo era poco diffusa: una circostanza che ha accentuato l'isolamento di numerose famiglie e la loro possibilità di creare una normale rete di rapporti sociali ed economici

Le recenti parole dell’assessore regionale alle Risorse Agricole, Dario Cartabellotta – “bisogna superare l’isolamento politico e sociale dell’agricoltura e stabilire un’alleanza strategica con le politiche territoriali, distributive, agroindustriali, ambientali, sanitarie, culturali, infrastrutturali e turistiche” – nel loro stantio politichese fanno intendere come, 50 anni dopo l’appello di Danilo Dolci, i contadini siciliani siano ancora privi degli strumenti necessari al loro progredire.



SICILIANDO














"Fino a poco prima del 1860, l'idea di libertà in Sicilia fu perciò connessa con quella dell'indipendenza dell'isola. 
In conseguenza non v'ha nulla di sorprendente che la tradizione duri ancora oggi...
E dal giorno dell'ingresso di Garibaldi a Palermo principiò, fra i siciliani ed i governanti d'Italia d'ogni partito e d'ogni colore, quel colossale malinteso che dura pure adesso e che durerà chi sa per quanto ancora".
Franchetti-Sonnino, Inchiesta in Sicilia, 1876

giovedì 7 marzo 2013

SPAGNOLISMO DI SICILIA

Panni stesi al sole e botteghe di venditori di prodotti alimentari nel mercato palermitano della Vucciria, 
a ridosso della quattrocentesca chiesa
di Sant'Eulalia.
La fotografia è tratta dalla guida "Palermo" di Gaetano Falzone edita nel 1956 da Azienda Autonoma di Turismo
per Palermo e Monreale

“Di tutte le dominazioni straniere che ci sono toccate, quella che, in epoca moderna, ha permeato più di tutte la mentalità siciliana, è stata la spagnola: imposta, certo, ma ci andava talmente bene da un punto di vista comportamentale ed estetico! Con il loro amore del fasto, della ricchezza e della festa, il loro gusto della dissipazione e la prodigalità ostentata, la loro tendenza alla grandiosità ed alla pompa, gli spagnoli ci misero a nostro agio: eravamo più fastosi ancora di loro. 
Il termine ‘spagnolesco’ d’altronde è più adatto ai siciliani che non agli spagnoli. In questa corrispondenza siculo-ispanica c’era una sola nota falsa, ed era che il fasto gli spagnoli lo vivevano da padroni, mentre i siciliani ne godevano da schiavi…”.


Scena di mercato popolare palermitano con la quinta scenografica
della chiesa di Sant'Eulalia.
La fotografia - scattata da Ezio Quiresi alla fine degli anni Cinquanta e tratta dall'opera del TCI "Sicilia" edita nel 1961 - dimostra la propensione dei siciliani a considerare i monumenti storici
come una normale quinta del loro vivere quotidiano   

Nel 1979 Leonardo Sciascia così descrisse a Marcelle Padovani ( “La Sicilia come metafora”, Mondadori ) l’eredità culturale della dominazione spagnola in Sicilia, trionfalmente rappresentata nell’ottagono palermitano di piazza Villena dalle regie statue di Carlo V e Filippo II, III e IV. 
La definizione di “spagnolesco” ancor oggi può spiegare molti aspetti del costume isolano; uno di questi riguarda la capacità dei siciliani – e dei palermitani in particolare – di considerare certi monumenti che in altre città sarebbero oggetto di diligente cura come una trascurabile quinta scenografica del loro vivere quotidiano.  
Le due fotografie riproposte da ReportageSicilia sottolineano questo approccio con l’architettura storica, e proprio nei confronti di una chiesa costruita nel quartiere palermitano della Vucciria durante la dominazione spagnola, per di più intitolata a Sant'Eulalia ( santa molto popolare in Spagna, soprattutto a Barcellona ).
Gli scatti risalgono agli anni Cinquanta dello scorso secolo e sono tratti dal volume “Sicilia”, collana Attraverso l’Italia del TCI ( 1961 ) e dalla guida “Palermo” di Gaetano Falzone edita nel 1956 dall’Azienda Autonoma di Turismo per Palermo e Monreale.
Delle due fotografia, l’unica con l’attribuzione dell’autore ( il cremonese Ezio Quiresi ) è quella dell'opera del TCI.