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venerdì 14 giugno 2013

TUNNEL, L'ALTRO MIRAGGIO DELLO STRETTO

Il tunnel sommerso sullo Stretto di Messina proposto dall'ingegnere inglese Alan Barnett Grant: solo uno dei tanti progetti di collegamento sottomarino rimasti - insieme a quelli del ponte - sulla carta.
Quello di Barnett Grant risale al 1970 e molti anni dopo fu al centro di una accusa di plagio a carico di un Consorzio di aziende italiane, anch'esse ideatrici di un tunnel
fra Sicilia e Calabria.
L'immagine, insieme alle altre del post, è tratta dall'opera di Nello Vincelli "Il problema dei trasporti nell'area dello Stretto",
edita da Editer Roma nel 1982

La notizia di qualche giorno fa racconta di un ennesimo paradosso siciliano: lo Stato dovrà tirare fuori più di un miliardo di euro per non costruire il ponte sullo Stretto di Messina.
A tanto ammonta infatti il risarcimento previsto a favore del Consorzio di imprese che - per effetto dei tagli negli investimenti - ha visto bloccare il proprio progetto: un'opera già costata centinaia di milioni di euro in studi preparatori, consulenze e spese amministrative alimentate dal fantasma di un ponte che - almeno per i prossimi anni - non vedrà luce. 

In questa e nelle fotografie che seguono compaiono le raffigurazioni plastiche del progetto di tunnel progettato da un gruppo di ingegneri ed architetti italiani per l'Iri e l'Italstat: Carlo Cestelli Guidi,
Silvano Zorzi, Alfio Chisari e Ludovico Quaroni
Di progetti per unire la costa messinese a quella reggina si discute e scrive dal 1870, quando l'ingegnere Carlo Navone prospettò l'attraversamento ferroviario dello Stretto tramite una via sottomarina.
Proprio l'idea di un collegamento alternativo al ponte - un tunnel - ha prodotto negli anni altre migliaia di pagine di studi, di elaborati e di ricostruzioni sotto forma di plastico.
Nei primi anni Sessanta questo modello di collegamento stradale-ferroviario fu ipotizzato dall'ingegnere Raffaele Merlini. 


Si trattava una doppia tubazione metallica a doppio involucro, simile a quella prospettata in seguito nel 1976 dagli ingegneri Luigi Croce e Mario Garbellini; entrambi i progetti rimasero un puro esercizio tecnico.
Sei anni prima, un altro ingegnere - l'inglese Alan Barnett Grant - aveva presentato il suo "Ponte di Archimede" sommerso per il traffico ferroviario e stradale: un tunnel galleggiante sospeso a 30 metri di profondità ed ancorato ai fondali da un sistema di cavi. Il progetto di Barnett Grant aveva vinto un premio ex-aequo ad un concorso internazionale di idee promosso dall'Anas, ma nel 1985 - quindici anni dopo quel premio! - il "Ponte di Archimede" venne ritenuto inattuabile: la società Stretto di Messina obiettò che il tunnel avrebbe dovuto superare la profondità di 40 metri e che il suo innesto non poteva insistere sul territorio urbano di Messina. 


Analoga bocciatura subì l'idea approvata in prima istanza dal ministero dei Trasporti nel 1983 di un pool di ingegneri ed architetti italiani ( Carlo Cestelli Guidi, Silvano Zorzi, Alfio Chisari e Ludovico Quaroni ).
Il loro progetto del tunnel - commissionato dal gruppo Iri-Italstat -  era basato su uno studio dell'ingegnere Ulrich Finsterwalder. Il piano prevedeva la costruzione di due carreggiate autostradali con corsia di emergenza e una sede ferroviaria con doppio binario al centro.
Il tunnel avrebbe dovuto avere una forma ellittica con un diametro orizzontale di quasi 40 metri e di oltre 21 metri di altezza: una struttura che fu però giudicata a rischio per l'azione delle correnti marine o per un eccessivo carico accidentale  ( l'impatto di una nave oggetto di un naufragio ).


La soluzione del collegamento sottomarino sembrò riprendere vigore nell'ottobre del 1987, quando l'ipotesi del collegamento stabile fra Sicilia e Calabria tornò d'attualità fra i governanti d'allora. 
Fu allora che un Consorzio di aziende - Iri, Italstat, Saipem, Snam ed Eni - elaborò il progetto per la costruzione di un tunnel anch'esso tripartito: una sezione sarebbe stata destinata al traffico ferroviario, le altre due a quello stradale da e per l'isola. Ciascuna sezione sarebbe stata composta da moduli lunghi 150 metri per una lunghezza complessiva di quasi 23 chilometri. Secondo i progettisti, l'enorme tubo sottomarino sarebbe stato posizionato ad una profondità di 47 metri ed ancorato ai fondali con cavi in kevlar. 
Il costo stimato dell'opera era di almeno 9.000 miliardi di lire, superiore a quello necessario per la costruzione di un ponte. 


Anche questo progetto di tunnel sullo Stretto è nel frattempo rimasto lettera morta, impegnando ingenti risorse finanziarie per gli studi preparatori e di fattibilità.
Del piano di quel Consorzio è rimasta semmai la memoria di una bega legale promossa proprio da Barnett Grant.
Nel 1988 l'ingegnere inglese accusò in un "libro bianco" le società italiane di avere copiato il suo precedente progetto: un presunto caso di plagio ingegneristico che ha aumentato con le inevitabili spese legali i milioni di euro bruciati dai progetti di collegamento fra Sicilia e Calabria.
Questa breve storia della storia dei collegamenti sottomarini ipotizzati e mai realizzati sullo Stretto è stata scritta anche grazie alle notizie riportate dal saggio di Nello Vincelli "Il problema del trasporto nell'area dello Stretto", edito nel 1982 dalla Editer Roma; da quel testo ReportageSicilia ha tratto le fotografie riproposte nel post.  

  
  

giovedì 13 giugno 2013

SICILIANDO














"Realizzavo che la Sicilia non è solo un'isola ma un subcontinente la cui storia variopinta, e i cui paesaggi multiformi, soffocano il viaggiatore che non si sia seduto in disparte per almeno tre mesi a studiare le sue differenti culture e le sue civiltà che si accavallano una sull'altra.
E, proprio per questa certezza, andai incontro al mio viaggio a cuor leggero e senza problemi".
Lawrence Durrell

lunedì 10 giugno 2013

SICILIA, SIC ET SIMPLICITER

La Sicilia fotografata dall'astronauta palermitano Luca Parmitano.
Lo scatto è stato eseguito dalla Stazione Spaziale Internazionale 

Secoli di mito e di pure cronache di viaggiatori, di racconti letterari e di opere cartografiche dedicate alla Sicilia: un enorme patrimonio documentario che ha sviscerato i mille aspetti dell'isola, senza però regalare lo stupore suscitato dalla Sicilia ( sic et simpliciter, verrebbe da dire ) fissata da questa eccezionale fotografia.
L'immagine è stata realizzata a qualche centinaio di chilometri d'altezza dall'astronauta palermitano Luca Parmitano, dal 28 maggio scorso a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.
L'isola appare un primordiale spazio geografico, terra disegnata sul rilievo delle acque: luogo fisico dove degrado, mala amministrazione, mafia e bisogno di riscatto sono indistinti ed estranei caratteri riferibili esclusivamente ai siciliani.  
"Questa immagine mi ha colto di sorpresa... mi sono girato ed era lì...", ha scritto Parmitano su Twitter, regalando una fotografia irripetibile alla millenaria iconografia dell'isola.        

domenica 9 giugno 2013

PUPI E PUPARI, LE PAGINE DI LI GOTTI

Cartello che annuncia lo spettacolo di pupi della sera
in un angolo di strada del centro storico di Palermo.
Da notare il foglio con il riassunto e il cartellino con la scritta "oggi" posto sugli scacchi corrispondenti allo spettacolo in programma.
La fotografia risale agli anni Cinquanta dello scorso secolo e, al pari delle altre riproposte nel post,
è tratta dal saggio di Ettore Li Gotti  
"Il teatro dei pupi" pubblicato nel 1957 da Sansoni 
e riedito da S.F.Flaccovio nel 1978

Ettore Li Gotti, palermitano ( 1910-1956 ), ordinario di filologia romanza e tra i fondatori del Centro di Studi filologici e linguistici siciliani, ha dedicato le sue attenzioni anche al teatro dei pupi.
Negli ultimi mesi di vita, Li Gotti scrisse una serie di articoli sull'argomento su riviste e sul "Giornale di Sicilia"; nel 1957, la moglie Maria Stella Carta raccolse quel materiale giornalistico e lo pubblicò nel saggio "Il teatro dei pupi", edito da Sansoni.

Pupi palermitani di Francesco Sclafani, costruiti da Nicola Pirrotta negli anni Trenta e Quaranta dello scorso secolo.
Da sinistra a destra: Orlando, Rinaldo, Ruggiero,
Carinda, Astolfo, Fiorindo, Ferraù, un cavaliere e Carlo Magno

A distanza di 21 anni, quel libro venne ripubblicato con lo stesso titolo dall'editore S.F.Flaccovio, con una prefazione di Giuseppe Cusimano. 
L'opera di Li Gotti - riferita ad anni in cui l'"opra" siciliana cominciava a perdere il suo pubblico - individua la crisi di questa forma di spettacolo popolare già negli anni del primo conflitto mondiale.

Prospettiva del teatro dei pupi di Francesco Sclafani a Palermo

"Li Gotti - notava Cusimano - scriveva nel 1956, quando i pochi teatrini rimasti minacciavano di chiudere in un'atmosfera di generale disinteresse. Egli si preoccupò per questo di raccogliere quante più notizie poteva: in apparenza non diversamente da quanto aveva fatto il Pitrè parecchi anni prima, in realtà ricomponendo i vari dati in una visione più organica capace di dare l'idea delle proporzioni assunte come fatto culturale e sociale della diffusione delle idee e delle immagini presentate sulle scene dell'opra".

Il puparo palermitano Giuseppe Argento

I pupi - sottolineava l'autore del libro - "oggi volgono al tramonto perchè quella sonorità malinconica, eloquente e melodrammatica non trova più il pubblico ingenuo e appassionato di un tempo, non fa più presa su di esso; e se ancora... meravigliano il forestiere ed incantano il ragazzo colla magnificenza delle armature e la vivacità delle vesti e dei pennacchi e con la varietà degli intrecci delle fantastiche storie interessano la loro fantasia, non arrivano più dritti al loro cuore troppo distratto...".

Annuncio pubblicitario del teatro dei pupi
di Giacomo Cuticchio a Palermo,
palesemente rivolto ai turisti

Ettore Li Gotti narra, con la nostalgia di un mondo perduto, la storia siciliana di Orlando e di Rinaldo, di Angelica e di Carlo, di cristiani e mori, del problema delle origini dei pupi fino alla fine degli anni Cinquanta, insieme con quella del mondo vario e pittoresco che li animava e che si muoveva intorno ad essi: il cantastorie, il contastorie, il puparo, il pittore di cartelloni e di carretti, lo scrittore di dispense, i nuovi personaggi creati allora dalla fantasia popolare, le diverse interpretazioni di storie e leggende.

I pupi di Francesco Sclafani in singolare tournée
con il teatro montato su un camion 

Lo studioso individua fra l'altro i prototipi iconografici dei pupi nei guerrieri cristiani rappresentati nel trecentesco soffitto della Sala Magna dello Steri di Palermo. 
Del suo saggio - oggi di non facile ricerca, e che continua l'opera di ricerca condotta decenni prima da Giuseppe Pitrè - - ReportageSicilia ripropone alcune fotografie, gran parte delle quali portano la firma di Vincenzo Brai ( Pubblifoto ).
Di seguito si riportano inoltre uno stralcio del capitolo II, intitolato "L'opra". 

Il pubblico di un teatro di pupi a Palermo
in una fotografia degli anni Cinquanta

"I contastorie sono artisti o mestieranti isolati ( e forse è questo uno dei motivi dell'essere stati essi sempre in minor numero ); i pupari invece presuppongono o riuniscono in sé o hanno intorno a sé tutta un'organizzazione, anzi l'organizzazione più complessa fra le tante attività che riguardano i pupi, quella che meglio le raggruppa e le coordina. Perciò il puparo merita il più ampio discorso e il maggior riconoscimento artistico, quello che si deve ad esempio al regista-attore di una compagnia teatrale, che, nel caso particolare, è il teatrino dei pupi.


Cavaliere cristiano e re saraceno ( pupi catanesi provenienti dal teatro di Natale Meli di Reggio Calabria,
con armature costruite da Puddu Maglio
negli anni Venti dello scorso secolo )


L'opra infatti non può nascere senza il teatro, anzi senza la preesistenza di una struttura teatrale di marionette già bell'e costituita e già in voga; poichè essa non è se non la teatralizzazione marionettistica ( scusate la brutta definizione ) del racconto del contastorie.
Basterà rifarsi alle origini dell'opra per accorgersene meglio: da un lato alle varie rappresentazioni popolari dalle vastasate al tutùi, e dall'altro ai primi passi dell'opra stessa nei grandi teatri catanesi o nelle ampie piazze messinesi, che sono altra cosa dai teatrini palermitani, più piccoli e più raggentiliti e perfezionati nei particolari.

Dama nera e dama bianca, pupi catanesi

E si potrà riconoscere che, con un intuito ed una abilità veramente notevoli, l'oprante ha sfruttato tutti gli elementi che confluivano da varie parti verso il gusto comune del racconto romanzato dei paladini, ha persino ricavato dalla rappresentazione trecentesca e quattrocentesca del cantastorie elementi tecnici ( per esempio la figura del salace buffone, l'accompagnamento musicale fatto da violinisti orbi, la funzione del prologo ) nella forma più recente, quella settecentesca semipopolareggiante persino con inframesse di cantate femminili, con cui erano giunti sino a lui.
E inoltre ha dato prova, specie nella Sicilia occidentale, di una tale varietà e abbondanza di repertorio, di una tale abilità organizzativa ( sempre in relazione alla lentezza dei procedimenti popolari ), che si riuscirebbe a fatica a credere avvenute in sì breve tempo tante trasformazioni, che si continuano tuttora.
E continuano perchè ( giova ripeterlo! ) il puparo è sempre un artista, e le sue invenzioni, grosse o piccole che siano, hanno la genialità e le freschezza di quella degli artigiani ancora non sopraffatti dalle esigenze della età della macchina e dell'automazione..." 

   

mercoledì 5 giugno 2013

L'IDENTITA' SEGRETA DELL'ISOLA BELLA


E' difficile scoprire fotografie dell'Isola Bella di Taormina che sfuggano ad una rappresentazione da cartolina turistica, tipica di alcuni luoghi della Sicilia.
Questo tipo di documentazione fotografica è incapace di cogliere l'anima nascosta della bellezza di località entrate per merito e per colpa del turismo di massa nello "stereotipo siciliano"; ciò vale, ad esempio - oltre che per l'isolotto della baia di Mazzarò - per i laghetti di Tindari, per l'arco dell'elefante di Pantelleria o per gli scorci sempre silenziosi di Erice.
Nella sua eleganza in bianco e nero, nell'equilibrio della composizione della scena - che pone l'Isola Bella semplicemente sullo sfondo di una spiaggia deserta, con le barche in secca e anonime figure di pescatori - la fotografia di Patrice Molinard rivela l'identità quasi segreta dell'isolotto.
L'immagine è tratta dall'opera "La Sicile", edita a metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo da Del Duca Parigi per la collana "Couleurs du monde".
  

martedì 4 giugno 2013

SICILIANDO














"Le vicende storiche della Sicilia sono tali da provocare quasi un senso di irritazione e di collera. Agli occhi di alcuni l'isola non è che un incubo assolato e le sue miserie passate e attuali sarebbero il diretto risultato dello sfruttamento, oltre che dell'incuria e della stupidità...
La Sicilia possiede luoghi di incomparabile bellezza, ma nel suo seno ospita anche miseria e squallore. Può essere violenta e sinistra e insieme dolce e sommessa.
E' stata teatro di molti efferati atti di crudeltà e di disastri, alcuni dei quali recenti. Ha attratto predatori di ogni specie che poi hanno finito per amarla e abbellirla. E' stata definita un crocevia, una regione non europea, una porta per l'Europa.
E tuttavia sia in arte che in politica ha dato i natali ad alcuni grandi europei. Da un certo punto di vista è la regione italiana più tipicamente italiana, con virtù e difetti molteplici.
Per un inglese la Sicilia è per molti aspetti l'Irlanda d'Italia, con la sua diversa civiltà, i suoi enigmi, il suo Cristianesimo per metà paganeggiante, la sua perversità, i suoi odi intestini, le sue disperate correnti di emigrazione prodotte da un sistema economico semplicemente mostruoso"
Raleigh Trevelyan 

lunedì 3 giugno 2013

LA TARGA FLORIO DI BORGESE

Vincenzo Florio, Auto in corsa, 1958,
olio su cartone telato

Più di uno scrittore siciliano ha dedicato qualche pagina delle proprie opere alla Targa Florio.
La gara madonita non è stata solo un appuntamento unico dell'automobilismo internazionale; le difficoltà ed il prestigio del circuito stradale, la partecipazione della popolazione all'evento e la sua ambientazione paesaggistica ne hanno fatto una pagina non secondaria nel costume della storia popolare siciliana.
Fra quanti hanno scritto in quest'ottica della Targa Florio vi è Giuseppe Antonio Borgese ( 1882-1952 ), lo scrittore di Polizzi Generosa autore del romanzo "Rubè" ( 1921 ).
Nei suoi scritti, Borgese considerò che la gara delle Madonie era "di grande richiamo non solo ambientale, ma anche storico, archeologico, artistico, letterario, in cui, ancora ieri come oggi, la natura e la cultura ancora talvolta si alternano, più spesso si intrecciano, offrendo sempre un susseguirsi di emozioni uniche e irripetibili". 
La considerazione dell'intellettuale polizzano trovarono più ampie argomentazioni in un articolo pubblicato dal quotidiano "l'Ora", fondato non a caso da Ignazio Florio a Palermo nell'aprile del 1900. Borgese ne fu collaboratore insieme ad altri personaggi di primo piano della letteratura dell'isola ( Rosso di San Secondo, Luigi Capuana ); quel reportage - ripubblicato nel 2005 dal saggio "Una Sicilia senza aranci" edito da Avagliano Editore, a cura di Ivan Pupo - dimostra il profondo rapporto tra l'evento Targa Florio ed i paesi delle Madonie.
 L'articolo di Borgese comparso sull'"l'Ora" - che divaga sui tanti aspetti sociali, economici e di costume del territorio del tempo - non riporta la data di pubblicazione.
Dai riferimenti sul tracciato di gara - la "via" della corsa - si può tuttavia comprendere che lo scrittore di Polizzi Generosa lo scrisse quando i piloti si sfidarono sul Grande Circuito delle Madonie tra il 1906 ed il 1911 ed ancora nel 1931.

Vincenzo Florio, Auto in corsa, tribune, 1958,
olio su tavola


Lo scrittore Giuseppe Antonio Borgese.
La fotografia è tratta dal volume di Guglielmo Lo Curzio "Questi siciliani", edito nel 1989 da Mursia
  
  
"Ai lettori dell'Ora, pei quali lo sport occupa il primo posto dopo la politica internazionale, non dispiacerà saper qualcosa dei paesi che attraverseranno gli automobili nella prossima primavera, disputandosi i ricchi premi e la Targa Florio.
Io ne scrivo proprio dal centro del circuito, sebbene questo paese dal duplice nonme non sia propriamente sulla via della gara. Ma la strada nazionale che da Termini sale fino a Petralia Soprana, che s'alza ad oltre millecentoquaranta metri dal mare e ove la corsa raggiungerà il suo apogeo altimetrico, poco prima dell'umile villaggio di Castellana si biforca, procedendo per appena quattro chilometri verso tramontana, finchè raggiunge questo borgo annidato sopra una selvaggia roccia di mille metri. Il quale ebbe il suo onorifico epiteto di generosa dalla magnificenza con cui riscattò i suoi privilegi parecchie volte conculcati dalla boria dei re aragonesi, e fu assai importante e popoloso nel Medio Evo come c'insegna perfino il Baedeker, ed ebbe un castello e una moschea e poi fu degno, in una celebre occasione, d'ospitare il Parlamento del Regno. Anch'oggi ha le sue poche ma non spregevoli glorie: ché si vanta di aver dato i natali al cardinale Mariano Rampolla e più ancora si vanta di custodire in una sua piccola chiesa purtroppo staticamente mal sicura un meraviglioso trittico fiammingo che se non è merita indubbiamente di essere opera di Van Dyck.

Vincenzo Florio, Auto in corsa, 1953
acquarello su carta

E' naturale perciò ch'io conosca mediocremente le vie, sulle quali la vegnente primavera udrà un insolito frastuono. E più naturale è ch'io abbia accolto con meraviglia mista a contentezza il programma del nuovo circuito, lieto che finalmente si sappia dai forestieri e anche un pò dagli italiani non essere la Sicilia un solo pezzo di costa senza territorio, a un di presso come i nostri possedimenti in Benadir. La storia e l'arte, la vita civile e persin l'agricoltura furono sempre marittime, nell'isola, e l'interno si può dire ancor oggi inesplorato e tenebroso come un hinterland africano. Pure non è a credere che solamente Taormina sia pittoresca e che dietro i goethiani aranceti non si stenda che lo squallore e la morte, le terre dei fasci e il casino di Grammichele.

Ezio Castellucci, L'attesa sul circuito, 1907
acquarello

Gli chauffeurs del prossimo maggio si lasceranno alle spalle Termini, la città bianca di memorie puniche e siracusane, che alza la testa verso un gran monte dalla cima ricurva e bagna i suoi piedi in un golfo degno di ecloghe elleniche, e saliranno verso la montagna attraverso Cerda e la saracena Caltavuturo, acquattata sotto le spaventose rovine di un castello, ove per certo nidificano i corvi.

Vincenzo Florio, Tribune di Cerda, senza data
olio su tela

Il primo tratto della via non ha nulla da esaltar gli occhi dei gareggianti, che del resto rimarrebbero fissi sul volante in ogni caso: appena si saran lasciata addietro la costa albeggiante d'olivi e nereggiante d'aranceti entreranno nel tristo paese del latifondo, tinto di bassa verdura a primavera, giallo in estate, nero nell'autunno, deserto tutto l'anno fuor che nel mese della falce e nel mese dell'aratro.

Duilio Cambellotti, Targa Florio 1907
bozzetto per la rivista Rapiditas

Di tratto in tratto qualche coppia di bufali, qualche armento di magre cavalle baie; qua e là un filo d'acqua pigra che si rigonfia in bolle asmatiche nel meato della cannella borraccinosa e poi verdeggia nella vasca rude, ove i muli immergono malvolentieri il muso; e, dov'è l'acqua, una piccola casa ceneregnola senza finestre e lì presso un alberello striminzito curvo sulla sua radice come un contadino invecchiato sulla marra, le cime calve, umili e prolisse s'alzano a fatica da valli aperte come lenti sbadigli, entro cui biancheggiano i letti aridi dei torrenti: immagini di una campagna romana, ma senza quel soffio di tragedia.

Duilio Cambellotti, Targa Florio 1907
bozzetto per la rivista Rapiditas

Più tardi però il paese si slarga, dando adito alla vista fin sulle montagne azzurre del mezzogiorno e sulla eccelsa Castrogiovanni. E dopo, oltrepassato il bivio di Polizzi e le due Petralie, la strada costeggia la catena delle Madonie, nome classicamente sonoro di montagne belle come gli Appennini abruzzesi, ombroso di faggi, ricovero di falchi, canore d'acque criscianti e di nomi eroici come il piano della Battaglia, che parecchie volte ricorre in memoria dell'ostinata resistenza mussulmana alle armi crociate del conte Ruggero. Dopo Isnello, ritorna alla vista di tra i boschi il mare, che s'apre ampio e soave innanzi a Collesano. I corridori vedranno olivi ampii e nodosi com'elci, ville alte sul piano come nidi d'aquile, borghi biancheggianti su rupi precipitose e Termini pendula sul golfo.

Margaret Bradley,  Tribune di Cerda, 1930
olio su tela

La via percorre latifondi e boschi. Tra un paio d'anni, quando sarà compiuta la novissima via tra Polizzi e Collesano, che è provinciale, ma saldissima, larga, ben levigata e superiore per cento rispetti alla nazionale tra Petralia e Geraci, si potrà forse con qualche utilità modificare ancora una volta il circuito. Il punto culminante non oltrepasserà i mille metri, ma in compenso i forestieri e gli italiani stessi conosceranno la più florida oasi della Sicilia interiore; contrade di nomi pittoreschi e soavi come Drispo Bianco, Chiaretta, Santa Venera, felici d'acque e d'ombre, deliziose d'una cultura multiforme in cui la severità della montagna imminente è mitigata dal vento marino che s'incanala lungo la greca valle dell'Imera e il fico d'India fa siepe al bosco d'Avellani, l'olivo si torce fra il castagno e l'arancio, l'agave africano non disdegna la compagnia della nordica quercia. Sarà una buona occasione per imparare che anche in Sicilia ci sono zone di agricoltura razionali o quasi, nelle quali vige la mezzadria toscana e magari il fitto olandese.

Margaret Bradley, Tribune di Cerda, 1930
olio su tela

Del resto, le terre che traverseranno gli automobili, non han nulla di barbarico. Qualche paese, tra cui il mio, si permette il magro lusso d'un illuminazione elettrica intermittente secondo la magra o la piena delle fiumane; tutti o quasi tutti son forniti di fognature ed acqua potabile; Petralia Sottana è una piccola città industriosa, dove strepita un grande mulino idraulico fabbricato secondo tutte le regole dell'arte, che fornisce paste e farine a tutta la popolazione del circuito.
Vera miseria non c'è dacché l'emigrazione ha rialzato automaticamente il salario dell'artigiano a tre lire e cinquanta e quello contadino a quasi due lire. Nelle montagne che s'alzano sulla strada c'è ancora qualche lupo, ma non ci sono più briganti da un pezzo. La stessa oscurità dei nomi che vi son passati sotto gli occhi è un ottimo indizio dell'indole di questa brava gente - contadini dal mento centurionesco e borghesi dal labbro saraceno - anime cortesi e miti, cervelli acuti e saggi, che tollerano ancora le sfuriate dei padroni, non invidiano la celebrità di Castelluzzo, non desiderano le visite dell'onorevole Todeschini, non scannano i cappelli e non danno grattacapi alla prefettura. Si può dire che anche i crimini privati vi sono pressocché sconosciuti: l'uomo di marina, il mafioso tracotante e amico dei fatti coi pantaloni larghi e il berretto a sghembo è tenuto in orrore da questi montanari, i quali, se qualche volta rubano, rubano un paniere di fichi e una pollastra.

Il passaggio di una vettura sul circuito della Targa Florio.
L'immagine è tratta dal I volume dell'opera "Sicilia"
edita da Sansoni-Istituto Geografico De Agostini

Col che non si vuol dire che queste forre siano un ignorato Eden di civiltà; la civiltà è tardigrada quassù, e lontana dodici ore di diligenza, che tante ce ne vogliono dalla stazione di Cerda a Petralia Soprana. E che diligenza! un quid medium fra una grande trappola di topi e una gigantesca scatola di fiammiferi, gialla canarino all'esterno e verdeggiante all'interno del velluto smesso dai vagoni ferroviari, fornita di certi finestrini di legno con due bucherelli vetrati e regolarmente incrinati, dai quali permea certa luce che non basterebbe a un ergastolano e certi riscontri che basterebbero a fare un guaio nei polmoni a padre Agostino. Non ci manca, per far l'opera completa, altro che una targhetta la quale avvisi a caratteri cubitali esserci là dentro posto per dodici persone, quegli ingenui passeggeri i quali a occhio e croce giudicano che ci vanno appena sei ragazzi.
Dicono che la corsa primaverile abbia a preludere a un servizio pubblico di automobili, di cui lo stesso Florio si farà iniziatore. Veramente questa buona gente è affezionata, in fondo all'anima, a un certo suo progetto ferroviario d'antica data e d'indefinita scadenza; ma, alla peggio, si contenterebbero dei teuff-teuff, sebbene non li conoscano che di fama, e, per giunta, di cattiva fama.
I baroni di quassù non han soldi da sperperare in macchine pericolose, e preferiscono dondolarsi alla meglio sopra un mansueto cavallo bastardo o, anche meglio, sopra una cavalla, che cumula la virtù di fare una bella figura tra i campieri e di partorire i puledri che poi si vendono. Un certo signore volle una volta profanare il sacro silenzio di queste vie, percorrendole in una vetturetta; ma dovè tante volte tornare a Palermo per riparare le più bizzarre e incredibili panne, che toccò la meta della sua impresa dopo circa una settimana, mentre la diligenza, come vi dicevo, ci mette solo dodici ore. E i montanari aspettano con grand'ansia la primavera per persuadersi che le macchine vanno davvero più leste della corriera postale".