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domenica 26 ottobre 2014

FRANCO VIVIANO, DA MANCATO OMICIDA A CRONISTA DI RAZZA A PALERMO

La lezione di vita e professionale di un giornalista "di strada" nella città della violenza e degli intrecci mafiosi


Un'autobiografia personale e professionale, che mette insieme umanità e crudezza, sentimenti familiari e ricordi di violenza mafiosa, lezioni di giornalismo, ironia e sorpresa. 
E' la vita raccontata da Francesco "Franco" Viviano, cronista  palermitano de "La Repubblica" che da qualche anno lavora a Roma"Io, killer mancato" ( Chiarelettere ) è anche una storia degli ultimi cinquant'anni di una città - Palermo - in cui la mafia ha lasciato uno sfregio incancellabile su molti dei suoi eventi.
Il titolo del libro è la confessione di un'adolescenza vissuta da Viviano nel quartiere Albergheria e al Villaggio Ruffini, fianco a fianco con figli e nipoti dei boss e segnata dall'omicidio del padre, vittima della reazione di un commerciante ad un tentativo di furto.


Un'immagine della strage di viale Lazio,
compiuta dai "corleonesi" a Palermo nel dicembre del 1969
e durante la quale morirono sei persone.
L'episodio rimane una delle vicende simbolo
della violenza mafiosa in città,
oggetto di cronache e inchieste giornalistiche.
Franco Viviano è oggi uno dei cronisti palermitani
con la memoria più lunga su decenni di potere
di Cosa nostra a Palermo.
La fotografia è tratta dall'opera di Giuseppe Fava "I siciliani",
edita da Cappelli Editore nel 1980

Franco Viviano, rimasto orfano di padre ad un anno, racconta di avere un giorno impugnato giovanissimo una pistola e di avere inquadrato nel mirino l'assassino del genitore.
I suoi coetanei con i cognomi dei capimafia - i "compagni di merende", come li definisce oggi il cronista - lo avevano spinto alla vendetta, ma all'ultimo momento il dito era rimasto immobile sul grilletto.  


Ancora un delitto di mafia a Palermo.
I giornalisti di cronaca nera nella città nei decenni
Settanta, Ottanta e Novanta hanno
scritto di centinaia fra omicidi e stragi di mafiosi,
uomini dello Stato, politici e cronisti.
La fotografia è tratta da Giuseppe Fava,
opera citata in precedenza 


Arrivato alle spalle di chi gli uccise il padre, Franco Viviano fece rapido dietro front verso casa; qui riabbracciò Enza - la madre - che, rimasta vedova a 19 anni, aveva fatto i lavori più umili e faticosi per salvarlo dalla povertà e dal richiamo di Cosa nostra.
La rinuncia alla vendetta avrebbe rappresentato per il futuro giornalista l'abbandono dello status di "picciotto promettente" affibbiatogli dai tanti personaggi mafiosi con i quali i Viviano "vivevano fianco a fianco: Madonia, Riccobono, Scaglione, Troia, Liga, Nicoletti, Di Trapani, Davì, Pedone, Gambino, Bonanno, Micalizzi e Mutolo, la crema di Cosa nostra".


Giovanni Falcone sul luogo della strage di Bagheria.
Nel settembre del 1989, i sicari di Cosa nostra
uccisero per vendetta la madre, la sorella ed una zia
del "pentito" Francesco Marina Mannoia.
Anche questo episodio ebbe un risvolto di rilievo
nelle cronache giornalistiche di quegli anni.
La fotografia è tratta dal volume di John Dickie "Cosa nostra",
edito nel 2004 da Editori Laterza


"Questa autobiografia - ha spiegato Viviano - è anche il tentativo di spiegare come sia possibile, con la fortuna, con la volontà  e con l'onestà, riuscire a raggiungere i propri obiettivi.
Di solito il figlio di un avvocato farà l'avvocato e quello di un medico il medico. 
Nella Palermo degli anni Settanta, il mio destino sarebbe stato quello di seguire le orme di mio padre, che era un ladro, e poi magari di entrare a far parte di Cosa nostra.
Conoscevo personalmente i Gambino, Gaspare Mutolo e molti altri mafiosi palermitani di quegli anni. Molti sono stati ammazzati, altri sono finiti in carcere; io invece sono riuscito a fare il giornalista, non perdendo l'abitudine a battere la strada, a parlare con chiunque possa fornirmi una notizia utile ad un'inchiesta".

Dopo decine di lavori umilissimi - muratore, barista, apprendista elettrauto, cameriere - Viviano sarebbe riuscito a varcare la porta della redazione dell'ANSA di Palermo.
Nel palazzone di via Emerico Amari che inquadra l'ingresso del porto, il mancato killer avrebbe faticato come fattorino, comprando le sigarette o la colazione ai cronisti. 
Poi - dopo un'apprendistato alle telescriventi - grazie alla conoscenza dei meandri violenti della città  e dei suoi personaggi, sarebbe riuscito a fornire le prime "dritte" giornalistiche, sino a diventare egli stesso un prezioso cronista di nera e giudiziaria.
La considerazione per il suo lavoro avrebbe portato un personaggio schivo come Paolo Borsellino a condividere con lui la comune passione per la bicicletta.


Una tetra immagine di Palermo
agli inizi degli anni Settanta,
quando la speculazione edilizia politico-mafiosa
aveva già trasformato il volto della città.
La fotografia è tratta dall'opera "Sicilia",
edita nel 1982 da Edicultura Milano
per la collana "Regioni d'Italia"

Per l'ANSA e poi per "la Repubblica", Franco Viviano ha messo a segno decine di scoop che hanno alimentato la considerazione di colleghi e investigatori.
Alcuni dei suoi numerosi colpi giornalistici - come la rivelazione della scomparsa di Emanuele Piazza, l'agente palermitano "in prova" del Sisde, o l'intervista al boss Vito Roberto Palazzolo in Sudafrica - hanno riguardato alcuni fra gli episodi più oscuri della recente storia italiana.  
In qualche caso, il fiuto per la notizia e la "rete" delle fonti gli hanno anche grattacapi giudiziari e l'avversione di magistrati come Piero Grasso e Gian Carlo Caselli.
Da giornalista, Viviano ha sempre conservato un rapporto istintivo con la strada - frutto degli anni difficili dell'adolescenza - ed un confronto da pari a pari ora con il venditore ambulante ora con il mafioso e con il poliziotto, ora con il faccendiere ora con il magistrato.
Ad una delle ultime presentazioni romane di "Io, killer mancato", non a caso, erano presenti molti investigatori e colleghi di Franco Viviano, questi ultimi pronti a suffragare l'affermazione del ragazzo che da potenziale killer si è trasformato in giornalista di razza: "se hai la notizia, vinci sempre".



          

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