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martedì 16 febbraio 2016

IL VOLTO DI TRAPANI IN UN REPORTAGE DEGLI ANNI CINQUANTA

Il decoro  architettonico e le ombre economiche della città nelle pagine del giornalista Flavio Colutta pubblicate da "L'Illustrazione Italiana", nel marzo del 1956


Via dei Sette Dolori, a Trapani,
in una fotografia pubblicata nel marzo del 1956
dalla rivista "L'Illustrazione Italiana".
Le immagini che accompagnarono il reportage
del giornalista Flavio Colutta
sono accreditate all'Ente Provinciale per il Turismo.
Nella didascalia che accompagna lo scatto si legge
"le vie della città vecchia ricordano i carrugi genovesi,
le case sono fatte di un bel tufo dorato"


"Per molti che intendono capire Trapani, la prima impressione è di una città signorile, moderna ( moderna, almeno quanto può esserlo un centro che ha dietro le spalle un bel mucchio di secoli ), generosa di tutte le comodità fatte per la vita spicciola; ma da un lato deludente.
Poi ci si mette in giro, e a poco a poco ci si accorge che la città è semplicemente un incanto.
Tante sono le sorprese, piccole e grosse, che le giornate ne acquistano una grazia particolare.
Niente riesce ad annoiarci"


Via della Giudecca


Nel marzo del 1956 la rivista "L'Illustrazione Italiana" diede conto delle impressioni trapanesi del giornalista e saggista Flavio Colutta in un lungo reportage intitolato "Sale e vino di Trapani".
Il racconto di Colutta - accompagnato dalle fotografie attribuite all'Ente Provinciale per il Turismo - descrisse una città "orgogliosa delle sue case, come lo è in genere di tutte le cose belle del passato" e dal personale carattere architettonico:


"L'architettura che si è svolta qui è un'architettura di muratori anonimi, ma architetti nati, che ha obbedito alla particolare situazione di Trapani, e obbedendole l'ha fatta sua ed umana.
La chiave della pianta della città ericina è nel carattere stesso della città: nella sua stretta area, nella cerchia delle mura che la rinserrano, nella penuria di spazio.


La chiesa di Sant'Agostino
e la fontana di Saturno


Le strade e i vicoli sono per lo più angusti, e le interruzioni frequenti: il tracciato riduce la superfice e sottrae luce e aria.
Ora il cortile, tipico di queste case, è per l'appunto un correttivo alla ristrettezza di spazio.
Ci sono vicoli da tollerare, vicoli scuri, senza colore, che a volte i caldissimi venti del Sud rendono soffocanti, e nei quali il sole scompare prima della sua ora.
Ma c'è l'arioso cortile.
Vi si entra ed è come passare da un lungo crepuscolo all'indimenticabile chiarità della Sicilia.


Operai delle saline


I fiori e le erbe odorosi vi sono largamente coltivati: è infatti nel cortile che si svolge la maggior parte della vita quotidiana.
E' dal cortile che parte la scala per i piani superiori.
E al cortile, ampio e ben arieggiato, si affacciano porte e finestre.
Le stanze di abitazione poi, ben lungi dall'apparire cupe come molte nostre d'oggi, sono chiare ed accoglienti; spesso sono imbiancate a calce; e colori e linee semplici sono l'accompagnamento normale della vita di ogni giorno"


Cantine Florio a Marsala




Agli occhi di Colutta, Trapani era allora ancora segnata dai guasti provocati dal secondo conflitto mondiale e dal declino delle sue storiche attività economiche, legate ai traffici portuali:

"Sullo sfondo di questi illustri muri, venuti su nei tempi andati, vive una città in crisi, ma dotata di una vitalità e intraprendenza che non pensavamo.
Intanto è una delle città siciliane maggiormente provate dalla civiltà ( quella delle macchine ) prima, e dalla guerra poi.
Questo estremo angolo dell'Isola conobbe tempi d'oro.
Una volta, cinquanta o sessanta anni fa, il porto di Trapani era pieno di lavoro.
I più vecchi ricordano ancora il viavai delle navi mercantili che dai lontani Paesi del Nord scaricavano carbone e ne ripartivano, in una gran gloria di sole e di azzurro, piene di vino, cereali e sale marino.
Trapani, allora, in giro per il mondo voleva dire sale, vino e tonni.
Il denaro correva, sulla banchina si vedevano ogni giorno gruppi di commercianti, di proprietari di saline, di agricoltori intenti a contrattare, tra un allegro tintinnio di patacconi d'argento.
Sorgevano nuove industrie, la città si allargava a vista d'occhio, il progresso economico investiva anche le classi meno abbienti, le comodità entravano nelle case degli operai.
Il declino fu rapido, molte e diverse le ragioni.
I guai cominciarono a farsi avanti con la guerra del 1915.
Colpita a morte la tradizionale marineria a vela, messe in crisi le folte schiere di marittimi, ridotte molte delle correnti di esportazione, sconvolti i rapporti economici internazionali, in declino la pesca del tonno e del pesce azzurro, Trapani si trovò a dover fronteggiare, senza che avesse i mezzi per mettervi riparo, situazioni nuove e profondamente sfavorevoli.
A sua volta, l'industria più importante, quella del sale marino, che forniva i principali mercati europei ed extraeuropei, perdette improvvisamente vigore.
L'arretratezza strutturale, la forte concorrenza delle saline estere sorte allora, e la conseguente difficoltà di smaltire tutto il prodotto infersero alla sua economia un colpo durissimo.


I 'Misteri' con la sfilata delle statue
che raffigurano la Passione


Poi fu la guerra, quella del 1940.
E la guerra significò, per questa città economicamente già allo stremo, la rovina.
Trapani subì distruzioni enormi.
Una buona metà delle case vennero colpite da diverse decine fra bombardamenti aerei e massicci cannoneggiamenti navali.
Ci furono centinaia di morti e feriti; oltre settemila vani andarono distrutti, gli impianti idrici ed elettrici, le fognature, le ferrovie, a terra, il porto sconvolto.
Nel giro di poche ore l'intero quartiere San Pietro, uno dei più popolosi della città, fu sventrato, buttato all'aria, poi ridotto a un cumulo di macerie e di calcinacci"


Dopo le distruzioni delle bombe, la città raccontata da Flavio Colutta fu oggetto di una massiccia opera di ricostruzione edilizia:


"Presto gli enormi vuoti del lungomare di ponente vennero coperti da una parata di palazzi che celando alla vista le montagne di macerie davano l'impressione di una città completamente nuova e linda"


Quindi il reportage de "L'Illustrazione Italiana" restituisce il volto sociale della Trapani della metà degli anni Cinquanta, nobilitato dal Museo Pepoli e dalla Biblioteca Fardelliana  ma sostanzialmente chiuso nella sicurezza di una dimensione provinciale, lontano dalle pulsioni anche intellettuali di Palermo e Catania:


"La gente vive soprattutto per il corso, dove avviene il passeggio.
D'inverno ci sono i cinema, le serate al circolo fra partite alle carte e al bigliardo, i veglioni del carnevale, la processione dei 'Misteri' al Venerdì Santo, qualche concerto alla Sala Bassi e nient'altro.
Il Teatro Garibaldi, distrutto dalla guerra, non è più stato ricostruito.
D'estate c'è un po' di movimento: arrivano comitive di turisti trasferitisi nel continente.
La situazione culturale non è molto consolante; si dovrebbe anzi dire che Trapani ha qualcosa in meno di tanti altri centri del Sud.
Le associazioni culturali e le iniziative private sono più scarse che altrove; non esiste, per esempio, un Circolo di Cultura, né c'è, ch'io sappia, un cineclub.
In giro per la città non è molto facile sentir parlare di queste cose.


Una mattanza dei tonni


Ci sono però due istituti, il Museo Pepoli e la Biblioteca Fardelliana, sotto molti aspetti esemplari.
Del Museo ho già detto ( ma vorrei chiedere: quanti trapanesi hanno trovato il tempo di visitarlo? ).
La Biblioteca ha un patrimonio librario notevole - siamo sui centomila volumi - e una bella sala di lettura.
Una rapida inchiesta per le cartolibrerie e le edicole non porta niente di nuovo.
Anche qui i gusti sono gli stessi della media nazionale.
Scarse le vendite di libri ( i romanzi italiani contemporanei sono poco letti; in genere il pubblico chiede i romanzi stranieri, specie americani, che hanno avuto una riduzione cinematografica ) mentre i settimanali a rotocalco si vendono sempre a migliaia, e tra questi il primato è tenuto naturalmente dai 'fumetti'"


Infine, in quel resoconto trapanese della metà degli anni Cinquanta, non manca un'analisi sull'economia alimentata dal turismo ( grazie alle frequentazioni di Erice, Segesta e Selinunte ) e sui chiaroscuri di quella legata all'agricoltura.


Lavorazione del tonno a Favignana


Nel suo reportage, Flavio Colutta fornisce precisi dati sullo stato delle attività agricole, incapaci di distribuire equamente i profitti garantiti dalla ricchezza delle colture a decine di migliaia di braccianti ed operai:




"L'attività più praticata è l'agricoltura, con coltivazioni di grano, fave, pomidori, erbai, vino, olio e allevamenti di suini ed equini.
Predomina la piccolissima proprietà.
I latifondi non sono numerosi: su 43.000 proprietari terrieri, otto soltanto posseggono più di 500 ettari di terreno, e 46 tra i 100 e i 500 ettari.
Ma sono 14.700 i contadini che coltivano meno di un ettaro, 13.260 quelli che ne lavorano da uno a tre, 5730 da tre a cinque, 5880 da cinque a dieci.
In questa situazione, è naturale che la massa dei contadini viva in condizioni mediocri.
E molti sono quelli che conducono una continua lotta con i pochi palmi di terreno, l'asino e l'aratro a chiodo, contro la fame.
Poi c'è il guaio dei braccianti agricoli e della disoccupazione stagionale.
Vi sono nel trapanese 65.000 braccianti, poco meno di un terzo dell'intera popolazione agricola.
L'esistenza che conducono questi uomini è piena di fatiche e di rinunce.
I salari sono bassi, la legge dell'imponibile di mano d'opera non è sempre rispettata, e nei lunghi mesi in cui il lavoro viene a mancare, specie d'inverno, la loro situazione si fa dura.
Nondimeno, come dicevo, qualcosa si muove.




Di grande entità è anzitutto il fatto che balza agli occhi a una prima considerazione: negli ultimi anni la produttività agricola è notevolmente aumentata, fino a toccare, nel 1953, una produzione vendibile di 178.000 lire per ettaro di superfice agraria, contro le 130.000 della media nazionale.
I progressi, per quanto lenti, sono sicuri, e si allargano a ventaglio, giorno per giorno.
Il consumo dei concimi chimici aumenta sensibilmente, ogni anno un poco.
I trattori, che alla fine del 1938 non erano che 134, ora sono più che triplicati.
Fra le industrie, la più importante è quella del vino.
Chi intuì le doti del vino in queste parti fu un inglese, Giovanni Woodhouse.
Le tradizioni del 'marsala' non sono molto antiche, risalgono al 1773.
Ma per circa un secolo e mezzo, il mondo andò a gara nel consumare il vino liquoroso che si produceva a Marsala e nei centri vicini.
I 250 stabilimenti che lavorano il vino sono in crisi dal 1945, o giù di lì.
Tutti sono dominati dal futuro incerto.
E perché?
I gusti sono cambiati e il consumo è paurosamente diminuito, in Italia come all'estero: ormai la gente non beve più tanto 'marsala' come una volta.
C'è la concorrenza spietata delle bevande analcoliche, sorrette da una macchina pubblicitaria formidabile.
Volendo tirare le fila, il quadro generale è dunque quello di un blocco di oltre 400.000 persone che vivono per metà su un'agricoltura in continua ascesa e per un quarto su un'industria in declino.
Le ragioni di preoccupazione e di allarme sono molte; ma, da un lato, sono tante e tante le cose nuove, per cui si può argomentare che la vita ha assunto un ritmo ben più vivace e moderno di sette o otto anni fa..."








 

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