Translate

mercoledì 2 novembre 2016

AVOLA, UN REPORTAGE DOPO LA STRAGE DEI BRACCIANTI

Un racconto e le immagini della realtà avolese del giornalista Alberto Sciacca pubblicate nel dicembre del 1968 dal settimanale "Vie Nuove"


In Sicilia era il piovoso mese di dicembre del 1968.
Da una decina di giorni, a  Noto, a Rosolini e ad Avola i blocchi stradali rallentavano il traffico in un quarto dell'isola.
Migliaia di braccianti agricoli delle province di Siracusa e Ragusa avevano scelto questa forma di protesta per rivendicare parità contributiva fra i lavoratori di Lentini, Francofonte e Carlentini e quelli degli altri comuni della zona.
I primi, raccogliendo i pregiati agrumi, percepivano 3580 lire per sette ore di lavoro; gli altri faticavano un'ora in più nei terreni coltivati a mandorleto, uliveto e vigneto e ricevevano un salario inferiore, pari a 3210 lire.
A questa disparità di trattamento economico si aggiungeva l'oppressione del caporalato, capace di lucrare una percentuale del 20 per cento su ciò che i braccianti riuscivano ad intascare a fine giornata.


L'imprevedibile accade il pomeriggio del 2 dicembre sulla strada statale 115 in contrada "Chiusa di Carlo", alle porte di Avola.
Qualche centinaio di braccianti stava bloccando la viabilità, occupando la strada con le bandiere delle sigle sindacali in mano.
Ad osservarli a distanza erano una novantina di agenti di polizia arrivati ad Avola a bordo di due autocolonne partite da Catania e Siracusa.
Ad innescare lo scontro fu un motivo che oggi si può solo supporre: qualche parola di troppo fra un dimostrante ed un poliziotto o, forse, una rudezza fisica nella richiesta verbale di sciogliere il blocco stradale.
Successe così che braccianti e agenti presto si scambiarono pietrate e gas lacrimogeni.
Poi, quando alcuni uomini in divisa si ritrovarono schiacciati fra due ali di dimostranti ed accecati dal fumo dei lacrimogeni loro respinto dal vento, partirono le raffiche di mitra.
Fu allora che quel pomeriggio di dicembre passò alla storia come il giorno della strage di Avola.


I proiettili colpirono a morte il 48enne Giuseppe Scibilia, di Avola, e il 27enne Angelo Sigona, di Cassibile; rimasero gravemente feriti altri due avolesi - il 45enne Giuseppe Buscemi ed il 37enne Giorgio Garofalo - ed il 38enne Salvatore Agostino, di Noto.  
Nessuna inchiesta giudiziaria o indagine parlamentare ha mai chiarito le responsabilità di quell'eccidio.
Nei giorni successivi a quel tragico pomeriggio invece giornali e televisioni spedirono i propri inviati in quel lontano angolo della Sicilia per raccontare la tragica lotta sindacale dei braccianti di Avola.
Uno di questi reportage venne pubblicato il 12 dicembre del 1968 dal settimanale del PCI "Vie Nuove", a firma di Alberto Sciacca.


Il suo racconto - suddiviso in quattro paragrafi e accompagnato da numerose fotografie - fornisce oggi una ricostruzione della vita quotidiana, delle rivendicazioni e delle contraddizioni della società avolese di 48 anni fa: 

"Nella grande piazza bianca: la Cattedrale, il giornalaio, due o tre bar, i semafori, il cinema, un vigile impeccabile, quasi milanese, lo studio del notaio, l'associazione dei finanzieri in congedo, il circolo della società operaia.
Camminano lenti gli uomini con il berretto sulla fronte, parlottano fra loro ma non tanto, si riuniscono al centro e fanno una macchia nera, immobile.
Oggi, ad Avola, è l'ultimo giorno di sciopero, gli uomini fermi in piazza hanno tutti il vestito della festa.
Quando si sciopera qui ad Avola lo si fa con il vestito 'buono', quello del matrimonio, di panno pesante, dentro il quale si può anche morire ammazzati, il vestito delle grandi occasioni.
Da domani, già alle sei del mattino, i braccianti dell'agrumeto ricominceranno a riunirsi qui, prima di andare al lavoro con le motorette comprate a rate, unica ricchezza di chi deve andare a lavorare a molti chilometri da casa.
Nella piazza si fanno i comizi politici, nella piazza vengono prese decisioni importanti per la vita i tutto il paese.
La piazza di Avola è democrazia concreta.
I ricchi, i proprietari di serre e di agrumeti, i piccoli industriali, i professionisti non vi mettono piede se non per attraversarla.
Ecco, la piazza di Avola è il salotto dei poveri, il loro modo di vivere nella socialità.
L'uomo ha i capelli scomposti, i baffi e gli occhi di un ragazzo, ma è sui cinquanta.
Si avvicina e mi fa:
'Lei è di Catania?'
'No - faccio io - vengo da Roma'
'E fa il giornalista?'
'Sì', dico io.
'Senta - continua - io sono un bracciante e vorrei scrivere un articolo sul giornale'
'Che articolo?'
'Un articolo per dire certe cose'
'Che cosa?'
'Per dire che ho combattuto contro i tedeschi e i fascisti.
E quando combattevo mi dicevano: combatti, stai combattendo per la libertà'
'Continui'
'E poi sono tornato e abbiamo fatti tanti scioperi e abbiamo combattuto e ci sono stati morti e feriti'
'Capisco'
'Ecco, volevo scrivere un articolo sul giornale per dire che la libertà ancora non c'è e noi siamo quasi vecchi'
Un partigiano ad Avola, il primo imprevedibile incontro"


"Corrado Duco, 11 anni, ma sembra di otto.
Lo vedo all'angolo della strada con un secchio di plastica pieno di lumache.
Le ha raccolte ieri ed oggi le vende.
'Quanto pensi di fare?', gli chiedo.
'Mille lire', mi risponde.
'E quanto tempo c'è voluto per raccoglierle?'
'Quattro ore'
'E per venderle?'
'Tutta la mattinata'
'Che scuola hai fatto?'
'La quarta'
Incontro un altro bambino con la tuta del meccanico, ha sì e no una decina d'anni.
'Vieni - lo chiamo - dimmi una cosa'
Scappa, poi si avvicina ma non vuole darmi nome e cognome.
'Quanto guadagni?'
'Niente - mi risponde - non guadagno niente, faccio l'apprendista, lavoro e non guadagno'.
In piazza i figli dei braccianti stanno accanto ai padri.
C'è uno attento ai discorsi dei grandi, cerco di avvicinarlo ma slitta fra la folla e scompare.
Mi informo.
Giuseppe Roccaro, un bracciante con 4 figli, mi dice che lui ha cominciato a lavorare a tre anni, aiutava la madre a raccogliere mandorle e poi a dieci anni è passato nell'orto.
'Quanti sono qui ad Avola i bambini che lavorano?'
'Centinaia - mi risponde - vanno a scuola e lavorano, oppure smettono di andare a scuola per lavorare.
Un ragazzo di 10-12 anni che sgobba nove ore nell'orto, guadagna mille lire al giorno, uno che lavora nell'edilizia 2-3000 lire la settimana'
Ad Avola ci sono due licei, il classico e lo scientifico e un Istituto tecnico commerciale.
Vado al mattino all'ingresso del Tecnico e sono subito circondato da un gruppo di studenti.
Chiacchieriamo.
'Senta - mi fa uno - dovrei dirle una cosa, posso?'
'La dica'
'Qui ad Avola non abbiamo il campo sportivo, ce n'è uno, ma è dell'Arciprete e allora quest'Arciprete, che si chiama don Frasca, fa entrare nel campo soltanto quei ragazzi che vanno a messa, gli altri niente, non possono metterci piede.
Qualche anno fa avevamo organizzato un campionato giovanile e don Frasca ha deciso che una delle squadre non poteva partecipare perché politicamente non era di suo gusto'
'Birboncello' fa una voce anonima e tutti ridono.
'E scriva anche - dice un altro - che del diploma qui ad Avola non ce ne facciamo niente, che dopo il diploma restiamo tutti disoccupati'
Poi suona il campanello e mi lasciano a malincuore.
Uno mi rimane vicino e quando siamo soli, sottovoce mi fa:
'Questa volta c'era qualcuno di noi, la prossima ci saremo tutti'
'Dove?' faccio io che pure ho capito benissimo.
'Con i braccianti, in piazza' e raggiunge i compagni"


"A sera il caporale si sguinzaglia.
Il caporale è l'uomo di fiducia del padrone con l'incarico di selezionare la manodopera e di sorvegliarne il lavoro.
Un uomo di trent'anni è preferito a uno di quaranta perché è più forte e rende di più.
Come per i muli.
I caporali possono essere di prima, di seconda e di terza categoria.
Quelli di prima sono più vicini al padrone, i più duri, ma ce ne sono anche che riescono a capire i problemi del bracciante e qualche volta ad aiutarlo.
Ci sono caporali che intascano una piccola tangente sul salario del bracciante e in questo modo imbrogliano bracciante e padrone.
Quello che c'è di certo è che il caporale quotidianamente ruba tempo al bracciante.
Contratta otto o nove ore di lavoro anziché le sette consentite, lo fa cominciare cinque minuti prima, e smettere un quarto d'ora dopo, gli fa inghiottire di corsa la colazione, lo tallona con frasi a mitraglia che intontiscono:
'Calamu, ammuttamu, forza carusi, assummamu'
I braccianti agricoli di Avola sono 3200 e lavorano negli orti, negli agrumeti e secondariamente negli uliveti e nei mandorleti.
Ogni bracciante deve, per lavorare, portare il suo attrezzo perché il padrone rifiuta di fornirglielo, sia esso zappa, piccone, forbici per la potatura o altro.
Ogni bracciante è occupato in media 230 giornate lavorative all'anno e nei periodi di più intenso lavoro passa la domenica in campagna e in campagna le sue feste.
Per il primo maggio, per l'Ascensione, per il lunedi di Pasqua ad Avola si lavora, salvo poi rimanere a non far nulla in piazza per tre o quattro mesi, perché in campagna non c'è bisogno di manodopera.
Facciamo ora un po' di conti in tasca al bracciante di Avola, tanto per capire meglio.
Considerando 230 giornate lavorative e un salario medio di 3000 lire ( il salario di cui al vecchio contratto, 3580 lire, non è mai stato rispettato dagli agrari salvo che in caso di carenza di manodopera ), il bracciante guadagna 690.000 lire all'anno, il che vuol dire che ogni mese dispone di 57.500 lire.
Questa cifra va così amministrata: 10.000 per affitto casa, 3000 per la luce, 700 per l'acqua, 9000 per carburante e manutenzione della motoretta che serve a recarsi sul posto di lavoro e 5000 per le sigarette.
Complessivamente 27.700 lire, il che vuol dire che un bracciante agricolo di Avola dispone di 30.000 lire con le quali acquistare cibo e vestiario per se stesso e per la sua famiglia.
Ora, se è vero che in qualche caso, in uno stesso gruppo familiare ci sono più persone che lavorano, nella maggioranza è un solo uomo che deve provvedere e mantenere la moglie e in media due figli ma possono essere anche tre o quattro.
E se con trentamila lire, mille al giorno, si deve comprare cibo e qualche capo di vestiario per 4 persone, ad ognuna di queste persone restano disponibili appena 250 lire.
Non abbiamo fatto altro che fare i conti in tasca al bracciante di Avola"


"Sono qui ad Avola ancora per poche ore.
Me ne vado alla periferia per vedere come vive la gente, la vita di ogni giorno cioè, quella che non si conosce.
Sono subito localizzato, circondato da bambini che vogliono essere fotografati, da gente che prova a spiegarmi.
Avvicino un gruppo di donne e sono tutte mogli e figlie di braccianti.
'Cosa mangiate - chiedo - cosa cucinate ogni giorno?'
Rispondono in coro ed è fatica mettere ordine.
'Al mattino al marito che va al lavoro do pane e mortadella o pane e olive'
'A casa a mezzogiorno un piatto di pasta'
'La sera per tutti un piatto di minestra di broccoli e per secondo i torsoli dei broccoli soffritti con l'aglio'
'La frutta costa più del pane'
'Il latte e le uova solo per i bambini'
'La trippa o la carne di terza solo la domenica'
Mi si fa accanto un uomo.
'Io sono infermiere - dice - per ogni iniezione prendo 50 lire, per guadagnare 3000 lire al giorno mi tocca fare 60 buchi'
'Non c'è acqua, due ore al giorno e d'estate un'ora soltanto'
'E se manca il lavoro debiti e se non manca, debiti lo stesso. Cambiali, firmi cambiali e mangi'
Un uomo mi chiama.
'Vuole fare una foto a me e ai miei figli?'
Li ha schierati davanti casa, sono dieci ma mi assicura che ne mancano tre, chi sa mai dove si sono cacciati.
Scatto le foto e sono tutti felici.
Avola: quasi trentamila abitanti, qualche piccola industria e un'agricoltura fra le più fiorenti di tutta la Sicilia.
Le strade sembrano lavate con acqua e sapone, il mare stupendo è a 500 metri dal centro, un piccolo supermarket e un concorso per voci nuove che si terrà in questi giorni.
Ai muri delle case fra gli annunci funebri per la morte di Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona sono attaccati giganteschi manifesti pubblicitari con donnine svestite che invitano a comprare quel tale frigorifero, quella tale motoretta, a istillare negli occhi quel tale collirio, a mangiare quella tale pasta di pura semola.
Mentre guardo i manifesti si avvicina un giovanotto con gli occhiali, ha la cravatta, forse è uno studente.
'Vede - mi dice - questi dicono di comprare, allora io voglio comprare di più, però se chiedo di guadagnare di più per comprare di più, mi sparano addosso e mi ammazzano.
Che ne pensa del meccanismo?'
Che ne penso?
Vado al ristorante e mi siedo ad un tavolo.
Al tavolo accanto ci sono quattro signori dei quali uno è certamente un giornalista ( di un cinegiornale o della TV, ha con sé una cinepresa da 16 mm ).
Il giornalista ha un leggero accento romano, è un bel giovane di quelli che usano il prebarba e il dopobarba per intenderci, giacca di buon taglio e fare disinvolto.
Disquisisce sulla questione meridionale e sulla Sicilia con molta sicurezza.
'Vedete - fa ai suoi amici - in questa terra i cessi sono sporchi, le ragazze non escono neppure per strada e nei ristoranti si mangia male e si spende troppo.
Ora un popolo che non sa cagare ( fa chic usare il termine alla veneta, ndr ), che non sa fare l'amore e che non sa mangiare è un popolo incivile'
Ed è come se ad Avola si continuasse a sparare"














2 commenti:

  1. Ad Avola non é cambiato nulla. Braccianti considerati dai padroni come feccia dei lavoratori e caporali leccaculo.
    Nessun diritto. Si lavora con la febbre o altri malanni, se no non sei pagato,si lavora di domenica,nelke feste, e perfino quando piove perchè la grande distribuzione non può attendere.
    Ci stavano provando i sostenitori del Movimento dei Forconi, ma la strategia dei politicanti nazionali e regionali, con molta diplomazia, additò Mariano Ferro come l'orco che lasciò senza latte per una settimana i nambini e i malati negli ospitali distruggendo l'economia siciliana.
    L'economia agricola siciliana è fatta da spudorati commercianti che soeculano sui bisogni di chi la mattina é costretto a sacrificatsi per 7 ore nelle campagne siciliane

    RispondiElimina
  2. Ad Avola non é cambiato nulla. Braccianti considerati dai padroni come feccia dei lavoratori e caporali leccaculo.
    Nessun diritto. Si lavora con la febbre o altri malanni, se no non sei pagato,si lavora di domenica,nelke feste, e perfino quando piove perchè la grande distribuzione non può attendere.
    Ci stavano provando i sostenitori del Movimento dei Forconi, ma la strategia dei politicanti nazionali e regionali, con molta diplomazia, additò Mariano Ferro come l'orco che lasciò senza latte per una settimana i nambini e i malati negli ospitali distruggendo l'economia siciliana.
    L'economia agricola siciliana è fatta da spudorati commercianti che soeculano sui bisogni di chi la mattina é costretto a sacrificatsi per 7 ore nelle campagne siciliane

    RispondiElimina