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lunedì 24 settembre 2018

UN'ANTICA ED APOCALITTICA PROFEZIA DEL PARROCO DI USTICA

Paesaggi usticesi di Giovanni Omiccioli.
Immagini tratte dall'opera di Domenico Jacarone
"A Ustica con Omiccioli",
edita da Edizioni Gielle nel 1958
A più di 50 chilometri di distanza dalla costa Nord del palermitano, Ustica è quanto resta di un vulcano esploso migliaia di anni fa nel Tirreno.
L'attività sismica, specie quella nei fondali che circondano l'isola, è abbastanza frequente; ma pochi usticesi oggi vi fanno più caso, e questi sommovimenti marini trovano anche poco spazio nelle cronache nazionali.
Ben diverse reazioni provocarono invece una serie di scosse, alcune delle quali forti e rovinose, che investirono Ustica fra la sera del 19 marzo ed i primi giorni di aprile del 1906.
Pare che dopo i primi tremori si udissero forti boati, mentre da una fenditura nei pressi del Semaforo sfiatassero getti di aria calda: al contatto con l'aria, i soffioni si condensavano in fumo, accrescendo le paure degli abitanti. 
La terrò tremò soprattutto nella parte Sud Est dell'isola. 
Molte case rurali e gli uffici della Pretura rimasero lesionati, costringendo gran parte popolazione a dormire all'aperto o a bordo delle barche dei pescatori, a debita distanza dalla terraferma.



I timori degli usticesi furono accresciuti allora da una profezia diffusa molto tempo prima da Michele Russo, già parroco  della comunità di isolani ed autore nel 1810 dell'opera storica "Memoria sull'isola di Ustica"
Secondo il sacerdote, l'isola sarebbe prima o poi sprofondata in mare per la ripresa dell'attività vulcanica: un'opinione basata su basi affatto scientifiche, ma in grado di generare la paura di una  incombente catastrofe in più generazioni di residenti.
Così, dopo i primi tremori del 19 marzo, gli usticesi organizzarono una processione con il simulacro di San Bartolomeo, loro patrono; nel frattempo, un piroscafo partito da Napoli sbarcò sull'isola quattro medici e alcune casse di medicinali.


  
Il ripetersi delle forti scosse e l'accrescersi dei danni strutturali consigliarono allora lo sgombero della maggior parte dei 2.000 abitanti.
Insieme a circa 500 detenuti - guardati a vista da carabinieri - gli sfollati si imbarcarono sulle navi "Marco Polo", "Aretusa" e "Tirso" per essere trasferiti a Palermo, in attesa delle fine delle scosse.
Rimasero ad Ustica solo un presidio di militari e poche decine di usticesi con il compito di prendersi cura del bestiame e degli animali domestici.
Quasi tutti gli isolani - e una parte degli ospiti del carcere - fecero ritorno dopo circa un mese.
Il 13 maggio dello stesso anno, Vittorio Emanuele III - reduce da un viaggio a Palermo - visitò Ustica per rendersi conto dei danni provocati dal terremoto, donando alle autorità locali 1.000 lire per la ricostruzione.



Nel novembre del 1924, una nuova scossa lesionò l'edificio del Semaforo; ma anche quell'evento smentì l'apocalittica previsione di padre Michele Russo sull'inabissamento di Ustica, che nei giorni di più chiara visione si staglia ancora - un profilo scuro e frastagliato - all'orizzonte della costa palermitana. 

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