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domenica 14 febbraio 2021

SETTANT'ANNI DI GUERRA DEL PESCE A MAZARA DEL VALLO

Pescherecci di Mazara del Vallo.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


I primi segnali arrivarono nel 1951. Settant'anni fa, i pescherecci di Mazara del Vallo che si spingevano sino alla acque della Tunisia cominciarono a subire l'ostilità delle motovedette del Paese nordafricano. Dapprima, si trattò soltanto di perentori inviti all'allontanamento; poi, si passò ai mitragliamenti e al sequestro delle imbarcazioni e dei pescatori. Fu l'inizio della fine di decenni della libera attività di pesca dei mazaresi nel canale di Sicilia, oggi diventato un tratto di mare reso quasi impraticabile dalla presenza delle unità militari tunisine e soprattutto libiche che rivendicano la territorialità delle zone più pescose.  

Molti anni prima - il 1884 - una convenzione firmata da Roma e Tunisi aveva concesso libertà di pesca ai pescherecci italiani nel golfo di Hammamet; dopo quella data, a Mazara del Vallo fu un fiorire di armatori e di industrie ittiche e conserviere di sgombri e sardine ( Bruno, Strazzera, Vaccaro ed altre ), in grado di offrire centinaia di posti di lavoro a donne e uomini provenienti da Santa Ninfa e Castelvetrano.

Intorno al 1920, la flotta peschereccia mazarese cominciò a potenziarsi; dalle paranze a vela, si passò ai primi pescherecci a motore acquistati a Molfetta, Bari e Torre del Greco.



Il porto canale del fiume Mazaro - all'epoca regolarmente dragato - in quegli anni visse un periodo di intensa attività mercantile, testimoniato dai certosini dati forniti nel 1922 da A.Brunialti e S.Grande in "Il Mediterraneo" ( Utet, Torino ):

"Il porto di Mazara accolse, nel 1914, 759 navi di 179.078 tonnellate in arrivo e 746 di uguale portata complessiva in partenza, e recarono 11.904 tonnellate di merci e 334 passeggeri, imbarcandone 21.122 e 236..."

La seconda guerra mondiale interruppe bruscamente l'attività degli armatori. Le imbarcazioni più attrezzate vennero infatti requisite ed riconvertite dalle marine italiane e tedesche in dragamine. Le aree di pesca - lungo le rotte percorse dai convogli navali italo-tedeschi diretti in Tunisia e Libia - diventarono teatro di drammatici scontri navali ed aerei

Alla fine del conflitto, la neonata Regione Siciliana tentò di rinnovare il vecchio accordo di libera pesca del 1884 con la Tunisia, che all'epoca era un protettorato francese. 

L'assessore alla pesca Stefano Vaccara si rese allora protagonista di un'iniziativa grossolana. Invece di cercare un'intesa diplomatica fra lo Stato italiano e la Francia, nel 1949 comunicò al console francese a Palermo ed al nostro ministero degli Esteri l'intenzione della Regione di rinnovare quel trattato, nella considerazione 

"che questo accordo, insieme all'atmosfera di cordialità che si verrebbe a creare con la presenza dei rappresentanti francesi, animata dalla suggestività del nostro paesaggio e dal calore schietto dell'ospitalità siciliana, potrebbe costituire un primo passo..."

La risposta all'incauta iniziativa dell'assessore Vaccara fu schiettamente perentoria: la Francia e il Bey di Tunisi abrogarono la convenzione e proclamarono zona di riserva di pesca tunisina sino a 45 miglia dalla costa le acque prima frequentate dai mazaresi.

Da allora, l'ostilità verso i pescherecci di Mazara del Vallo fu al centro di una serie di puntuali episodi verso i pescatori siciliani.

Uno dei primi sequestri riguardò il peschereccio "Argonauta", bloccato trenta miglia al largo di Tunisi. L'imbarcazione e l'equipaggio rimasero nelle mani dei tunisini per quasi due anni; ritrovarono la libertà solo dopo il pagamento di una ingente multa.

In seguito, la stessa disavventura toccò agli equipaggi del "Nuova Speranza", del "Franca" e del "Nicoletta".



La sera del 5 novembre del 1959, il "Giovanni Tumbiolo" comandato da Andrea Ingargiola riuscì a sfuggire alla cattura di una motovedetta tunisina. Dopo un lungo mitragliamento, un militare armato riuscì a salire a bordo; venne bloccato a forza dall'equipaggio che, dopo averlo rinchiuso in una cuccetta, riuscì a dirigere la prua verso Mazara del Vallo, scampando all'inseguimento dell'unità nordafricana.

Una volta a terra, il "prigioniero" venne subito liberato e riconsegnato alle autorità tunisine, ma l'episodio accrebbe la tensione fra i mazaresi e le autorità di Tunisi. Nel timore di ritorsioni, l'armatore del "Giovanni Tumbiolo" decise di sollevare Ingargiola dall'incarico di comandante e di cambiare il nome e la colorazione del peschereccio.

Pochi mesi dopo quel rocambolesco evento, i tunisini ripagarono la beffa del rapimento di un proprio militare a carissimo prezzo. Il 9 agosto del 1960, il peschereccio "Salemi" venne intercettato nei pressi delle isole di Kuriat, a Nord Est di capo Monastir. L'imbarcazione mazarese venne investita da numerosi colpi di mitragliatrice, che ferirono a morte il comandante Antonino Genovese e l'armatore Luigi Licatini. Il "Salemi" venne rimorchiato sino a Monastir ed i nove componenti d'equipaggio furono liberati dopo essere stati segregati per qualche giorno  all'interno della stiva.

Quel drammatico episodio riaccese le attenzioni sul decennale conflitto aperto dai tunisini con la marineria di Mazara del Vallo. Per la prima volta, gli armatori trapanesi chiesero a gran voce l'istituzione di una vigilanza pesca nel canale di Sicilia da parte della Marina Militare.



Sull'onda emotiva sollevata dall'uccisione di del comandante e dell'armatore del "Salemi", l'allora presidente del consiglio Amintore Fanfani accettò la richiesta; per qualche mese, i pescherecci mazaresi poterono lavorare senza incorrere nel rischio di altri sequestri. 

La protezione della nostra Marina tuttavia venne meno, poiché qualche anno dopo altre imbarcazioni furono bloccate e condotte in Tunisia. Nel gennaio del 1966 si registrò poi uno dei primi sequestri da parte delle motovedette libiche: ne fecero le spese il "Città di Mazara" ed il "Gaspare Tumbiolo", che poterono tornare a Mazara del Vallo dopo il pagamento dell'immancabile multa.

Da allora, il numero di pescherecci e degli equipaggi mazaresi fermati negli ultimi decenni da Tunisi e Bengasi è sfuggito ad un computo ufficiale, ma è testimoniato da quello rilevante dei pescatori e dei comandanti che possono raccontare l'esperienza personale della carcerazione in una cella dei due Paesi nordafricani. 

Oggi, dopo i recenti 108 giorni di prigionia in Libia dei 18 pescatori dell'"Antartide" e del "Medinea", la flotta peschereccia di Mazara del Vallo - ridotta ad un centinaio di imbarcazioni - vive un periodo di profonda crisi.

I libici rivendicano la territorialità del mare sino a 74 miglia dalle proprie coste, e l'invocata vigilanza richiesta alla nostra Marina Militare rimane disattesa: l'unica forma di tutela è la frequente raccomandazione rivolta agli armatori mazaresi di non spingersi nelle zone di pesca del gambero rosso pattugliate dalle motovedette di Bengasi.

In questo contesto, negli ultimi anni è cresciuto il numero di pescherecci demoliti per ottenere i contributi europei: soldi che convincono gli armatori ad interrompere l'attività di pesca, ma che non ripagano un numero crescente di pescatori, meccanici e fornitori che a Mazara del Vallo devono rinunciare ad un reddito.

Così, la "guerra del pesce" che da settant'anni chiama in causa i pescherecci mazaresi - una guerra a cui nessuno sembra volere trovare soluzione - finisce con l'impoverire centinaia di famiglie e l'intera economia locale. 

    

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