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martedì 24 gennaio 2023

LA GRANDIOSA E TRAGICA VISIONE DI SELINUNTE DEL DIPLOMATICO FRANCESE

Il tempio E e le rovine 
del tempio F a Selinunte.
Fotografia di M.Bernard Aury,
opera citata nel post


Pochi luoghi della Sicilia come l'area archeologica di Selinunte trasmettono nei visitatori un senso di tragicità e di catastrofe, simile a quello che si può provare solo dinanzi alle rovine dei vicini paesi del Belice devastati dal terremoto del 1968. Di questo sentimento si fece interprete sessant'anni fa il diplomatico francese Pierre Sebilleau, autore nel 1966 del saggio "La Sicile" edito a Grenoble da Editions Arthaud, poi tradotto in Italia nel 1968 da Cappelli editore Bologna. Negli anni della sua permanenza in Italia, Sebilleau ebbe modo di visitare più volte la Sicilia e, in particolare, Selinunte: un luogo che sin dall'adolescenza gli aveva suscitato un'impressione paurosa: 

"Avevo poco più di dieci anni, quando sentii pronunciare per la prima volta da mio padre il nome di Selinunte. Ne fui impressionato. La mia fantasia incominciò ad architettare una visione di rovine grandiose e tragiche. La ragione di ciò stava, senza dubbio, nella desinenza in "unte", la cui risonanza mi pareva particolarmente lugubre, e che evocava al mio spirito, non so perché, il colore rosso e nero dell'incendio, del sangue e del lutto. Non diversamente, del resto, io immaginavo Metaponto, nella Magna Grecia. Ora, è accaduto che il caso mi abbia fatto scoprire questi due luoghi nella stessa luce rossa e nera d'un crepuscolo di uragano.

Era da poco cessato di piovere su Selinunte e minacciava di piovere di nuovo. Enormi nuvole nere si stendevano sul mare plumbeo in cui, da molto alto, precipitano le tre colline parallele, al riparo delle quali si svilupparono, un tempo, i due porti gemelli della città. Senza fermarmi di fronte alle rovine della collina di Est, la prima che si attraversa entrando nella zona archeologica, mi avviai verso la collina centrale, ove la mia attenzione era attratta dall'unico colonnato che fosse allora in piedi: quello del tempio C, rialzato nel 1925-1927. Percorsi rapidamente le vestigia dei cinque templi che un tempo si drizzavano là, lungo la spianata, all'estremità dell'Acropoli che domina il mare.

Poi, ritornai alla collina di Est, su cui s'innalzavano i santuari più grandi, e mi arrampicai fino in cima alla colossale frana dell'enorme tempio G. In quel momento il sole irruppe fra il nero delle nuvole e quello del mare, dispiegando un trionfo di raggi rossastri, tingendo di porpora scura le colline deserte e stagliando lontano, come un'ombra cinese, il colonnato del tempio C. Allineati in fila, procedendo contro il vento, tre aironi passarono... Era questa l'immagine ,grandiosa ma soprattutto tragica, che io m'ero fatto e dalla quale, da allora, non ho mai più potuto liberarmi..."


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