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giovedì 1 maggio 2025

MELO FRENI E IL RACCONTO DEL MACELLO DI PALERMO NEGLI ANNI DEL SACCO EDILIZIO

Palermo, edilizia
nata durante gli anni del "sacco urbano".
Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Il grande "sacco edilizio" di Palermo iniziò fra il 1948 ed il 1949, riversando cemento ed asfalto su un milione di metri quadrati di terreno agricolo: uno scempio ambientale che ha deturpato in maniera incontrollata le aree esterne al centro storico della città, duramente ferito dalle bombe alleate.

Il tema della speculazione politico-mafiosa che ha cambiato per sempre il volto di Palermo - trasformando orti e giardini in una foresta di palazzi, in barba ai regolamenti edilizi ( le complicità hanno chiamato in causa anche burocrati, notai, avvocati e presidenti di banche ) - è stato in seguito oggetto di decine di saggi ed inchieste giornalistiche. 

L'argomento non è neppure mancato nelle pagine degli scrittori siciliani, come in quelle del romanzo "Le calde stagioni" del messinese Melo Freni ( Alberto Marotta Editore, Napoli, 1975 ):

"Una patina d'afa, umida, appiccicaticcia, limitava la profondità dell'orizzonte al di qua dei vecchi campanili, che stendevano sui vicoli il ricordo sbiadito degli antichi splendori.

Anche a guardarla da lontano, dalla villa dei Sanginisi sul poggio, Palermo mostrava i segni del declino.

Un taglio netto divideva da quella antica, monumentale e stanca, la parte nuova della città, arbitraria e ossessiva, sotto il dorsale del Monte Pellegrino dove era stato cancellato il profumo delle ville che avevano riempito di gelsomini e di zagare i passaggi delle mie mattinate verso il mare: spiagge solitarie sotto asciutte colline, oleandri a cespuglio sui sentieri e ulivi selvatici che inghirlandano gli scogli.



Il poggio digradava verso gli orti dai colori intensi che correvano fin sotto ai grattacieli ancor freschi d'impasti per i quali Palermo l'avevano squartata come un animale da vendere in regime di libero calmiere. E la città moriva. 

La morte era presente in ogni cosa, frutto di violenza o d'abbandono, inesorabile e densa di una suggestione angosciosa per il senso di effimero a cui riconduceva ogni grandezza. 

Ne perpetuavano il ritratto più esaltante dignitari, arcivescovi e notari, scheletri sotto abiti consunti, nelle caverne sotto i Cappuccini: immagine di solennità più che di orrore, risvegliavano, in chi andava a vederli, l'ostinazione assurda di un orgoglio che accomunava ai ricchi il popolino, dai viali della splendida Palermo ai vicoli ammuffiti attorno a San'Agata dei Lattarini, l'antico suk-el-attarin dei droghieri arabi, che era una specie di casbah cenciosa e malfamata..." 



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