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lunedì 27 agosto 2018

IL NAUFRAGIO DELLA GOLETTA "SAN GIUSEPPE" ALLA FORMICA DELLE EGADI

L'isolotto di Formica, nell'arcipelago delle Egadi.
Le fotografie sono di ReportageSicilia
Posto all'estremo Occidente della Sicilia, il mare trapanese delle isole Egadi è da millenni luogo di intenso traffico navale.
Non è un caso che l'area sia una delle più ricche di reperti archeologici sottomarini, come dimostrato dai recenti rinvenimenti - al largo di Levanzo - dei rostri in dotazione alle navi romane e puniche che nel 241 avanti Cristo qui combatterono la battaglia delle Egadi.
Insieme ai relitti di epoca molto remota, questi fondali ospitano ciò che rimane di scafi di più recente datazione: resti di imbarcazione ed oggetti che testimoniano tragedie o burrascose traversate in tempo di guerra e di pace. 


Relitti di imbarcazioni
nell'area della
"camparia" di Favignana
In alcuni casi, la ricostruzione del naufragio ( ad esempio, quello dell'"Espresso Trapani", costato la vita nel 1990 a 12 persone ) può contare sull'ausilio di una ricerca documentaria, basata sulla consultazione di archivi cartacei o sulla memoria "tramandata" dell'evento.
Così, qualcuno - in questa zona del trapanese - potrebbe avere ancora conoscenza di quanto avvenne nei pressi dell'isolotto di Formica nel primo pomeriggio del 2 maggio del 1932: il naufragio della goletta "San Giuseppe", adibita al trasporto di passeggeri fra Trapani e Favignana.  
Scarne cronache giornalistiche del tempo ricordano oggi quel drammatico episodio, costato la vita ad otto persone ( fra queste, l'agente di polizia penitenziaria Francesco Partito, Giuseppe D'Aguanno, i due fratellini D'Angelo, un certo Niccolò fornaio a Favignana, Giuseppe Fiorelli di Paceco e Ignazio Grammatico di Favignana ). 
Intorno alle 15.00 di quel giorno, la "San Giuseppe" - dotata di un motore e con una stazza lorda di 22 tonnellate - si trovò ad affrontare il mare fattosi improvvisamente grosso.



Insieme agli altri tre uomini di equipaggio, il capitano si prodigò per affrontare la situazione di pericolo; gli otto passeggeri subivano invece impotenti il precario assetto di navigazione del traghetto.
A poca distanza dall'isolotto di Formica, un'ondata più alta delle altre fece capovolgere la nave.
Sembra che da terra o da qualche altra imbarcazione vicina qualcuno stesse seguendo la pericolosa traversata del "San Giuseppe".
L'allarme sul naufragio fu infatti quasi immediato: i soccorsi coinvolsero due unità navali, la goletta "San Francesco di Paola" ed il rimorchiatore "Levanzo".
Alcuni degli occupanti della "San Giuseppe" furono salvati a fatica dall'annegamento; vennero issati a bordo insieme ai corpi di tre vittime.


In navigazione nel mare delle Egadi,
dinanzi l'isola di Levanzo
Altri quattro annegati furono strappati nei giorni successivi al mare all'interno dello scafo della goletta, ad una profondità di una trentina di metri: un lavoro pericoloso e penoso affidato ai palombari, scesi per 6 volte sui fondali sabbiosi che circondano un tratto di costa dell'isolotto di Formica.
L'ottava vittima della tragedia del mare di quel maggio del 1932 venne infine ripescata dopo una settimana, 2 miglia ad Est dalla zona del naufragio.
Oggi la storia di quell'affondamento è quasi dimenticata. 
A testimoniare il drammatico accaduto sono forse i consunti resti del "San Giuseppe" rimasti sul fondo del mare, mai ufficialmente rintracciati e - ancora una volta, forse - non del tutto ricoperti dalle praterie di posidonia. 


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