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domenica 13 settembre 2020

VITE DI PUPI E PUPARI PRIMA DEL LUNGO OBLIO

Pupi di Giacomo Cuticchio
all'interno di palazzo Branciforte, a Palermo.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia

"In chi agisce nel contesto attuale del teatro dei pupi - ha scritto il fotografo Maurizio Buscarino in "Dei pupi" ( BNL Edizioni-Mondadori Electa, Milano, 2003 ) -  c'è la volontà di non ridurre o confondere i pupi del 'proprio' passato con la banale e potente committenza del folclore turistico, una volontà in cui agiscono alleanze e parentele di intenti, ma anche conflitti, recriminazioni, sospetti, subordinazioni, distanze, e soprattutto le diverse concezioni di ciò che è legittimo e ciò che non lo è nell'operare con il patrimonio ereditato.
E' certo però che tutti insieme, da diverse posizioni, mirano alla conservazione del 'valore', e tutti insieme hanno nei propri depositi familiari e artistici o museali o intellettuali quell'Opera dei pupi dichiarata ora dall'Unesco 'patrimonio orale e immateriale, intangibile, dell'Umanità'"

A distanza di 17 anni dalla considerazione espressa da Buscarino, il Teatro dei Pupi continua a godere dei favori di un pubblico che partecipa con attenzione - anche al di fuori dalla Sicilia - a festival, rassegne ed eventi culturali legati al secolare mondo dei pupi in legno.
Dopo la profonda crisi vissuta dai pupari a partire dagli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo - periodo in cui si dava per morta la loro possibilità di sopravvivenza artistica - l'Opra ha riguadagnato una nuova vita, uscendo dalla palude di una deprimente dimensione turistica.



In passato, il declino degli spettacoli dei pupi in Sicilia era stato segnalato già nei primi decenni del Novecento, allorché le nuove tecnologie della comunicazione cominciarono a rivoluzionare strumenti e modelli di intrattenimento del pubblico.
In un reportage pubblicato da Siracusa sul "Corriere della Sera" del 13 agosto del 1930, l'anonimo redattore dava notizia di un imminente "concorso di pupari siciliani" organizzato a Catania; informazioni che se da un lato sottolineavano ancora la vitalità di questa secolare forma di teatro, dall'altro segnalavano pure l'evoluzione tecnologica dei tempi, e le possibili conseguenze sulla sopravvivenza dei pupi.
L'articolo evidenzia anche alcuni aspetti della vita dei pupari di allora e del rapporto inscindibile dei loro spettacoli con il pubblico, compartecipe delle gloriose imprese dei paladini:    

"I pupi dell'Isola vivono ancora, non ostante i sette secoli della loro età, una vita gloriosa.
Ciò dimostra che la passione del popolo siciliano per questi spettacoli non ha subito notevoli diminuzioni.
Da una recente statistica è risultato, infatti, che in questa regione esistono ancora oltre cinquanta teatrini di pupi, dove i paladini carolingi battagliano furibondamente contro mostri orripilanti e contro schiere trucibalde di affumicati musulmani infedeli.



Questo nel 1930, nell'anno in cui la radiotelefonia sta per essere superata dalla radiotelevisione, e le trasvolate atlantiche possono da un momento all'altro essere eclissate dai voli interplanetari.
Il popolo qui si appassiona ancora alle gesta degli eroi che la leggenda ha tramandato sotto il nome di Carlo Magno, Orlando, Rinaldo di Montalbano, Argante, Tancredi, ecc.
Esso s'entusiasma delle loro imprese, perché rivede il trionfo della giustizia contro l'inganno e il sopruso.
Se le marionette sono conosciute un pò in tutta l'Italia, poichè non v'è regione che non ne abbia di sue caratteristiche, i pupi siciliani non si possono vedere che nell'Isola.
Il linguaggio che il puparo parla - anche se non prettamente siciliano - è fatto di tanti sottintesi, di tanti giochi di parole e di tante allusioni locali, che non possono essere compresi se non dal conterraneo.
L'intreccio dei drammi trae quasi sempre argomento dalle gesta swl ciclo carolingio, e gli argomenti sono quindi uguali a quelli che deliziavano le folle del porto di Napoli e di altre città prevalentemente meridionali, e su cui tanto inchiostro hanno versato gli studiosi di folclore.
Quello che qui v'ha di singolare è il puparo, diverso da tutti i suoi confratelli, figura caratteristica del popolino siciliano, specialmente nei suoi rapporti col pubblico.
Il puparo dell'Isola dei Ciclopi è stato e sarà sempre un uomo del popolo che, sfruttando una naturale inclinazione artistica e una genialità particolare, vive una vita relativamente agiata.
Diciamo 'sarà', perché se ciò non fosse, se cioè si volesse fare evolvere la figura caratteristica del manovratore degli instancabili guerrieri, sicuramente i numerosi teatrini de pupi andrebbero a male.
La seduzione di questo genere di spettacoli non sta infatti solo nel grande eroismo che dimostrano in cento e cento battaglie i baldi paladini; ma nel continuo contatto fra il puparo e il pubblico che, in certi momenti, diventa lui stesso attore.



Se, per esempio, allo spettatore fosse inibito di dire, ad alta voce, la sua incredulità per qualcuna delle migliaia di spacconate che il puparo fa dire ai suoi protagonisti, la folla degli assidui diserterebbe il locale preferito.
A un certo punto, ad esempio, il puparo, dall'alto del suo scanno, fa dire ad Orlando:

'... e cu coppu di turlindana fici scuppulari trenta testi!'
'... e con un colpo di durlindana decapitò trenta teste!'

E ecco che una voce dal fondo risponde:

''rossa don Cicciu!', 'grossa, don Ciccio!'

E un'altra:

'scalamula don Pricopio!', 'facciamo di meno, don Procopio!'

E il primo, transigente e paziente, riprende:

'Orlando cu coppu di turlindana fici scuppulari cinqu testi!'
'Orlando, con un colpo di di durlindana, decapitò cinque teste!'

Ed una nuova voce: 

'scalamula ca nu'nna calamu', 
'facciamo di meno, non ce la caliamo ( non la beviamo )

Onde il puparo, un pò esasperato esclama:

'Ma non vi ricurdati ca chiddu è Orlandu?'
'Ma non vi ricordate che quello è Orlando?'

E 'u siminzaru' ( il venditore di semi ) ?
Anche questa è una figura caratteristica del teatro dei pupi.
Egli non si contenta di vendere negli intermezzi la sua merce, ma qualche volta la offre a gran voce nei momenti di massima commozione, mettendo una nota comica nel patetico più intenso.
Egli è capace di scegliere il tempo in cui il fiero Orlando lancia profferte d'amore alla bella Angelica:

'dimmi, cafona, mi amerai?',

e l'altra, un pò pudibonda:

'io n'esco pazza per te',

ed il primo, di rimando:

'ah, vigliacca!'

per ricordare, a gran voce, che è lì con i suoi frutti prelibati.

'a calia caura caura, a nucidda miricana, a simenza brustolita!'
'ceci caldi caldi, noccioline americane, semi di zucca abbrustoliti!'



Ogni puparo che si rispetti elargisce alla fine per regalo ai suoi clienti una breve commediola, la quale ha il compito di placare gli umori (spesso durante una disputa cavalleresca fra Rinaldo di Montalbano e Gano di Magonza  che, armati di lance e draghignasse, battagliano furibondamente, sorgono delle vere dispute fra i partigiani dell'uno o dell'altro guerriero ).
Fra le maschere di questo repertorio sta in primo piano 'Nofriu'.
Il gran personaggio viene figurato tutto insaccato in abiti policromi, con un cappello floscio sulle ventitré, gli zigomi porporini e le labbra esangui.
Loquace, tronfio, con andatura da superuomo, con la sua gran prosopopea accumula i più solenni errori sopra qualunque argomento.
Durante la giornata, il proteiforme puparo, che, la sera, è l'anima, il cuore e la voce delle teste di legno, si tramuta anche in padre.

Infatti, pensa ai bisogni dei suoi... figlioli: li copre di nuove sfarzose armature e costumi - se gli incassi vanno bene - rammenda i singolari indumenti, dà un'ennesima passata di vernice alle guance di qualcuno dei pupi più vecchi, dipinge un nuovo fantastico scenario o manifesto, completa nuovi congegni meccanici, aumenta gli effetti della luce elettrica, redige, facendo trionfare gli strafalcioni, i manifesti della propria serata, ecc.
Il puparo cerca, così facendo, di rendere sempre più decente il suo teatro..."
     

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