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lunedì 18 gennaio 2021

IL SORRISO DEL BAMBINO CON LA PALLA A MONTEVAGO

Montevago,
murales all'interno di una abitazione 
abbandonato dopo il terremoto nel Belice.
Foto del post
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Quello di Montevago fu il primo nella lista dei paesi che le telescriventi delle agenzie di stampa indicarono 53 anni fa come luogo del devastante terremoto del Belice; una seconda rovinosa scossa, con il fragore di un tuono, sorprese i 3.000 abitanti mentre in tanti - indecisi a causa del freddo e della neve - discutevano se fosse opportuno allontanarsi da casa.

Morirono in 92, compresi numerosi anziani ricoverati in un ospizio allestito qualche tempo prima dal Comune. Furono i carabinieri di Sciacca - i primi a raggiungere il paese, superando le profonde crepe sulle strade circostanti - a coprire i loro corpi con teloni e fogli di giornale, a ridosso di ciò che era rimasto in piedi della chiesa parrocchiale. In seguito, arrivarono da Palermo anche una trentina di giovani studenti universitari di Medicina: fra le tende ed il fango, si unirono ai sanitari della Croce Rossa nella cura di decine di feriti.

 






La totale devastazione del paese trovò questa descrizione nel resoconto del giornalista Mario Bernardini:

"Montevago è su un pianoro chiuso fra due colline. Da lontano mette spavento perché non si vede più niente; è come se sul pianoro qualcuno avesse tracciato una linea bianca con il gesso: quella linea bianca sono le macerie delle case crollate, tutte, fino all'ultima..."

Ciò che venne risparmiato dallo spaventoso disastro - la forza della natura aggravata dalla fragilità del tufo, delle pietre e delle canne degli edifici - venne in seguito abbattuto dalla dinamite. 

Oggi le rovine di Montevago sono insieme memoria di quella ecatombe e luogo in cui i ruderi cominciano ad essere utilizzati come un laboratorio a cielo aperto: quello in cui alcuni disegnatori hanno creato murales e "trompe-l'oeil" in grado di rianimare con l'arte un luogo della devastazione e del lutto, a cominciare dagli spazi che furono teatro della vita quotidiana del paese, corso Umberto I e piazza Belvedere.

In quest'ottica, in alcune abitazioni sono stati riportati oggetti di uso quotidiano: una tavola apparecchiata con stoviglie d'epoca, strumenti del lavoro contadino, quadri ed immagini religiose, divani dipinti sulle pareti accanto a vere e consunte sedie impagliate.

L'iniziativa - che ha preso il nome di "Percorsi Visivi" - si deve all'Associazione Culturale "La smania addosso", nome che rimanda al titolo di un film con protagonisti Vittorio Gassman e Gino Cervi girato nel paese agrigentino sette anni prima della devastazione.

Uno dei murales, realizzato dal catanese Ligama all'interno di una abitazione dove è stata riportata alla luce l'elegante decorazione dell'ammattonato, rappresenta un bambino di nome Nicolò

Il suo sguardo sorridente è rivolto verso il cielo e la luna, oltre lo squarcio sul soffitto; fra le mani stringe una palla che secondo il racconto popolare raccolse in strada quando la scossa più forte che lesionò la casa rischiò di farlo colpire dai calcinacci.



L'utilizzo di una parte dei ruderi di Montevago come luogo d'espressione artistica ha anche lo scopo di creare, attraverso la memoria della tragedia, un motivo di interesse turistico.

L'esempio seguito è quello del Cretto di Burri che ricopre le rovine della vecchia Gibellina, visibile dallo slargo di piazza Belvedere.

La suggestione dell'allestimento è accresciuta dal silenzio e dalla preponderante mole dei ruderi della Chiesa Madre, dove a breve dovrebbero iniziare la rimozione e la catalogazione dei grossi frammenti architettonici che nascondono la vista del pavimento della basilica.

Al tramonto della luce d'estate, le rovine di Montevago sembrano così acquistare nuova vita: il segno dell'arte lenisce lo sgomento del ricordo della morte e della devastazione qui provocata da un terremoto che lascia ancora profonde ferite nel Belice.



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