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domenica 20 febbraio 2022

MALESSERI E SODDISFAZIONI DELLA VITA TRAPANESE

Abbraccio in curva Sud
allo stadio di Trapani 
durante un derby con il Siracusa.
La fotografia di Eugenio Nacci
venne pubblicata il 23 novembre 1965
dalla rivista "Il Mondo"


"Fuori dalla Sicilia abbiamo sempre sentito dire di Trapani come della punta avanzata dello stivale d'Italia, pur non essendo per la verità posta a minore distanza dalle ultime propaggini costiere africane di quanto non lo siano diverse altre città o località isolane. Eppure, qui si respira davvero tutta un'atmosfera che si potrebbe cogliere in qualsiasi città dell'Africa settentrionale, a Tripoli per esempio. E le ragioni, quelle piccole e spesso insignificanti cose che appunto contribuiscono a quella atmosfera generale, si riallacciano a tempi ormai andati, a tradizioni e costumi oggi in declino o addirittura in disfacimento; quanto ai giovani, poi, non li conoscono neppure. Prima fra tutte, più importante per molti versi, è la tradizione del mare che va scomparendo poco a poco e che in passato ha fornito copiosamente i valori essenziali al significato che qui si dava alla vita, anzi alla ragione di vivere...

Fino a venti, trent'anni fa tutto a Trapani si basava sulla pesca, sulle saline di qui e su quelle che le più antiche famiglie trapanesi si tramandavano in Somalia, in Tunisia, in Libia, e sui floridissimi commerci con l'Africa e con l'Oriente asiatico. La sua posizione geografica nel cuore del Mediterraneo, affacciata sul Canale di Sicilia, in quel tempo contribuiva in larghissima misura al continuo incremento delle attività di Trapani. Da qui prendevano il mare i bastimenti dei Florio alla volta di paesi lontanissimi donde tornavano carichi d'ogni bene... La flotta dei pescherecci era assai ricca e solida, per numero e per le sue attrezzature, e faceva buon conto su una marineria che si dice niente avesse da temere al confronto con le più abili e smaliziate d'Europa.



Parlando con alcuni trapanesi di non giovane età, ci pare quasi di ravvisare in essi una malcelata malinconia, una sorta di apprensione. Ma è una realtà, questa di Trapani, che s'aggiunge per intero a quella siciliana e con essa diventa dura, difficile, acquista appieno il diffuso stato di malessere esistente: principalmente chiede d'essere affrontata con coraggiosa sollecitudine. Malgrado tutto, qui è ancora la miseria che prevale: il benessere è da venire, a Trapani..."

Il giornalista Antonio Ravidà così testimoniò le sue impressioni su Trapani in un reportage pubblicato nel marzo del 1963 dalla rivista "Viaggiare", edita a Palermo dalla Società per l'Incremento Turistico. A distanza di quasi sessant'anni, Trapani continua ad essere una città con irrisolte ambizioni di crescita economica. E se agli occhi di molti italiani e stranieri si rivela un luogo perfetto per qualità di vita - un clima mite, l'accoglienza delle persone, la buona cucina, l'assenza del caos urbano di Palermo o Catania, i riflessi del sole sulle Saline, le vicine attrattive delle Egadi e di Erice, un  favorevole costo della vita - per molti trapanesi permane ancora il rammarico per ciò che il loro luogo di origine non offre: migliori infrastrutture, una vita culturale più attiva, più lavoro legato alle potenzialità turistiche offerte dall'intera provincia. 



Come accade in tutte le altre maggiori città siciliane, anche il gioco del pallone a Trapani diventa l'espressione di un più ampio malessere. Relegato ai margini del così detto "calcio che conta" - rappresentato da società il cui blasone sportivo maschera sempre più a fatica i bilanci in dissesto - identifica le speranze tradite della città. O, se vogliamo ribaltare questo giudizio negativo, il buono dell'arte di accontentarsi di ciò che si ha: un'esistenza monotona, "provinciale" - lo stesso nome dello stadio di Trapani - ma senza le complicazioni e le ambiguità della vita brillante.

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