Dodicimila operai mandano avanti gigantesche imprese come la Rasiom , la prima raffineria d'Italia e d'Europa, le Cementerie, la Petrolchimica , la Sincat che produce fertilizzanti, la Celene che fabbrica materie plastiche, la vasta centrale elettrica Tifeo.
"Anche solo a guardare la gente, avverti che sono in corso cambiamenti rapidi negli interessi, nei costumi, persino nei sentimenti; che nascono nuovi pensieri e nuovi rapporti fra gli uomini e le cose, fra uomo e uomo; che mutano le dimensioni del presente e le prospettive dell'avvenire.
"Ecco dunque. il rapido mutare delle cose e degli uomini è di questa zona l'aspetto più essenziale, quel che ne domina l'atmosfera, laddove l'immutabilità o al lentezza delle mutazioni è stata la dominante caratteristica della Sicilia e lo è ancora in tante altre sue parti.
Ma, si badi, non si tratta di un processo ordinato e senza scosse, bensì tumultuoso, a sprazzi, e per di più, costoso, non solo nel campo strettamente economico, ma anche in quello della psicologia sociale e individuale per l'insorgere di squilibri e traumi prima sconosciuti.
E' il costo di ogni progresso, tanto più alto quanto più rapidamente si avanza. E la zona industriale di Augusta è forse, oggi, l'angolo d'Italia che avanza più rapidamente".
Così il giornalista nisseno Mario Farinella agli inizi degli anni Sessanta dello scorso secolo descrisse la rivoluzione industriale che dal 1950 stava cambiando l’aspetto e la società di Augusta.
Le fotografie riproposte in questo post da ReportageSicilia – tratte da alcune opere editoriali del periodo – tentato di documentare appunto quelle trasformazioni.
Sino agli inizi del secolo XX, la rada della cittadina siracusana – posta su un’isola tra due porti fra capo Santa Croce e la penisola Magnisi - era servita per lo scalo di piccoli bastimenti commerciali diretti verso altri porti siciliani, Malta ed il Mediterraneo orientale.
La costa limitrofa era punteggiata da spiagge spesso malariche, mentre il mare ospitava triglie, pesce azzurro e soprattutto pescespada e tonni diretti a Sud, verso la punta di Pachino.
A terra, le campagne erano percorse da pastori e contadini che traevano sostentamento da folti uliveti e mandorleti.
Durante la II guerra mondiale, l’ampio porto di Augusta – grazie ai suoi fondali profondi e sicuri – divenne uno dei luoghi strategici per la Marina Militare Italiana, esponendosi così alle incursioni alleate.
Quindi, a conflitto terminato, questo tratto di costa siciliana lungo 20 chilometri conobbe lo stravolgimento subìto da altre zone litoranee isolane.
L’acciaio, il ferro ed il fuoco degli impianti petroliferi e chimici di proprietà di multinazionali straniere ed italiane mutarono per sempre ambiente e costumi locali: la corsa al lavoro in fabbrica fece aumentare redditi e consumi familiari, impoverendo però il lavoro agricolo e le colture frutticole ed orticole fra Augusta, Melilli, Lentini, Carlentini e Francofonte.
La prima industria fu appunto la Rasiom del petroliere milanese Angelo Moratti.
“Comperò a credito una vecchia Liberty da diecimila tonnellate che il governo americano svendeva purchè liberassero i suoi porti da questi relitti – scrisse Giuseppe Fava nel suo saggio “I Siciliani” – ci caricò una vecchia raffineria del Texas, poco più di un gigantesco sfasciume venduto a peso di rottame, una montagna di tubi, bulloni e caldaie. Reclutò dieci tecnici per montare quel ferrovecchio e farlo funzionare, fece un contratto per l’importazione di greggio ed un altro per la fornitura di benzine raffinate…”.
Negli anni successivi, gli insediamenti industriali avrebbero trasformato il porto di Augusta in uno specchio di mare costellato da decine di navi-cisterna, al punto da farne il terzo scalo navale italiano dopo Genova e Marghera.
Alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo, gli effetti sull’ambiente marino sarebbero stati drammatici. Gli scarichi industriali avrebbero provocato l’abnorme crescita delle alghe, causando l’asfissia di pesci, crostacei e molluschi; i tonni dirottarono la loro linea di migrazione verso il largo e la tonnara di Santa Panagia chiuse per sempre l’attività. A terra, invece, luoghi come Marina di Melilli, al centro del golfo fra Siracusa ed Augusta, sarebbero stati resi insalubri dall’inquinamento dell’aria.
Se negli ultimi anni la crisi delle attività industriali nel settore petrolifero e chimico ha ridotto ad Augusta il peso di queste attività – riducendo anche il numero degli occupati – le conseguenze negative sull’ambiente non sono cessate.
Secondo la recente denuncia della locale sezione di “Italia Nostra” http://www.italianostraaugusta.it/, poi, dopo la realizzazione di un nuovo lungomare l’area delle storiche Saline versa in stato di degrado: l’opera ha infatti richiesto la chiusura degli antichi canali che permettevano l’ingresso dell’acqua marina nei pantani durante le maree.
Il futuro di Augusta intanto potrebbe essere segnato dalla promozione di nuovi lavori portuali, grazie ad un finanziamento europeo da 100 milioni di euro. L’aspettativa è quella di potenziare la funzione commerciale della cittadina siracusana. Se ciò accadrà, nei prossimi anni assisteremo a nuove trasformazioni economiche e sociali del territorio; la speranza è che gli effetti dei cambiamenti siano meno traumatici rispetto a quanto accaduto sessant’anni fa con la comparsa dei fuochi dei primi impianti petroliferi.
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