Le fotografie riproposte da ReportageSicilia in questo post sono tratte dall’opera “Girgenti – Da Segesta a Selinunte”, edita nel 1909 dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche con testi di Serafino Rocco ed Enrico Mauceri.
Il libro fa parte di una collana dedicata alle più importanti località artistiche e turistiche d’Italia, che – per la Sicilia – comprendono anche Palermo, Catania, Taormina, Siracusa e la valle dell’Anapo.
Il volume dedicato a Girgenti, Segesta e Selinunte raccoglie 101 fotografie, la maggior parte delle quali riproducono monumenti e ruderi dei tre siti archeologici: una scelta editoriale legata allora al nascente interesse suscitato dalle campagne archeologiche condotte in Sicilia tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX.
In questo contesto documentario, spiccano le tre immagini riproposte da ReportageSicilia che nulla hanno a che fare con l’archeologia dei tre famosi siti. Attribuite al fotografo agrigentino Agatocle Politi ( 1841-1907 ) ritraggono infatti una panoramica dello scalo marittimo di Porto Empedocle e due immagini di operai empedoclini impegnati nelle operazioni di pesatura ed imbarco dei “pani” di zolfo, risorsa economica del tempo per l’intera provincia agrigentina.
Sino alla metà del secolo XIX, Porto Empedocle era considerato come lo scalo marittimo di Girgenti e la sua popolazione era composta per lo più da pescatori di paranza: merluzzi e sardelle sostentavano il mercato ittico locale e di una parte della provincia.
Lo sfruttamento, la raffinazione e l’esportazione di zolfo cambiarono cambiarono profondamente l’economia della borgata, che divenne il principale porto di partenza di una risorsa mineraria che tra il 1860 ed il 1876 assicurò ingenti guadagni ai produttori siciliani. Il prezzo medio era allora di 120 lire per tonnellata, circostanza che fece aumentare la sua produzione, nel 1905, sino a 540.000 tonnellate.
Da allora in poi, l’eccesso di offerta di zolfo causò una crisi dei prezzi che ebbe conseguenze sui livelli di occupazione fra gli operai di Porto Empedocle.
La situazione venne poi aggravata dall’antagonismo con altre realtà produttive isolane; nel 1914, gli empedoclini diedero vita a violente manifestazione di protesta per opporsi alle richieste di alcune aziende di Catania che chiedevano l’abolizione delle spese di trasporto del proprio zolfo – pari a 40 centesimi - verso lo scalo marittimo di Porto Empedocle.
Temendo la perdita del proprio monopolio mercantile, gli operai agrigentini diedero provocatoriamente fuoco ai propri depositi di zolfo e la questione fu oggetto di discussione anche nelle aule parlamentari.
Le immagini di Politi ci restituiscono qualche frammento di memoria del passato legame fra Porto Empedocle e lo zolfo, prima del definitivo tramonto dell'attività di estrazione in Sicilia, conseguenza delle esportazioni a basso costo - dagli inizi degli anni Cinquanta - avviate dagli Stati Uniti.
Malgrado lo sfruttamento di questa attività estrattiva, la descrizione che del paese si legge nella prima guida rossa della Sicilia del TCI – edita nel 1919 – fa supporre che il beneficio economico non sia stato poi così significativo. “Fuori dall’unica grande via – si legge nella guida – Porto Empedocle impressiona per la mancanza di pulizia: le povere costruzioni sono addossate l’una all’altra”.
Il perché di questa condizione si può comprendere grazie all’analisi dello storico Illuminato Peri, secondo cui “i grandi utili dello zolfo rimanevano estranei alla città ed al caricatore stesso, in quanto andavano alle grosse compagnie esportatrici forestiere, mentre sul luogo costituirono quasi esclusivamente occasioni di lavoro peraltro, specie nelle miniere, quasi sempre male remunerato tormentato da disagi infiniti, da pericoli continui, dalle ripetute perdite di vite umane”.
Una
panoramica della spiaggia di Porto Empedocle, luogo di partenza delle
imbarcazioni che trasferivano allora i “pani” di zolfo a bordo delle navi mercantili
alla fonda
al largo della costa
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Bellissimo
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