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domenica 4 novembre 2018

LA PALERMO CAPITALE DELL'AUTOMOBILE D'INIZIO NOVECENTO


"Fin dall'inizio dell'automobilismo nostro, Palermo e Torino precedettero dandosi la mano, fiere di trovarsi alla testa di un movimento che ha messo in azione le più feconde energie di tutta Italia"


Era il 1952 quando Carlo Biscaretti di Ruffia, fondatore del museo torinese dell'automobile, accostò Palermo a Torino - la città della Fiat - nel ruolo di protagonista della diffusione dell'automobile in Italia.
Il riconoscimento di Biscaretti di Ruffia a Palermo si lega soprattutto alla diffusione degli sport motoristici - e dell'automobile in particolare - che in città ebbe luogo grazie a Vincenzo Florio ( destinatario, ad appena 15 anni, di un triciclo-automobile De Dion-Bouton da parte del fratello Ignazio ).



Il fondatore della Targa - "Enzo Ferrari ha fatto di Maranello un luogo universale. Così Vincenzo Florio con Palermo", ha scritto in questi giorni la rivista "Ruoteclassiche" - finì con l'imporre fra la borghesia e l'aristocrazia cittadina la diffusione delle vetture a scoppio, come segno irrinunciabile di un ribadito status sociale.
Così, la Palermo dei primi due decenni del Novecento si distinse per la presenza di autovetture prestigiose, degne oggi della considerazione dei maggiori collezionisti di vetture veteran
Una di queste, fu la Isotta Fraschini di Salvatore e Carmela Giaconia, ritratta nella fotografia riproposta da ReportageSicilia ed esposta a Palermo all'interno della villa Baucina-Pottino, in via Notarbartolo.



La moda per l'automobile di quel periodo palermitano venne così descritta nel 1966 da Mario Taccari, in "Palermo l'altro ieri" ( S.F.Flaccovio, Palermo ):

"Con la 'Targa' esplode a Palermo, in gara con poche, pochissime altre città al mondo, l'automobilismo sportivo.
Su questo punto non si stenta a fissare la data d'origine di uno dei più legittimi motivi di orgoglio dei palermitani.
Molto meno facile dare un nome a chi fu il primissimo a percorrere con l'auto a ruote gommate - l'incredibile carrozza semovente, sconvolgente meraviglia della tecnica dei trasporti - la via 'marmorea', nata per le portantine, come una 'rambla' del tempo di Filippo V e del cardinale Alberoni.



Più d'uno ci ha provato ma, quanto a risultato, non ce ne sono due che si siano trovati d'accordo.
Il conte de Sarzana e il suo landeau elettrico 'Jentaud' pilotato da uno strano autista in livrea con cilindro e coccarda?
La grossa 'Itala' di don Vincenzo Florio o la piccola 'De Dion' di don Ignazio?
L'ambiziosa berlina marrone, con sedili di panno rosso e ruote gialle, della principessa di Fitalia, ovvero il coupé fracassone di casa Ardizzone, terrore dei vigili urbani?
L'avanguardia dei sobbalzanti teuf-teuf avvolti di fumi di benzina e da romantici svolazzanti veli femminili ( qui consegniamo alla storia le primissime chaffeuses della Conca d'Oro: la Whitaker, la Baucina, Anna Maria Grasso, nonché Rosa di scalea, quella medesima che, secondo un informato diarista, il Mauro Turrisi Grifeo - investì alla prima uscita il portinaio di casa sua demolendogli la guardiola ) precedeva immediatamente l'incalzare dei nuovi arrivi: le auto di fresca estrazione, delle quali ce n'era per i Majorca, i Pisani, i Pecoraro, i Ribolla, i Carella, i Vannucci, gli Stabile, mentre i più legati alla tradizione scuotevano il capo a significare che, malgrado tutto, non sarebbe mai stata l'automobile a soppiantare, quanto a dignità ed a signorilità, il nobilissimo cocchio, nelle sue ammirevoli versioni, dalla regale berlina allo sportivo tilbury, dalla giovanile charrette al pomposo phaèthon.



Palermo di inscriveva nella sua insegna automobilistica con un confidenziale PA; e mentre insistevano, oltre ogni ragionevolezza, le riserve degli scettici, c'era chi avventurava perfino nell'ardua impresa di fabbricare automobili di marca palermitana: l''Audax' di Vincenzo Pellerito, della quale si videro uscire dalla officina di via Malfitano non più di cinque esemplari; l''Apis' di Eugenio Oliveri della quale si ebbero una decina di saggi destinati a scarso successo; nonché la rudimentale monocilindrica fabbrica dell'industriale Savattiere, il cui prototipo doveva finire nella bottega di un rigattiere di via Calderai, che se n'era assicurato il possesso a buon prezzo: settantacinque lire..."





  

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