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venerdì 18 ottobre 2019

L'AMARO FRUTTO GELESE DI VINCENZO CONSOLO

Scorci di Gela pubblicati
il 4 luglio del 1968
dalla "Domenica del Corriere"

Dello stravolgimento ambientale ed umana inflitto a Gela negli ultimi sessant'anni hanno scritto fior di saggisti, sociologi, antropologi, economisti e giornalisti.
E della infausta sorte capitata a quella che fu una delle più importanti colonie greche di Sicilia - l'essere cioè diventata in età contemporanea una delle località per mano umana più devastate dell'Isola - ha finito con il rendere conto, nel 1994, anche la letteratura.
La purulenta presenza del petrolchimico, con i suoi veleni tossici per la natura e per gli uomini, venne allora così amaramente descritta da Vincenzo Consolo in "L'olivo e l'olivastro" ( Mondadori ):

"Dire di Gela nel modo più vero e più forte, dire di questo estremo disumano, quest'olivastro, questo frutto amaro, questo feto osceno del potere e del progresso, dire del suo male infinite volte detto, dirlo fuor di racconto, di metafora, è impresa ardua o vana ( ... )
Nacque la Gela repentina e nuova della separazione tra i tecnici, i geologi e i contabili giunti da Metanopoli, chiusi nei lindi recinti coloniali, palme, pitosfori e buganvillee dietro le reti, guardie armate ai cancelli, e gli indigeni dell'edilizia selvaggia e abusiva, delle case di mattoni e tondini lebbrosi in mezzo al fango e all'immondizia di quartieri incatastati, di strade innominate, la Gela dal mare grasso d'oli, dai frangiflutti di cemento, dal porto di navi incagliate nei fondali, inclinate sopra un fianco, isole di ruggini, di plastiche e di ratti; nacque la Gela della perdita d'ogni memoria e senso, del gelo della mente e dell'afasia, del linguaggio turpe della siringa e del coltello, della macchina fragorosa e del tritolo ( ... )" 

  

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